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Articolo su “Italia Oggi”

Marini a un anno dalla morte

Pera: «Era burbero, si diceva di lui; in realtà era serio»

L’ex presidente del senato, Marcello Pera, ne ricorda la figura di sindacalista e politico

È molto bello il titolo, «Sempre Franco», che Guelfo Fiore e Nicodemo Nazzareno Oliverio hanno scelto per la loro biografia di Franco Marini (Edizioni Lavoro). È bello anche il taglio che questi due amici e collaboratori hanno dato al loro lavoro, con pagine di vita pubblica, ricordi di vita privata e una antologia di interventi politici.

Ed infine è bello il sentimento di affetto, ammirazione e gratitudine per un personaggio di alto livello che è stato in prima fila nel sindacato, la Cisl, nei partiti politici che ha attraversato o fondato (la Dc, il Ppi, la Margherita, il Pd), nelle istituzioni, la presidenza del Senato. Dario Franceschini, che gli fu allievo e amico, scrive una prefazione commossa e colma di gratitudine, ricordando quel «tratto di fierezza e umiltà» che fu la cifra di Marini, e Luigi Sbarra, segretario generale Cisl, aggiunge una Introduzione per illustrare «questo uomo di altri tempi che è di gran lunga più moderno di tanti uomini politici del tempo presente».

Era effettivamente così. Marini teneva in gran considerazione i princìpi ma non trascurava il consenso dell’oggi o domani. Tra i ricordi e gli aneddoti che si ricordano, uno, riferito da un suo amico protagonista sindacale suo pari, è assai divertente: «Avevamo appena chiuso con grande fatica di tanti giorni un accordo importante e Marini aveva già sceso le scale per lottizzare anche gli uscieri!». Per dire che Marini sapeva negoziare in modo inflessibile ma badare anche all’interesse di parte.

Era burbero, si dice, in realtà era serio. Merito dell’educazione in una famiglia numerosa e in particolare del padre, operaio della Snia Viscosa. «Mio padre era molto severo, in particolare con me perché ero il più grande. Noi siamo sette fratelli, cinque femmine e due maschi, figli di madri diverse. Un’educazione severa ma a mio parere positiva. La mia era una famiglia molto religiosa».

In una famiglia così nasce il senso del dovere, del rispetto reciproco, dell’obbligo di raggiungere per proprio merito mète importanti ma di non esibire i successi. Ha detto il fratello Sandro: «Quegli anni Ottanta per nostro padre furono bellissimi. Suo figlio aveva raggiunto un traguardo importante che lo riempiva d’orgoglio e di felicità. Franco ha regalato a tutti noi, alla sua famiglia, delle emozioni fortissime. Ma noi abbiamo vissuto questi suoi successi sempre un passo indietro. Ce lo ha insegnato nostro padre … Questi successi avrebbero potuto cambiarlo. E invece no. È rimasto sempre uguale. Sempre vicino a tutti noi».

Dopo il padre, lo zio, francescano dei frati minori, anch’egli con la stessa lezione di sobrietà e riservatezza: «Non mi dispiace assomigliare a lui andando avanti con il passare degli anni. Padre Gabriele ci ha trasmesso l’amore per la cultura, l’amore per la natura e l’amore per la storia, in particolare dell’Abruzzo».

E poi Luisa, 47 anni di matrimonio: «Non partecipò mai a un congresso, un convegno o un comizio del marito. La si vedrà solo in tribuna a palazzo Madama nei giorni dell’elezione a presidente del Senato. C’era una sorta di patto di autonomia, tacito e rispettato da entrambi che, però, non aveva il senso dell’indifferenza ma del rispetto». E Davide, il figlio: «Non era tipo da molti complimenti come d’altro canto mia madre che però era più severa … Chi non lo conosceva bene confondeva questo suo tratto pensando ad una persona burbera. Tutt’altro. In famiglia era quello che mediava, che cercava di appianare il dissenso e calmare le acque, sempre».

In questo ambiente si forma e si nutre il temperamento di Marini, fatto di princìpi non flessibili e di disponibilità inesauribile riguardo ai mezzi per raggiungerli: «non conosco lo stress … deve dipendere da un sistema nervoso robusto ereditato dai miei avi abruzzesi. Io cerco sempre una intesa, però quando arriva il momento della decisione, non c’è mai nessuno più determinato di me a perseguirla». «Crisi religiose? Crisi politiche? No, mai. Forse è un limite, ma sono proprio strutturalmente portato alle certezze … Ho dei princìpi molto sicuri … Probabilmente mi ha influenzato il periodo della mia fanciullezza e giovinezza: ho dovuto sempre affrontare le cose da me e questo mi ha dato un carattere molto sicuro».

Si può capire che un uomo così (di umanità, di famiglia, di territorio, e soprattutto di rigore) avverta gli onori come doveri, ma ai doveri non sacrifichi la vita privata del suo nutrimento. Il giorno in cui ebbe l’incarico esplorativo per formare un governo dopo la caduta del governo Prodi nel 2008, Marini «non volle rinunciare a festeggiare lo zio con la comunità monastica, la famiglia e pochi amici. Per giungere al convento gli invitati furono costretti a fare due chilometri in salita in pineta». Più o meno lo stesso fece quando fu eletto presidente del Senato.

Fiore e Oliverio seguono passo passo, in modo documentato, la carriera sindacale e politica di Marini. Fino all’epilogo, quell’episodio della sua mancata elezione a presidente della repubblica nel 2013, «i giorni bui dell’amarezza», come essi li chiamano. Marini aveva contro di sé, in casa, il giovane sindaco di Firenze, che poi farà tanta strada (in verità, in avanti rottamando, e a ritroso, auto-rottamandosi), che lo impallinò dichiarando che «chi rivendica spazio in nome della confessione religiosa tradisce sè stesso e strumentalizza la propria fede». Pressoché ingiurioso. Accadde tuttavia, dicono gli autori, che «quando si va al voto il 18 aprile l’assemblea dei grandi elettori del centrosinistra, la sera prima, dopo una discussione a tratti rovente e il no di Sel, ha detto sì con 222 voti contro 90 alla proposta del segretario Bersani. Ma Marini viene tradito nel segreto dell’urna. Non raggiunge i due terzi, si ferma a 521 voti che basterebbero per la quarta votazione ma la sera il partito cambia strategia non puntando più sull’intesa con il centrodestra (e a questo punto Marini ritira la sua candidatura). Il giorno dopo nel segreto dell’urna viene travolto anche Romano Prodi».

Sarebbe stata l’occasione per premiare un uomo integro prima che un politico di schieramento. Marini si amareggiò, ma non si risentì mai e mai parlò di tradimento. Il montanaro, l’alpino, il «lupo marsicano», conosceva bene le asprezze della politica, ma conosceva ancor meglio se stesso. Finì i suoi giorni con una carica onorifica (il comitato per gli anniversari di interesse nazionale) che gli consentì di celebrare, come voleva e sentiva, la Grande Guerra.

Ma finì sereno, un anno fa, il 9 febbraio 2021, a 88 anni, lasciando una lezione di vita, se mai in politica si prendessero lezioni. Comunque, questo sì, «sempre Franco».

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