Corriere.it: Referendum, il gioco delle parti attorno alle urne
Cacciari dice Sì nonostante la riforma faccia «schifo», Urbani «per disperazione» Poi ci sono «quelli che No» solo per battere Renzi
di Tommaso Labate
«Diciamocela tutta. Io voto Sì, ma per disperazione». A onor del vero, la traccia più evidente del Sì referendario del professor Giuliano Urbani, che l’altro giorno si è sottoposto al confronto di #Corrierelive con la vicepresidente dei Comitati per il No Anna Falcone, stava appuntata sul bavero della giacca. Una gigantesca spilla bianca con la scritta «Liberi Sì», per grandezza più simile alle coccarde della prima Forza Italia che alle spillette tradizionali. Il resto era quasi un elenco di doglianze di quello che non va, nel referendum.
«Un referendum», Urbani dixit, «che pare la fiera delle confusioni, un minestrone…». Urbani, insomma, si mette intellettualmente sulla scia di quelli che la scelta referendaria la faranno secondo la logica del male minore. Sulla scia di chi segue la medesima direttrice intellettuale dell’Indro Montanelli che in vista delle elezioni politiche del 1976, quelle che avrebbero potuto sancire il sorpasso del Pci sulla Dc, invitava i suoi lettori a «turarsi il naso» e a votare per la Balena Bianca.
È lo stesso posizionamento, e se non è lo stesso assomiglia parecchio, del professor Massimo Cacciari. Il filosofo ex sindaco di Venezia, alla fine della primavera scorsa, si presentò alla trasmissione Otto e mezzo di Lilli Gruber su La7 per dire che «io voterò Sì», per sottolineare che «io sono padrone di dire che questa è una puttanata di riforma» e per rimarcare, rispondendo alle obiezioni del pd Matteo Richetti, che «io le posso dire cento punti deboli della riforma». Col passare dei mesi, Cacciari non ha cambiato idea. Di quella riforma, definita a maggio «una puttanata», dice oggi che «fa semplicemente schifo». Ma il suo Sì rimane. Con un’avvertenza: «Il mio non è un turarmi il naso ma un ragionamento che sta in piedi. Il No al referendum è una dichiarazione di fallimento che non può che far piacere ai Salvini e ai lepenisti vari».
Non ci sono solo Salvini e i lepenisti citati da Cacciari. Anche la compagnia di Silvio Berlusconi o Beppe Grillo, Renato Brunetta o Alessandro Di Battista, Nichi Vendola o Ciriaco De Mita, può risultare politicamente insostenibile. E può bastare, a volte, a spingere politici o accademici a orientare la scelta verso il Sì. Più di dieci anni fa, seguendo lo stesso schema, Massimo D’Alema confessò agli amici più stretti di ritenere spesso imprescindibile «il giudizio di Marcello Pera» sulle cose della politica. «Perché quando sono indeciso», spiegò l’allora leader del centrosinistra, «leggo quello che dice Pera e faccio il contrario». Ed è altamente probabile che oggi Pera, schierato secondo alcuni a sorpresa (ma comunque convintamente) per il Sì, si goda il suo essere beatamente distante dalla compagnia di D’Alema. Non a caso, ieri, l’ex presidente del Senato ha preso di mira Berlusconi mandandogli a dire che col No «regalerà l’Italia a Grillo, la darà vinta ai cattocomunisti della Prima Repubblica e riconsegnerà il Pd a D’Alema». Con buona pace del bicameralismo più o meno paritario, del Senato più o meno elettivo, del Cnel più o meno abolito.
Al partito del naso turato appartengono a ogni buon conto anche quelli che voteranno No pur di non far vincere Renzi. Molti ex berlusconiani, tra cui Urbani e Pera, convinti come sono che «questa riforma è molto simile a quella approvata dieci anni fa da Forza Italia», inseriscono in questa lista anche Silvio Berlusconi. Per non dire del fuoco amico che ha colpito Stefano Parisi durante le lunghe settimane della campagna elettorale milenese in cui l’ex amministratore delegato di Fastweb continuava a mantenere sulla riforma di Renzi e della Boschi il più assoluto riserbo. Alla fine, turandosi (come sospettano i colonnelli di Forza Italia) o meno il naso, anche Parisi si è spostato sul No. Roberto Formigoni, pur di non turarsi in naso, ha cambiato idea più volte. Dopo aver votato le riforme in Aula, l’ex presidente della Regione Lombardia è passato da un orientamento favorevole al Sì a uno più tendente al No. E tra rimandi alla «libertà di coscienza di Area Popolare» e avvisi al navigante Renzi, la questione sul suo voto deve essere rimasta abbastanza aperta. Almeno per l’utente di Twitter «Spiderfabius». Che qualche settimana fa, sul social network in questione, gli ha chiesto: «Voti Sì o No al referendum? Rispondi». Non ha risposto.