L’accoglienza da parte delle parrocchie dei migranti comporta necessariamente dei problemi che non sono solo logistici.
Fra poco la Chiesa cattolica si troverà di fronte ad un serio paradosso. In nome della misericordia, della carità, della fratellanza, della solidarietà cristiane, e dei diritti inalienabili della persona affamata ad essere nutrita, nuda ad essere vestita, povera ad essere mantenuta, le parrocchie ospiteranno un numero cospicuo di immigrati. Come faranno è un problema pratico di non facile soluzione. Ma supponiamo che sia risolto, che si trovino un po’ di alloggi per ogni parrocchia, che si trasformino locali in appartamenti, che un asilo sia ristrutturato in camere. Che cosa faranno lì gli immigrati?
Una cosa che potranno fare in ogni momento è pregare, in particolare pregare Allah, che è il Dio della maggior parte di essi. La Chiesa, ovviamente, come nessuno, potrà negare il diritto inalienabile alla libertà religiosa. Ma ogni religione ha un culto, e anche il diritto di culto è inalienabile, così la parrocchia dovrà garantirlo. Come? Creando delle piccole moschee? Qui sta il paradosso. Da un lato, la Chiesa cattolica è impegnata in un’opera di evangelizzazione: lo richiede la sua missione in terra («Andate e ammaestrate tutte le nazioni»; Mt 28,19). Dall’altro lato, è trascinata in un’impresa di islamizzazione: lo richiede la sua adesione alla dottrina dei diritti umani inalienabili («La Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani»; Gaudium et Spes, §41). Non si può scegliere una strada a scapito dell’altra: se la Chiesa rifiutasse o anche solo indebolisse la missione evangelica, non sarebbe più la sposa di Cristo, se combattesse l’islamizzazione non sarebbe più rispettosa dei diritti fondamentali della persona.
Qualcuno ha idee chiare in proposito? Un punto di fatto è incontrovertibile. La Chiesa ha, da tempo, deciso di dialogare con la modernità: «ammoderniamo il nostro linguaggio», diceva ieri; «siamo misericordiosi», dice oggi. Questo proposito l’ha posta di fronte ad un dilemma. Se respinge la modernità, la Chiesa trova sempre meno interlocutori; se accetta il dialogo con la modernità, e accondiscende alle sue esigenze, incontra sempre meno credenti. Perché la modernità non è soltanto contraria alla Chiesa-istituzione, ad esempio, è anticlericale, è contro il connubio fra trono e altare, contro la presenza della religione nella sfera pubblica, contro l’insegnamento religioso nelle scuole, eccetera. La modernità è in primo luogo contraria alla Chiesa-salvezza.
Specialmente i nuovi diritti della modernità (al divorzio, all’aborto, all’eutanasia, al matrimonio omosessuale, alla scelta di genere, alla procreazione artificiale o surrogata, eccetera) rifiutano, in tutto o in gran parte, sacramenti o dogmi o princìpi cristiani. Uno sopra tutti gli altri: la Chiesa di Cristo, come il giudaismo, si basa sull’idea che l’uomo è un angelo caduto perché ha mangiato all’albero della conoscenza del bene e del male e non può salvarsi senza la grazia di Dio. La modernità è esattamente il contrario: l’uomo è padrone di sé e del proprio destino e si salva, supposto che questo termine abbia ancora un significato, con le proprie forze. Di più: per la modernità, è un diritto inalienabile dell’uomo salvarsi da sé medesimo. Ma fra salvarsi con la sola propria ragione e essere salvati dalla grazia di Dio non c’è sintesi. L’ultimo che ne tentò una, l’immortale genio di Kant, fallì anche lui.
L’intera questione non può essere lasciata ai filosofi e teologi soltanto, perché ha immediate e gravi ripercussioni sociali e politiche che riguardano tutti noi, fin da sùbito. Il giorno in cui l’Europa fosse del tutto decristianizzata o fosse islamizzata, come accadrà alla Germania se davvero vorrà andare avanti al ritmo di mezzo milione di immigrati in gran parte islamici ogni anno, potrebbe essere quello radioso del trionfo dei diritti inalienabili, della ragione, della convivenza, della tolleranza, e della pace. Ma potrebbe anche essere l’alba drammatica di un nuovo conflitto, che genererà nuovi profughi, migranti, rifugiati, stavolta cristiani. Io mi àuguro che chi oggi fa scommesse così gravi con la storia e con la nostra civiltà sia ispirato da Dio e sostenuto dalla sua bontà. Sarei disperato se sapessi che invece è guidato solo dalla ragion politica o dall’emozione effimera o dal calcolo brutale.
10 settembre 2015