Interventi

Cerimonia della consegna della Medaglia d’oro Fulbright

 Palazzo Margherita

Mel Sembler Building

 

15 aprile 2005

Roma, 15 aprile 2005

 

Signora Sottosegretario, Signor Ambasciatore, Signor Segretario Generale, Signor Presidente della Commissione Fulbright, Signore e Signori, cari amici,

Prima di tutto vorrei dire che sono onorato dalla presenza a questa cerimonia del Sottosegretario di Stato Patricia de Stacy Harrison, la cui attività e i cui successi di imprenditore, di politico e come promotore di numerose importanti iniziative in campo internazionale, anche nella sua passata qualità di influente membro della National Italian American Foundation (NIAF), sono ampiamente riconosciuti, a cui va il mio personale ringraziamento per aver voluto partecipare.

È un grande onore essere insignito della Medaglia d”oro Fulbright. Alla borsa Fulbright è legata la mia luna di miele intellettuale. È grazie a questa borsa che potei recarmi come visiting fellow all”Università di Pittsburgh nel 1984. È grazie a questa borsa che ebbi l”opportunità di fare incontri cruciali con i più eminenti colleghi e studiosi americani della mia disciplina, la filosofia della scienza. È grazie a questa borsa che cominciò la mia carriera accademica. Nel 1996 ebbi l”opportunità di ricevere un”altra borsa. Commisi un errore, non detti ascolto a mia moglie, entrai in politica e poi divenni presidente del Senato.

C”è un altro motivo per cui io sono grato alla Fulbright. Essa mi ha consentito di coltivare il mio amore per l”America, che voi sapete essere molto grande. Quando avevo pochi anni, sono stato allevato grazie ai contributi che cinque fratelli di mia nonna inviavano ai miei genitori. E quando sono cresciuto ho apprezzato il paese che offre a tutti, senza distinzione alcuna, le più grandi opportunità. Proprio nel 1984 ne ebbi la prova.

Le cose andarono così. Un giorno di quell”anno mi arrivò una lettera di un famoso professore americano che mi invitava per un convegno. Ero un giovane studioso sconosciuto. Io sapevo chi era lui, lui sapeva poco chi ero io, perché le mie pubblicazioni erano in Italiano. Ma si era formato un”opinione di me, e mi voleva incontrare. Presi coraggio e andai. Il mio inglese era inesistente e ricordo di aver avuto difficoltà a chiedere dove si trovava il luogo in cui la fisiologia porta ciascuno due e tre volte al giorno. Mi sentivo come un emigrante, più o meno come Domenico, Raffaello, Beppe, Dino, Pietro, i cinque mitici fratelli della mia amatissima nonna. Quando, durante il mio soggiorno a Pittsburgh andai per la prima volta in California, solo uno di loro era ancora vivo. Era il Thanksgiving. Incontrai lo zio Beppe, ci guardammo, ci mettemmo a piangere nel modo più felice che mi sia accaduto. Egli mi disse: “Bimbo, questo è un grande paese”. Disse “grande”, non “grosso” o “potente” o “ricco”. Non lo dimenticherò mai.

Ecco perché oggi mi sento onorato e grato. La Medaglia che oggi mi viene consegnata incarna una delle grandi idee americane: la collaborazione. Il Senatore Fulbright fu un uomo di ampie vedute, che diventò uno degli esponenti più influenti e più ascoltati dell”America. Credo che pochi sappiano che egli dette un contributo significativo alla creazione delle Nazioni Unite nel 1943 alla Camera dei Rappresentanti, prima di essere eletto al Senato dove servì ininterrottamente dal 1945 al 1974. Il grande storico inglese Arnold Toynbee definì il suo programma per la promozione degli scambi culturali con queste parole: “one of the really generous and imaginative things that have been done in the world since World War II, and the most fabulously profitable investment ever authorized by Congress”. In effetti, quel programma ha avuto enormi ricadute, ha generato il più alto numero di scambi educativi della storia, è ancora uno degli strumenti più efficaci della public diplomacy americana.

Il senatore Fulbright non avrebbe potuto immaginare che cosa sarebbe accaduto sessanta anni dopo. Egli aveva in mente di far conoscere gli aspetti più profondi della società americana: dirittura morale; tolleranza; rispetto verso la diversità; attaccamento alla libertà e alla democrazia; passione per il confronto intellettuale; apertura mentale.  Oggi sembra che molti non apprezzino più questi valori. Sembra che l”Europa non sia più grata all”America. Sembra anzi che l”Europa voglia darsi un”identità antiamericana. Questo, per me, non è soltanto ingratitudine e mancanza di memoria. È un grave errore storico, culturale e politico. A coloro che dicono: “Abbasso l”America”, io dico: “Grazie, America”. A coloro che dicono: “C”è un”altra America”, io dico: “C”è l”America che vedete, in cui vivete, da cui traete benefici”.

Permettetemi di concludere con una nota che è ancora personale, ma di tipo diverso. Sono particolarmente lieto che questa cerimonia si svolga nell”Ambasciata americana – e nell”edificio a lui intitolato – sotto gli auspici di un grande diplomatico, che è stato uno dei migliori ambasciatori del suo paese in Italia. Esprimo a Mel Sembler e a sua moglie Betty la mia amicizia, ammirazione e gratitudine. Se oggi i rapporti tra Roma e Washington sono così buoni, lo dobbiamo anche a lui, che ha saputo accompagnare e incoraggiare un legame così forte che non ha eguali nella nostra storia.

Mel e Betty, mentre state lasciando l”Italia, io vi ringrazio. Ma vi metto in guardia. State attenti a quello che dite. Se per caso vi capitasse di invitarmi a St. Petersburg, sappiate che io accetterò.

Vi ringrazio per la vostra presenza; grazie per le cortesi espressioni nei miei confronti; e grazie per avermi conferito questo riconoscimento, che per me ha un grandissimo significato.

 

 

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