11 Dicembre 2006
1. L’identità negata
L’Europa oggi è una via di mezzo fra un morto, un fantasma e il Padreterno. Come dei morti, dell’Europa si può parlare solo bene. Come dei fantasmi, dell’Europa si avvertono i segni ma non si vede. Come del Padreterno, chi cerca prove dell’Europa conclude che non esiste e chi invece dice che esiste non ha bisogno di prove. Questo è un bel pasticcio e io credo che, per risolverlo, occorra ricominciare da capo e chiedersi: ‘che cos’è l’Europa?’
Con questa domanda non mi riferisco alla questione geografica, perchè non si può decidere quali sono i confini dell’Europa se prima non si sa che cosa essa sia. Non mi riferisco alla questione istituzionale, perchè le istituzioni dell’Europa sono o non sono adeguate a seconda di che cosa si vuole che essa sia. E non mi riferisco neppure alla questione economica, perchè questa riguarda lo sviluppo dell’Europa ed è proprio l’Europa ciò che si deve definire. No, la mia domanda riguarda la questione culturale, morale e spirituale. È, in una parola, una domanda di identità. L’Europa ne ha una? Vuole averne una? Crede che sia opportuno o utile o necessario averne una? E quale?
Prima di procedere, vorrei ricordare che l’Europa ha avuto due occasioni, a distanza di mezzo secolo l’una dall’altra, per rispondere a queste domande e le ha mancate entrambe.
La prima occasione si presentò nel 1954 con la Comunità di difesa europea (Ced). I padri fondatori di questo progetto ― De Gasperi, Adenauer, Schuman ― avevano in mente il continente cristiano, parte di una civiltà, quella euroatlantica, anch’essa ispirata ai princìpi e valori del cristianesimo. Come scrisse il Cancelliere tedesco, ‘consideravamo mèta della nostra politica estera l’unificazione dell’Europa, perchè unica possibilità di affermare e salvaguardare la nostra civiltà occidentale e cristiana contro le furie totalitarie’. In particolare, De Gasperi era consapevole che, in Europa, ‘non esiste un pensiero dominante che possa essere imposto da una sola delle correnti di idee che ai giorni nostri si sono affermate nella civiltà europea’, e però egli aveva piena coscienza del ruolo battesimale del cristianesimo in Europa e nel mondo. ‘La società europea ― egli disse ― nonostante molte deviazioni e frequenti contrasti, riconosce che le sue origini, il suo corso, le sue evoluzioni, la portarono a collocare al suo centro, non lo Stato, non la collettività, ma l’uomo, la persona umana. Qui la concezione cristiana e quella umanitaria si fondono e sono confortate dalla storia’.
Quando la Ced fu bocciata dall’Assemblea nazionale francese, cadde anche la possibilità di definire l’Europa nei termini della sua storia. E lo stesso accadde anche, cinquanta anni dopo, nel 2004, con il Trattato costituzionale europeo. La decisione di non introdurre nel Preambolo del Trattato il riferimento alle radici cristiane dell’Europa fece mancare l’occasione di dare ad essa una sua propria identità. Nell’uno e nell’altro caso, il risultato fu lo stesso, ma le situazioni furono diverse. Con la caduta del Trattato Ced si può parlare di identità europea mancata, con il Trattato costituzionale si deve parlare di identità europea negata.
Questo è, secondo me, ciò che oggi è andato storto in Europa: è andata storta la possibilità di definire l’Europa e di darle un’identità. Tutto il resto ne discende come una conseguenza. Se, geograficamente, l’Europa oggi è indefinita, è perchè non ha una propria immagine; se, economicamente, l’Europa oggi non è competitiva, è perchè non ha coscienza di sè e vuol essere diversa dagli altri; se, politicamente, non è un protagonista sulla scena internazionale, salvo che per predicare la pace e cercare l’appeasement con chi la vuole distruggere, è perchè non sa che cosa promuovere e che cosa difendere; se, culturalmente, l’Europa oggi parla solo di ‘dialogo’ e ‘tolleranza’ con l’Islam senza neanche chiedere vincoli di reciprocità o pretendere una effettiva libertà religiosa nel mondo islamico, è perchè questa Europa non crede più al valore della propria storia; e così via.
La mia domanda allora è: Perchè? Perchè l’Europa va così storta? Risponderò con tre tesi connesse fra loro. La prima: l’unificazione dell’Europa, così come era contemplata dal Trattato costituzionale ora defunto, si basa su un paradosso concettuale e politico che le impedisce di avere una sua propria identità. La seconda: il paradosso europeo deriva dalla secolarizzazione della società europea. La terza: la secolarizzazione europea è connessa al relativismo dominante nella cultura europea. La somma di queste tre tesi porta ad una conclusione: che esiste una crisi morale e spirituale europea la quale mette a rischio non solo la Costituzione europea come documento giuridico e l’Unione europea come organismo politico, ma la stessa civiltà europea come uno dei pilastri della civiltà occidentale.
2. Il paradosso europeo
Comincio dal paradosso europeo, la mia prima tesi. Gli eroici rappresentanti nazionali cui fu affidato il mandato di scrivere la Costituzione europea si trovarono di fronte ad un problema apparentemente insolubile. Come unificare l’Europa in un contesto in cui non esiste un singolo demos europeo, un singolo ethnos, un singolo ethos, e nessuno avverte un singolo telos?
Dovendo portare a termine il loro incarico, quei rappresentanti dovettero fare di necessità virtù. La necessità era quella di approvare un documento che unificasse l’Europa politicamente, la virtù fu quella di far dipendere questa unificazione da un insieme di valori a cui legare i cittadini europei come ad un patrimonio comune. Come dice la Costituzione elencandoli tutti, ‘l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a una minoranza’.
Quando la Costituzione fu infine redatta e approvata, sembrò che si fosse compiuto un miracolo. Con un solo tratto di penna, essa realizzava i migliori ideali: unificare gli europei in un’unica comunità di diritti; sostituire i vecchi nazionalismi con uno nuovo, che venne definito ‘patriottismo costituzionale’; dare corpo all’idea kantiana di una società formata di soggetti politici e morali al tempo stesso; edificare quella pace perpetua che era stato l’altro sogno di Kant. Insomma, grazie alla Costituzione, era nata un’Europa come stato ‘post-nazionale’ e – questo era il miracolo dentro il miracolo – senza presupporre alcuna identità storica particolare antecedente. Infatti, secondo la logica degli estensori della Costituzione, l’identità europea è una conseguenza: precisamente, essa è ciò che risulta dall’accettazione di una comune carta di valori. Non si è europei e perciò si scrive una Costituzione; piuttosto, si scrive una Costituzione e perciò si diventa europei.
A parole, è un bel dire, ma bastava essere attenti ai concetti e alla loro logica, la quale è assai meno malleabile delle parole, per capire che le cose vanno diversamente. Infatti, se si prende la strada dei valori e dei diritti fondamentali per unificare l’Europa, ne deriva: primo, che la Costituzione europea è cosmopolita, perchè, essendo fondamentali, quei valori e diritti appartengono a tutti e ciascuno, indipendentemente dall’essere europeo o no; secondo, che la cittadinanza europea è universale, perchè, di nuovo, essendo fondamentali, tutti, nell’universo, devono godere di quegli stessi diritti, quale che sia la loro collocazione geografica; terzo, che l’identità europea è ideale, perchè prescinde dalla storia degli europei.
Che cosa significa tutto ciò? Significa che la virtù era andata ben oltre la necessità, perchè mentre questa richiedeva di scrivere una Costituzione europea, cioè per gli Europei e soltanto per gli Europei, quella aveva prodotto una Costituzione universale, cioè per tutti gli esseri razionali. E significa che i capi di stato e di governo, anzichè sottoscrivere una Costituzione, avevano affermato un paradosso. Se lo avessero compreso e fossero stati liberi di dirlo, questo paradosso lo avrebbero espresso così: ‘Noi, capi di stato e di governo ci diamo solennemente una Costituzione europea che però non identifica soltanto gli Europei. Noi proclamiamo che l’identità europea non è specificamente europea. Noi perciò dichiariamo che gli Europei non sono europei, cioè cittadini della nostra Europa storica reale, bensì cosmopoliti, cioè cittadini di un universo giuridico ideale’.
Come si spiega questo paradosso? Si spiega ― questa è la mia risposta ed è la mia seconda tesi ― col fatto che in Europa oggi prevale una ideologia illuminista che intende fare tabula rasa del suo passato e delle sue origini e che considera la tradizione e le radici come un ostacolo alla sua identità e non invece come una sua parte. Si tratta dell’ideologia della secolarizzazione. Cerchiamo di capire in che cosa consiste.
3. Il secolarismo europeo
Il miglior documento per comprendere la secolarizzazione europea viene dalla Francia, il paese che, assieme alla Spagna di oggi, ne è il maggior produttore e consumatore. È il famoso rapporto della commissione Bernard Stasi sul velo islamico e gli altri simboli religiosi approvato nel 2003. Anche se è tipicamente francese, lo considero paradigmatico della situazione europea.
La commissione Stasi presenta il principio di laicità dello Stato in questi termini: ‘le istanze spirituali e religiose non possono avere alcuna influenza sullo Stato e devono rinunciare a una dimensione politica. La laicità è incompatibile con qualsiasi concezione della religione che pretenda di regolare, in nome dei princìpi della religione stessa, il sistema sociale o l’ordine pubblico’. E continua: ‘la laicità fa una distinzione fra la libera espressione sprituale e religiosa nella sfera pubblica, che è legittima e essenziale per il dibattito democratico, e l’influenza su di esso, che è invece illegittima’.
Questo è un miracolo, anche se laico: come può esistere una libera espressione della religione in pubblico senza che questa eserciti una influenza sulle decisioni pubbliche? Ma, miracoli a parte, è interessante che cosa segue dal principio di laicità così formulato. In proposito, il primo ministro francese Jean Pierre Raffarin, presentando il rapporto Stasi all’Assemblea generale, fu esplicito. Lo cito perchè anche il suo discorso è paradigmatico. Egli disse: ‘Oggi le grandi religioni della storia di Francia hanno adottato questo principio. Per quelle arrivate di recente, mi riferisco all’Islam, la laicità rappresenta l’opportunità di essere una religione francese’.
Proprio così: una religione francese. Ma se la laicità si presenta come una religione nazionale o di stato, essa ― come già era accaduto per la Dea Ragione degli Illuministi ― è una religione contro le altre religioni, in particolare contro il Cristianesimo. E se la laicità è contro il Cristianesimo, allora la Costituzione europea, la quale deve essere laica, deve essere anch’essa contro il Cristianesimo. Questo spiega le discussioni sul Preambolo e il silenzio del Preambolo sulle radici cristane dell’Europa. La sostanza della faccenda è: l’Europa non deve guardare alle sue radici, non deve ricordarsi di essere stata il continente cristiano, non deve appellarsi al suo tradizionale Dio cristiano. E da qui nasce il paradosso europeo: l’Europa non ha un’identità europea perchè, negando valore pubblico a quel Dio che l’ha tenuta a battesimo, rifiuta proprio una delle componenti, la maggiore, della identità europea.
Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che questo modo di intendere la laicità non è soltanto una questione di cultura da consegnare a intellettuali e accademici, ma un atteggiamento che ha conseguenze politiche rilevanti. Almeno tre.
L’Europa non può avere confini. Se l’Europa non ha identità religiosa o anche solo se rifiuta che la religione sia parte della sua identità, allora chiunque è candidato ad essere cittadino europeo e qualunque stato può essere membro dell’Europa. Oggi si parla della Turchia, ma perchè no Israele o qualunque altro paese del Mediterraneo meridionale o dell’Europa orientale?
L’Europa non è inclusiva. Oggi l’Europa ha tremenda paura dello scontro di civiltà e religioni, ma non si accorge che è proprio la sua mancanza di identità religiosa che esclude gli altri o offende gli altri o induce gli altri a considerarla una semplice stazione in cui prendere il treno più comodo. Il multiculturalismo europeo non è il melting pot americano, in cui l’energia di fusione è data all’identità americana; è la resa alla mancanza di identità e alla incapacità di integrazione.
L’Europa si allontana dall’America. La differenza fondamentale fra Europa e America non è fra Venere e Marte. Questa è una differenza derivata, è una conseguenza del fatto che, mentre l’America conserva lo spirito religioso delle sue origini o lo difende, l’Europa quello spirito lo nega. Agli occhi dell’Europa, l’America è una superpotenza imperiale non perchè usi politiche imperiali, ma perchè, prima di queste politiche, che sono state tante durante tanto tempo, l’America è avvertita dall’Europa come una nazione che è mossa da ideali, da una fede, da un credo, da una missione.
Questo, facendo le somme, è il punto a cui la laicità ha portato l’Europa: fuori dalla cristianità, fuori dall’Occidente, fuori dalla sua storia. In una parola, l’Europa, oggi, è fuori di sè. Se sbanda, se non cresce, se non è un paese guida, se invecchia, se non è spinta verso il futuro, è perchè l’Europa sta perdendo se stessa. Non c’è capo di stato o di governo che oggi dell’Europa unita non parli se non bene; ma in realtà non parlano dell’Europa, parlano di un involucro, di un recipiente, di uno spazio da riempire a seconda delle esigenze del momento. Parlano di un hotel, di un supermercato, di una piazza.
4. Il relativismo europeo
Che cosa ci ha portato a questo punto? Dove sta la ragione della crisi? Sono arrivato alla mia terza tesi. Secondo me, la risposta è: l’Europa oggi attraversa una crisi di identità a causa del relativismo che si diffonde dalle sue èlites culturali e politiche. Cerco di spiegarmi sinteticamente.
Il relativismo, nella filosofia politica, è una forma degenere del liberalismo. Il liberalismo classico europeo ha potuto fiorire, e vincere sui suoi avversari, in primo luogo il comunismo, finchè ha potuto dare per scontato il fondamento della propria dottrina, cioè il valore morale dell’individuo e della persona, che è un tipico principio religioso, in particolare ebraico-cristiano. Estinto o in via di estinzione questo fondamento a causa della laicizzazione della società europea, il liberalismo è lentamente pervenuto alla conclusione che esso è una dottrina come un’altra, e quel fondamento è un principio che non ha più valore di un altro. Per il relativista, tutti gli stili di vita, le forme di cultura, i modi della civiltà, hanno una propria giustificazione. In particolare, il nostro stile di vita europeo o occidentale, non è universale, non può essere esportato, non può essere giudicato superiore ad altri. Come si dice, gli stili di vita sono ‘incommensurabili’: ognuno ha il proprio.
Che cosa discende da questa concezione? Discende che ‘tutto va bene’, alla sola condizione che ciò che è bene sia deciso dai più. Giovanni Paolo II aveva messo in guardia da ciò che egli definiva ‘l’alleanza fra relativismo e democrazia’ e, nella Centesimus annus, aveva scritto che ‘una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo’. Noi oggi, in Europa, viviamo in questo ‘totalitarismo democratico’, per usare un’espressione paradossale ma adeguata alla situazione: totalitarismo, perchè è un pensiero unico e dominante, democratico perchè passa attraverso i voti dei parlamenti o i giudizi dei tribunali.
Considerate che cosa si produce sul mercato europeo di quelle che vengono chiamate ‘nuove libertà’ o ‘nuove conquiste civili’. L’aborto, la sperimentazione sugli embrioni, la clonazione, l’eutanasia, l’eugenetica, il matrimonio omosessuale, la poligamia, il partito dei pedofili: queste sono alcune specialità europee offerte dalla laicità europea. Considerate anche come queste ‘conquiste’ si producono. Una minoranza le chiede dicendo: ‘è un bene per me’. La maggioranza si domanda: ‘che male c’è a concederlo?’, ‘a chi nuoce?’, ‘se lui vuole quel diritto per sè e non lo impone a me, perchè negarglielo?’. E così acconsente alla richiesta. Infine, considerate che, con gli strumenti offerti dalla cultura europea, non c’è modo di rifiutare queste ‘specialità’ o ‘conquiste’, perchè, per rifiutarle, occorrerebbe dire che i beni non sono per alcuni, ma, essendo beni, sono beni in sè, per tutti, e aggiungere che ci sono valori fondamentali, non violabili, non negoziabili, e dunque sacri. Ma su questo modo di dire interviene la censura relativistica: ‘sacro’ è espressione che non si può usare, perchè è termine e concetto religioso e la laicità europea impone che si rifiuti la religione.
5. Il fardello europeo
Basta il relativismo di oggi per spiegare questo affievolimento del sentimento religioso, il quale genera il laicismo, il quale dà origine al paradosso europeo, il quale impedisce l’identità europea? No, al relativismo di oggi si deve aggiungere il peso della nostra storia, la quale include la storia religiosa, la quale contiene la storia della Chiesa cattolica. La crisi di oggi è figlia del nostro passsato. Mi limito a ricordare proprio alcuni degli episodi più significativi della nostra vicenda religiosa.
In Europa c’è stata l’unione del trono e dell’altare. In Europa, quando questa unione si è spezzata, l’Illuminismo francese ha cercato non solo di distruggere la Chiesa o il Papa (ècrasez l’infame!), ma la stessa religione cristiana. In Europa, alcuni principali stati nazionali, come la Francia o l’Italia, si sono costituiti contro la Chiesa. In Europa, la Chiesa ha chiesto o acconsentito a concordati da cui trarre benefici temporali. In Europa, ancora ieri, al momento della scrittura e approvazione della Costituzione europea, la Chiesa ha badato più a salvaguardare questi benefici che a difendere la civiltà cristiana. Insomma, in Europa, la Chiesa non sempre è stata fattore di crescita civile o spirituale. Al contrario, spesso si è trovata dalla parte opposta. È stata contro Erasmo, contro Galileo, contro Beccaria, contro la libertà di coscienza e di pensiero, contro lo Stato laico, contro il liberalismo, contro la democrazia, contro il capitalismo, contro l’ebraismo. Inoltre, la Chiesa ha benedetto fascismo, franchismo e collaborazionismo e ora rischia di non comprendere i rischi dell’islamismo. E se non ha ufficialmente civettato col comunismo è perchè quello le era dichiaratamente nemico. Troppo spesso la Chiesa è stata clericale e temporale e ha sollevato, per reazione, anticlericalismo e laicismo.
Eppure non c’è evento o passaggio storico rilevante della storia d’Europa che non abbia visto per protagonista il cristianesimo. Il valore del lavoro materiale e intellettuale al tempo del monachesimo; il concetto di dignità della persona al tempo dell’umanesimo; la scienza moderna al tempo della Rivoluzione scientifica; l’economia di mercato al tempo della nascita del capitalismo; i diritti fondamentali e il diritto internazionale al tempo delle conquiste delle Americhe; i costumi morali in ogni tempo; e così via.
Il Cristianesimo non è solo la nostra religione storica; è la nostra cultura, il nostro stile di vita, il nostro modo di essere, una parte costitutiva della nostra identità. La Chiesa ha il merito di esserne l’interprete e spesso il demerito di averlo interpretato male. Ha il merito della difesa della tradizione e il demerito di averla spesso eretta ad ostacolo della modernità. Ha il merito della diffusione della fede cristiana e il demerito di averla talvolta ridotta a pratica vuota o strumento di potere. Questo doppio bilancio, questa dialettica e talvolta aperto conflitto e scisma fra cristianesimo e Chiesa cristiana noi dobbiamo comprenderlo, spiegarlo e portarlo come un peso. Non possiamo essere così candidi o così arroganti da credere di saper distinguere il grano dal loglio. E perciò possiamo essere critici della Chiesa ma dobbiamo essere cristiani. E dobbiamo essere cristiani anche se non abbiamo il dono della fede. Anche ‘cristiani non credenti’, ma pur sempre cristiani, velut si Deus daretur.
L’Europa oggi questa scelta non la fa. Non la fa neppure di fronte alla rinascita del fondamentalismo islamico, che oggi è l’avversario principale della sua identità e sicurezza. Preferisce essere sottile e capziosa, astuta e diplomatica, aperta e arrendevole, oppure muta e impaurita. Non vuol chiedersi chi è, ama piuttosto dirsi chi non è, preferisce sempre una ‘terza via’, trova sempre un modo per declinare le proprie responsabilità. Per questo l’Europa è andata storta e rischia il declino.
Quando era ancora cardinale, Joseph Ratzinger fece un paragone terrificante. Scrisse: ‘l’Europa, proprio nel momento del suo massimo successo, sembra svuotata dall’interno, come paralizzata da una crisi circolatoria … Il confronto con l’Impero Romano al tramonto si impone …’. Oggi che è Benedetto XVI Joseph Ratzinger è costretto a parlare per l’Europa mentre la stessa Europa lo lascia solo, non sa comprenderlo e non vuole difenderlo. La predizione del Cardinale è diventata il fardello del Papa. O quel fardello del Papa lo prendiamo tutti sulle nostre spalle, oppure la predizione del Cardinale si avvererà. Siccome sono pessimista, preferisco non dire come, secondo me, andrà a finire.