Interventi

Benedetto XVI e l’Europa. Qualche riflessione

Bologna, 5 marzo 2009 
Istituto Veritatis Splendor 

Nel presentare il pensiero di Benedetto XVI sull’Europa, cercherò di essere il più fedele possibile alle sue idee. Come è noto, non esistono ancora interventi sistematici o documenti di Benedetto XVI sull’Europa, niente, ad esempio, di paragonabile alla Ecclesia in Europa di Giovanni Paolo II del 2003. Ma i suoi interventi da cardinale sono molteplici e assai meditati e perciò possiamo riferirci ad essi. Le questioni su cui mi concentrerò sono tre: che cosa è l’Europa; la crisi attuale dell’Europa; le prospettive per uscire dalla crisi. 

Che cosa è l’Europa 

“Europa” è un termine descrittivo, un nome proprio. Ma per che cosa sta? Questa è una questione che non si presenta per altri termini dello stesso tipo, ad esempio “America”, di cui è sufficientemente preciso il significato. Nel caso di “Europa”, il termine denota almeno tre entità. Per comodità, le chiamerò E(a), E(b), E(c). 

E(a) una entità geografica il continente europeo 
E(b) una entità politica l’ordinamento dell’Ue 
E(c) una entità culturale la civiltà europea. 

Si può osservare che queste tre entità non si sovrappongono, come ad esempio accade per “America”, perchè i loro confini di significato si allargano e si restringono. Ad esempio, E(c) include l’America e Israele, mentre E(b) li esclude. Oppure: E(b) esclude, al momento, la Russia e i paesi est-europei, mentre E(c) no. Quanto a E(a), il continente europeo, è più ristretto rispetto a E(c), perchè di civiltà europea si parla anche per l’America o l’Australia o per l’Occidente. 
Concentriamoci su E(c), che è l’entità che più preme a Benedetto XVI. Egli osserva che ha una storia di continue divisioni e aggregazioni. à, alle origini, la storia dell’impero romano, primo nucleo del concetto di Europa. Della divisione fra Nord e Sud del Mediterraneo, con la nascita e le conquiste dell’islam. Della divisione fra Roma e Costantinopoli, Impero romano di Occidente e di Oriente. Della divisione dell’Impero carolingio dalla “terza Roma” (Mosca). Della divisione fra Nord e Sud (protestanti e cattolici, dopo la Riforma). Della (ultima) divisione dell’impero in Stati nazionali (con la corrispondente divisione fra laici e cristiani). 
La caratteristica di questo continuo spostamento di confini culturali e anche geografici è data dal cristianesimo. Sono le vicende del cristianesimo che segnano la storia dell’Europa nel senso di E(c). L’Europa di oggi è figlia della cultura della Rivoluzione francese e dell’illuminismo. Come dice Benedetto XVI: 

“Soltanto adesso questa cornice spirituale [del Sacrum Imperium] va in frantumi anche formalmente, questa cornice spirituale senza cui l’Europa non avrebbe potuto formarsi. Questo è un processo di portata considerevole, sia dal punto di vista politico, sia da quello ideale. Dal punto di vista ideale questo significa che la fondazione sacrale della storia e dell’esistenza statuale viene rigettata: la storia non si misura più in base ad un’idea di Dio ad essa precedente e che le dà forma; lo Stato viene oramai considerato in termini puramente secolari, fondato sulla razionalità e sul volere dei cittadini ([1], p.17). 

Precisiamo. Che cosa significa questa ultima trasformazione del concetto di E(c)? In una parola, significa questo: che lo Stato europeo non ha fondamenti pre-politici, in particolare religiosi. Che è laico. Che basta a se stesso. Che non considera più il comandamento religioso come vincolo normativo. Che o combatte la religione (si costruisce contro di essa, come lo Stato socialista) o la relega nella sfera privata (come lo Stato democratico moderno). 
Questa è l’Europa in cui noi oggi viviamo, il significato di E(c) che è più diffuso. Lo si è visto, ad esempio, in occasione delle discussioni circa il preambolo della ora morta e sepolta Costituzione europea. Escludere il riferimento al cristianesimo significava per coloro che sostenevano questa tesi affermare la laicità dell’Europa, il suo rifiuto di qualunque ancoraggio a elementi pre-politici fondativi. Solo che questa ultima svolta, per Benedetto XVI, segna la “crisi” dell’Europa nel significato E(c). Mentre E(a) ora resta invariato e E(b) si allarga, E(c) cambia valori e perde valore: l’identità europea, che è assicurata proprio da E(c), rischia di perdersi. Si entra nell’era “post-europea”. Come egli dice: 

“Io vedo qui una sincronia paradossale: con la vittoria del mondo tecnico-secolare posteuropeo, con l’universalizzazione del suo modello di vita e della sua maniera di pensare, si diffonde, specialmente nei paesi strettamente non europei dell’Asia e dell’Africa, l’impressione che il sistema di valori dell’Europa, la sua cultura e la sua fede, ciò su cui si basa la sua identità, sia giunto alla fine e sia anzi già uscito di scena; che sia giunta l’ora di sistemi di valori di altri mondi, dell’America pre-colombiana, dell’islam, della mistica asiatica” ([2], p.59). 

Oppure, ancora più drammaticamente, con un richiamo alle previsioni di Oswald Spengler: 

“Il confronto con l’Impero Romano al tramonto si impone: esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quei modelli che dovevano dissolverlo, aveva esaurito la sua energia vitale” ([2], p.60). 

La crisi attuale dell’Europa 

Di che tipo è questa crisi dell’Europa? Certamente è di tipo spirituale, ma ha due aspetti, distinti ancorchè complementari. Li indico schematicamente. 
Il primo aspetto è quella che possiamo chiamare la “apostasia del cristianesimo” come elemento fondante dell’autorità politica e come elemento di riferimento della legislazione positiva e del costume sociale. à il fenomeno del laicismo. 
Il secondo aspetto è la riduzione della ragione nei limiti della sola ragione scientifico-tecnica, con esclusione della dimensione etico-pratica. à il fenomeno del razionalismo. 
Niente è più difficile del definire il termine “laico”. Se ci limitiamo al significato consueto di “non credente” o “non religioso”, allora il laicismo ha difficoltà evidenti. Consideriamo lo Stato “laico”. Dal punto di vista politico-giuridico, dovrebbe voler dire che esso è una istituzione separata dalla Chiesa. Dal punto di vista concettuale, che non è fondato su alcun elemento religioso, che non si basa su alcun elemento “pre-politico”, che non sceglie o privilegia alcuna “concezione del bene” fra tutte quelle che ha a disposizione, che è “neutrale” o “equidistante” o “indipendente” rispetto ad esse. Ora, nessuno oggi discute più sulla laicità dello Stato nel primo senso: ha vinto e tutti la consideriamo una conquista la formula “libera Chiesa in libero Stato”. 

“Noi dobbiamo assumere dall’età moderna, come dimensione essenziale e irrinunciabile dell’elemento europeo, la separazione relativa di Stato e Chiesa, la libertà di coscienza, i diritti umani e l’autoresponsabilità della Ragione ([4], p.159). 

Ciò di cui invece si fa questione, e che costituisce certamente un problema, è la laicità nel secondo senso. Lo Stato laico, in particolare il moderno Stato laico, quello che si chiama Stato liberal-democratico, è davvero neutrale rispetto ai suoi propri fondamenti? 
Benedetto XVI dice che non lo è, a causa di una ragione fondamentale. Si tratta di quelli che si chiamano “diritti umani fondamentali”, che lo Stato moderno adotta nelle proprie costituzioni ed anche esporta nelle carte internazionali dei diritti (dell’uomo, del fanciullo, delle donne, eccetera). Benedetto XVI dice che “è nell’Europa che, per la prima volta, è stato formulato il concetto di diritti umani” ([5]) e sostiene che essi sono “elementi morali fondanti” ([2], p.67). La sua tesi è questa: 

“I diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, nè conferiti ai cittadini, ma piuttosto esistono per diritto proprio, sono da sempre da rispettare da parte del legislatore, sono a lui previamente dati come valori di ordine superiore” ([2], p.67). 

Dati da chi? 

Il valore della dignità umana, precedente a ogni agire politico e a ogni decisione politica rinvia al Creatore: soltanto lui può stabilire valori che si fondano sull’essenza dell’uomo e che sono inviolabili [L]a fede cristiana vede in ciò il mistero del Creatore e della condizione di immagine di Dio che gli ha conferito all’uomo” ([2], p.67). 

Il laicismo allora è confutato. Lo Stato laico ha fondamenti non laici. Si potrebbe obiettare che i fondamenti dello Stato laico sono invece laici, politici, perchè dipendono dal consenso, di tutti o della maggioranza. Ma questa tesi si autoconfuta. I diritti fondamentali sono inviolabili e dire che i diritti inviolabili dipendono dal consenso equivale a dire che i diritti inviolabili sono violabili. Si potrebbe ancora obiettare che, sí, i diritti fondamentali dipendono da una fede, ma da una fede laica, razionale. Questo però fa nascere un paradosso: che cos’è una fede razionale? à una fede dimostrata? Una fede provata? Una fede convenuta? Una fede autoevidente? Una fede discorsiva? 
Qui entra il secondo aspetto della crisi dell’Europa secondo la visione di Benedetto XVI: il razionalismo moderno. Questo aspetto rivela un altro paradosso: che mentre si appella ad una fede razionale, l’Europa stravolge quel senso di “ragione” che solo potrebbe darle quella fede. Per l’Europa di oggi, “ragione” significa solo “ragion scientifica”. Scrive il Papa: 

“[Q]uesta Europa, sin dai tempi del rinascimento, ha sviluppato proprio quella razionalità scientifica che impronta di sè tutto il mondo, in un certo senso lo uniforma Questa razionalità puramente funzionale, per cosí dire, ha comportato uno sconvolgimento della coscienza morale altrettanto nuovo per le culture finora esistite, poichè sostiene che razionale è soltanto ciò che si può provare con degli esperimenti ([3], pp.35-36). 

Se “ragione” è sinonimo di “ragion scientifica”, allora l’etica che un tempo cadeva nel dominio di un’altra, o diversa o più ampia, ragione, la “ragion pratica” non è più razionale. à o una questione soggettiva, di preferenze di individui o gruppi, oppure è un calcolo delle conseguenze. 

“In un mondo basato sul calcolo, è il calcolo delle conseguenze che determina cosa bisogna considerare morale oppure no. E cosí la categoria di bene, come era stata evidenziata chiaramente da Kant, sparisce. Niente in sè è bene o male, tutto dipende dalle conseguenze che un’azione lascia prevedere” ([3], p.37). 

à da questa analisi che nasce l’appello di Benedetto XVI ad “allargare i confini della ragione”. Non si tratta di rifiutare la ragione o la scienza o la tecnica, si tratta di riconoscere che la ragione cosí come è intesa e praticata dall’Europa non basta a se stessa. Non serve per quell’opera di fondazione delle sue libertà, dei suoi diritti, delle sue carte fondamentali, per la quale è invocata. La ragion scientifica non è solo estranea alla morale, le è anche ostile, perchè la ragion scientifica, dichiarando se medesima come criterio di significato, rende insignificante, soggettiva, relativa, qualunque fede, compreso la fede laica e razionale. 
Prima di chiudere su questo punto, vorrei far osservare una delle conseguenze più rischiose della crisi spirituale dell’Europa. Si tratta dello “scontro di civiltà”. Solitamente, quando si evoca questo scontro, ci si riferisce a quello cristianesimo-islam. Ma Benedetto XVI ne mette in rilievo un altro, che è tutto interno all’Europa. 

“L’accantonamento delle radici cristiane non si rivela espressione di una superiore tolleranza che rispetta tutte le culture allo stesso modo, non volendo privilegiarne alcuna, bensí come l’assolutizzazione di un pensare e di un vivere che si contrappongono radicalmente, fra l’altro, alle altre culture storiche dell’umanità Se si arriverà ad uno scontro delle culture, non sarà per lo scontro delle grandi religioni da sempre in lotta le une contr5o le altree ma che, alla fine, hanno anche sempre saputo vivere le une con le altre ma sarà per lo scontro tra questa radicale emancipazione dell’uomo e le grandi culture storiche ([3], p.54). 

Come uscire dalla crisi 

Se i due aspetti della crisi spirituale dell’Europa qui ricordati con le parole di Benedetto XVI sono corretti, e secondo la mia opinione lo sono, allora uscire dalla crisi è terribilmente difficile. Per varie ragioni connesse fra loro. 
Intanto, non sembra che ci sia consapevolezza della crisi. Fra le èlite culturali e politiche europee c’è la convinzione che quella che si chiama “crisi” sia invece un progresso, uno sviluppo, una ulteriore conquista di civiltà. Tra queste èlite corre ancora l’idea che l’eredità della Rivoluzione e dell’illuminismo debba ancora dispiegarsi nella sua completezza, che la laicizzazione debba ancora dare i suoi frutti, che le libertà europee debbano ancora superare gli ostacoli frapposti dalla religione e da ogni suo ingresso e ruolo nella sfera politica. Questa idea può essere contrastata, ma le difficoltà sono evidenti, perchè è molto radicata e diffusa. La rinascita del fondamentalismo islamico la aiuta, perchè l’antidoto migliore contro di esso viene identificato nello spirito laico. Solo quando anche gli islamici saranno diventati laici si dice lo scontro fra culture e religioni sarà scongiurato. Solo quando anch’essi comprenderanno che la religione è solo un fatto privato si ripete di continuo tutti daranno la fedeltà agli Stati in virtù di ragioni meramente politiche. Questa è un’illusione, perchè l’estrema laicizzazione europea equivale alla estrema rinuncia alla sua identità. Ma come si può combattere questa illusione? Solo con una battaglia culturale protratta nel tempo. E non c’è chi non veda che questa battaglia è oggi incerta. 
In secondo luogo, uscire dalla crisi è difficile perchè l’invito di Benedetto XVI a farlo recuperando il senso del cristianesimo, a vivere, come egli dice, velut si Deus daretur, sembra urtare contro quelle che noi consideriamo “conquiste civili” . Dal punto di vista di coloro che apprezzano queste conquiste, il cristianesimo è contro i “diritti”: è contro il divorzio, il matrimonio omosessuale, l’aborto, l’eutanasia, le pratiche, terapie, e invenzioni più evolute. Insomma, è contro il progresso scientifico, la libertà di coscienza, l’autodeterminazione morale, la libera scelta dei nostri stili di vita. O questi stili vengono percepiti come disvalori, come elementi di una progressiva deriva morale, oppure, finchè hanno attrattiva, non è possibile trovare soluzioni alla crisi. 
C’è una terza ragione. Se la soluzione alla crisi spirituale dell’Europa è un recupero della spiritualità cristiana, allora bisogna trovare una soluzione soddisfacente del rapporto scienza-fede. La vecchia, e sempre precaria, soluzione di Galileo che la scienza non può urtare mai con la fede, che una verità di scienza non può contraddire una verità di fede è troppo ottimistica. à vero che la scienza tratta solo questioni di fatto e non di valore, ma non è vero che qualunque soluzione ad una questione di fatto è compatibile con una questione di fede. 
Faccio solo un esempio tratto dalla bioetica. La scienza medica tratta l’uomo come una cosa: quando si guasta, ogni strumento è buono per aggiustarla, ogni esperimento è utile per correggerla, ogni invenzione può essere efficace per migliorarla. Ma la fede religiosa tratta l’uomo come una persona, cioè dotato di una sua dignità, sacralità, inviolabilità. Cosa e persona possono correre parallelamente, senza interferire l’una sull’altra: si può curare senza offendere, sperimentare senza ledere, tentare senza violare. Ma fatalmente arriva un punto in cui il processo parallelo si interrompe. Ad esempio, è lecito sperimentare su un embrione per ottenere una terapia? à consentito perdere una vita per avere più speranza di vita? Se si risponde no, allora il conflitto fede-ragione compare, se si risponde sí, il conflitto scompare, ma solo perchè scompare la fede. In circostanze come queste, come si possono allargare i confini della ragione? Qual è quel concetto di ragione che, nei suoi confini, contenga senza conflitti e la ragion scientifica e la ragion etica? 
Qui giunti, si scopre un dato: la crisi dell’Europa è la crisi della modernità, ma la post-modernità non è una risposta a questa crisi, piuttosto ne è l’aggravamento. Solo una diversa fede nella ragione illuminata moralmente e religiosamente ci può aiutare. Sarebbe già un passo per uscire dalla crisi convincersi che questa nuova fede dobbiamo perseguirla, per non arrenderci o perderci. 

Riferimenti bibliografici 

[1] J. Ratzinger, Europa, Edizioni San Paolo, Milano 2004. 
[2] M. Pera, J. Ratzinger, Senza radici, Mondadori, Milano 2004. 
[3] J. Ratzinger, L’Europa di Benedetto, Cantagalli, Siena 2005. 
[4] D. Tessore, Introduzione a Ratzinger, Fazi Editore, Roma 2005. 
[5] Benedetto XVI, Discorso alle autorità e al corpo diplomatico, Hofburg, Vienna, 7 settembre 2007. www.vatican.va.

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