27 Settembre 2009
Caro Direttore, e’ augurabile e soprattutto urgente che il presidente Berlusconi prenda in serio esame le considerazioni che gli ha indirizzato l’ onorevole Giorgio La Malfa sul Suo giornale. Il loro peso politico va ben oltre la consistenza numerica della rappresentanza repubblicana nel Parlamento perche’ coinvolge questioni della somma importanza per il governo e il Pdl. La Malfa esprime un sentimento diffuso fra l’ elettorato del presidente Berlusconi e certamente in tutta quella parte che, il giorno della sua discesa in campo, si senti’ finalmente sollevata dall’ idea di un “partito liberale di massa”, come allora si diceva, e soprattutto dall’ idea di un’ azione di governo ispirata a quel minimo di politica liberale – nei settori economico, istituzionale, scolastico, sociale, dei servizi – la cui mancanza da tanto tempo aveva ridotto l’ Italia al non invidiabile ruolo di primo dei Paesi para-sovietici al di qua del muro di Berlino. Quel giorno non poca gente si senti’ chiamata in causa e coinvolta, e decise di scendere in campo anch’ essa.
Lo fecero persino alcuni intellettuali che sfidarono il prevedibile discredito che i loro colleghi gettarono loro addosso. La Malfa oggi lamenta le promesse deluse in materia di diminuzione della pressione fiscale, liberalizzazioni, riduzione della spesa corrente, riforme della Pubblica amministrazione, e altre ancora. Ritengo che siano lamenti fondati. E percepisco anch’ io, come tanti altri che nel frattempo si sono raffreddati, ritirati, o semplicemente messi in silenzio e in attesa, un effetto di spaesamento. Dal Paese liberale che volevamo raggiungere ci sembra di essere tornati al Paese socialista da cui volevamo sfuggire. Non ci consola che il socialismo, sotto forma di interventismo e assistenzialismo di Stato, sia pratica corrente nei Paesi europei, anche guidati dal centrodestra. Non ci solleva il morale vedere che ora sia stato esportato dall’ Europa in America (e’ la democrazia che non si esporta, il socialismo evidentemente s�). Non ci basta la motivazione che questi sono tempi duri e, se si vuole il consenso, bisogna prima assistere gli elettori con ogni mezzo. E, a dir la verita’, non ci entusiasma per nulla quel vezzo intellettuale della critica al “mercatismo” che ogni tanto il ministro del Tesoro evoca nei suoi discorsi. Anzi, l’ idea che prima si presentava la legge finanziaria con una citazione di Kant e ora la si condisca con apprezzamenti di Hegel o Marx, ci preoccupa fortemente. Se non altro, perche’ da Kant si puo’ ancora imparare tantissimo, da Hegel e Marx abbiamo imparato anche troppo. Naturalmente, queste non sono questioni ideologiche, anche se esistono pure quelle, e sono importanti, perche’ se un partito non ha chiara la propria cornice culturale, non puo’ aver chiara neppure la propria politica, e se non ha chiara la propria politica allora rischia di trasformarsi in un mero contenitore occasionale di voti. Sono, quelle sollevate da La Malfa e da tanti altri, questioni di programma e di azione di governo. In mancanza di riforme, e in presenza solo di concessioni – ora ai cassintegrati che protestano, ora a Confindustria che chiede, ora al grande imprenditore che minaccia, ora al diavolo e ora all’ acqua santa – l’ Italia puo’ passare la nottata, ma non ha certezza di svegliarsi allegra. Ogni tunnel, come ha un inizio, ha una fine e anche noi, come tutti, ne usciremo. Cio’ che non sappiamo e’ come. Nel linguaggio di La Malfa: alla ripresa, saremo piu’ o meno competitivi? Nel mio: saremo piu’ liberali o piu’ socialisti? E ce la faremo ad essere ancora allegri socialisti quando la pressione fiscale ormai dimezza (dimezza!) i nostri guadagni (“e’ contro il diritto naturale”, avrebbe detto un tempo il presidente Berlusconi), quando lo Stato mortifica la nostra liberta’, deprime l’ intraprendenza, ci abitua a stendere la mano per chiedere o piatire? Ne’ la questione riguarda solo l’ economia. Altre domande sono non poco preoccupanti. Retorica resistenziale a parte, la nostra Costituzione e’ ancora adeguata, oppure gia’ si vedono crepe vistose in un Parlamento ridotto ad appendice votante del governo e in una diarchia avanzante ai vertici della Repubblica che non promette niente di buono? E retorica risorgimentale a parte, il nostro Stato e’ istituzionalmente adeguato oppure c’e’ da temere che la riforma del Titolo V, su cui sempre colpevolmente si tace, aggiunta adesso al federalismo fiscale, produca frammentazione e disunione e non meno costi e migliori servizi e prestazioni? Insomma, c’e’ materia per discutere. Non al caminetto ne’ a pranzo o a cena. Esiste una enorme questione nazionale, che dovrebbe coinvolgere tutti i partiti, anche la sinistra se vuole tornare ad esserci, perche’ riguarda l’ Italia, che cosa e’, che cosa non vuole piu’ essere, che cosa vuole diventare. Alla fine di questa legislatura sara’ trascorso il ventennio berlusconiano. L’ ironia facile e’ fuori luogo. E’ meglio per tutti discutere piuttosto che ironizzare, perche’ chi vuole ridere oggi rischia di piangere domani.