Interventi

Forza Italia. Un partito liberalconservatore?

7 Luglio 2007

di Marcello Pera

1. Partito-strumento e partito-progetto

Questa ‘Scuola di partito’ di Forza Italia è sicuramente una iniziativa eccellente. È anche un’iniziativa di successo, a giudicare dal gran numero e dalla buona qualità degli allievi che hanno chiesto di frequentarla. Esprimo perciò la mia approvazione, assieme al mio plauso per chi l’ha pensata e organizzata, aggiungendo l’augurio che essa diventi un punto di riferimento fisso, un luogo altamente qualificato e distinto rispetto alle tante iniziative analoghe che stanno proliferando, le quali tutte mettono in luce lo stesso fenomeno nuovo e importante, e cioè che esiste una domanda diffusa, un bisogno crescente, di alta riflessione sulla, e di addestramento alla, politica, non solo quella di attualità quotidiana. Buon segno e di buon auspicio.

Parlando ad una scuola di partito di Forza Italia, si dovrebbe ovviamente dare per concesso il presupposto – e cioè che Forza Italia sia un partito. Ma poichè questo presupposto non è di solito discusso, anche se è oggetto di tanti malumori, credo che questa sia la sede opportuna per affrontare l’argomento. Ne farò perciò oggetto della lezione che mi è stata chiesta. Naturalmente, non ho vocazione da maestro, solo il desiderio di dare un contributo.
Dunque: Forza Italia è davvero un partito? E che tipo di partito è? Qual è la sua natura ideale? Perchè si definisce liberale? E questa definizione è adeguata o ce n’è una migliore?
Come si vede, sono tutte questioni che hanno un duplice aspetto, uno organizzativo e uno culturale. L’aspetto organizzativo si riferisce al partito come strumento, quello culturale al partito come progetto, che sono facce della stessa medaglia, dacchè un partito – tradizionale o no – deve essere tutte e due le cose. Per capire la relazione fra entrambe, si potrebbe dire, ricorrendo ad una celebre frase, che senza lo strumento il progetto è cieco, senza il progetto lo strumento è vuoto. Dunque, in quale situazione ci troviamo?
Certamente, all’esame comparativo, se si confronta Forza Italia con altri partiti, si può concludere che Forza Italia è anch’essa un partito. Procedendo dall’esterno all’interno, si vede che esistono sedi, dove si fanno incontri e si tengono assemblee. Poi ci sono gli iscritti che hanno le tessere, quasi tutte a titolo proprio, anche se forse, in qualche caso, donate a coupon da questo o quel capo. Poi ancora si vede che i detentori delle tessere celebrano i congressi locali dove gli aspiranti si scontrano anche duramente, oppure non si scontrano affatto e neppure discutono, perchè tutto è stato deciso prima. Infine, ci sono gli organismi, che i capi previdenti fanno funzionare e gli altri invece usano a titolo onorifico. Insomma, esattamente come in tutti i partiti. Però con una novità molto positiva che va a nostro merito: da noi c’è più entusiasmo, più partecipazione alla base, soprattutto da parte di giovani e donne, più opportunità e più ricambio. Questa scuola ne è un bell’esempio.
E però, se vogliamo darci una pagella onesta sul nostro partito-strumento e non solo pacche consolatorie o ammiccanti sulle spalle, dobbiamo riconoscere che, oltre ai segni ‘uguale’ e ‘più’, ci sono anche quelli ‘meno’ e ‘insufficiente’. Ad esempio, gli organismi eletti si fermano nella scala bassa della gerarchia. Un congresso nazionale fu fatto un decennio fa. Gli organismi decisionali nazionali sono pressochè di cooptazione, si riuniscono poco, oppure sbrigano solo pratiche amministrative. Questo fa sì che scarseggi la discussione politica importante, la conoscenza reciproca e l’informazione. Talvolta accade che uno di noi confidi in un altro o diffidi di un altro per ragioni di sentito dire o per simpatia o antipatia o telegenia. È come se si avesse timore del confronto e anche della lotta politica, che poi è l’essenza del partito-strumento. Oppure è come se non si volesse disturbare Lui.
Il quale Lui, cioè il Presidente, che ora gli altri ci invidiano apertamente e ci vogliono imitare dopo averlo denigrato per anni, mostra di essere consapevole di questo stato chiaroscuro di cose e sembra voler correre ai ripari, investendo su un’altra formazione parallela, cioè i Circoli della libertà. La qual cosa ha i suoi vantaggi ovvi, che nessuno disconosce, se non altro per i meriti indubbi di chi li gestisce, ma crea altri problemi rispetto al partito, come si vede dal fatto che, lo dica apertamente o no, l’apparato diffida, si difende e fa resistenza, un po’ come il bambino maggiore quando si vede nascere e portare in casa una sorellina, bella, rossa e con la voce squillante che sembra canti: Vittoria! Vittoria! Che fare? Non mancano gli episodi divertenti, come quello di chi, sentendosi escluso da una parte, pressa alla porta dell’altra, o quello degli incerti, che si pongono la domanda angosciante: quale sarà il cavallo giusto? Meglio puntare sul baio o sul puledro? Vincente o accoppiata?
Non c’è da allarmarsi, perchè è anche così che si cresce. Meglio tuttavia dirsi tutto con franchezza, spiegare bene le intenzioni e chiarire i progetti. Per fare la somma provvisoria dello stato in cui siamo, io direi che, come partito-strumento, Forza Italia è oggi più di un movimento e meno di un partito tradizionale. Siccome un ‘partimento’ non si può dire, concludiamo che siamo uno strumento sui generis. E osserviamo con giusto orgoglio, ma senza consolarci troppo, che, anche per questo aspetto, siamo messi assai meglio della sinistra.
Siccome il punto è importante, conviene spenderci qualche parola in più.

2. Il Partito democratico senza progetto

La ragione per cui in Forza Italia stiamo meglio del nascente Partito democratico deriva dal tipo di partito-progetto che la sinistra intende mettere in piedi. Per costruirlo, essa deve fare uno sforzo non indifferente. Dovendosi dare una cornice ideale, è costretta ad aderire a quella cultura, il liberalsocialismo o simile, contro cui la parte maggioritaria del Partito democratico, quella ex-comunista, ha sempre lottato. Sicchè essa si trova a dover conciliare la propria tradizione, che va in un verso, con l’obiettivo nuovo, che va nel verso opposto.
Veltroni oggi cita Bobbio (ciascuno ne ha uno), ma non cita più Berlinguer e non desidera ricordare i giudizi che questo dava di quello. Il suo sforzo di sintesi è encomiabile, ma i suoi tentativi per crearla sono, allo stato, contorcimenti dialettici. Non è questione delle doti culturali di Veltroni. Nè è questione di volontà o impegno o buone intenzioni, da cui certamente Veltroni è alimentato e mosso. La sincerità di Veltroni è genuina. Davvero egli ha capito che la sinistra italiana ha ancora tanti tic del vecchio comunismo. Davvero è convinto che la cultura della sinistra da cui proviene è vecchia e non più utile per spiegare o convincere o attrarre. E davvero vuole uscirne. Il suo problema è che non sa come, perchè gli spazi culturali che cerca di coprire o sono già occupati da altri oppure sono per lui impervi.
La conclusione è che il veltronismo, allo stato, è un autodafè ritardato e mascherato con un berlusconismo scenico. Ritardato, perchè l’autocritica ai fondamenti concettuali della sinistra è arrivata a tempo scaduto, e mascherato perchè le luci, lo schermo, l’immagine sono chiamati a supplire alle lacune dell’argomento, non a rafforzarlo o sottolinearlo o illuminarlo.
Ritengo perciò di poter dire che se, nonostante i chiaroscuri della formazione sui generis di cui ho detto, Forza Italia sta meglio della sinistra anche come partito-strumento, è perchè sta meglio come partito-progetto. Le idee sincretistiche della nuova sinistra democratica come la concepisce Veltroni devono ancora dispiegarsi e mostrarsi sistematiche, coerenti, efficienti, mentre le idee che stavano alla base della intuizione originaria di Forza Italia avevano già, quando il partito nacque, mostrato il loro valore in tutto il mondo occidentale.
Questo basti a dire quanto, in un partito, il progetto condizioni lo strumento. Se Forza Italia, nonostante tutto, è un partito unito e il Partito democratico invece nasce già diviso, è perchè il progetto di Forza Italia è unitario e coerente, mentre quello del Partito democratico, almeno allo stato attuale, è giustapposto e posticcio.
Volgiamoci perciò al nostro progetto e alle ragioni della nostra politica.

3. Il referendum elettorale

Ho lamentato lo stato della nostra discussione interna. E vorrei darne un esempio cruciale per la sua attualità e urgenza: il referendum sulla legge elettorale. Perchè non se ne parla? Quali opzioni abbiamo in materia elettorale dopo che, su questa materia, nella scorsa legislatura abbiamo compiuto, magari perchè costretti da perniciose sirene, quello che secondo me era, ed è, un errore?
Ridotte all’osso, vedo due opzioni di sistema e una opzione di convenienza. Quelle di sistema sono:

(1) Puntare sul proporzionale, comunque si declini, alla tedesca, alla spagnola, eccetera;
(2) Puntare sul maggioritario, comunque tecnicamente definito, anche quello a doppio turno, perchè anch’essa è un’ipotesi su cui discutere.

L’opzione di contingenza e di apparente immediata convenienza è:

(3) Lasciare tutto com’è attualmente e puntare sulle elezioni anticipate, con la probabilità di vincerle, ma anche con la probabilità che si crei, al Senato, una situazione poco diversa dall’attuale, sia pure a parti rovesciate.

Io mi sono chiesto: Forza Italia è nata come il partito del maggioritario, del bipolarismo, del presidenzialismo? Sì. Poi mi sono chiesto: ci crediamo ancora in questi obiettivi? Sì. E allora, siccome il tempo passa e la possibilità di rifare una legge elettorale in parlamento diventa sempre più remota, soprattutto se si tratta di una legge che assicuri la governabilità e non titilli solo la voglia di rappresentanza dei piccoli partiti, ho concluso: dobbiamo firmare per il referendum. Oltre a invitare anche voi a farlo, spiego perchè.
In primo luogo, per una ragione che riguarda il merito del quesito referendario. Un ‘sì’ non risolverebbe bene nè i problemi della legge elettorale nè quelli del sistema politico. Di per sè, il referendum non ci consegnerebbe neppure il partito unico del centrodestra. E però andrebbe verso tutte queste direzioni. Soprattutto, il referendum fissa uno stop non reversibile rispetto al degrado della frammentazione politica attuale. Non si potrebbe tornare indietro rispetto al maggioritario. Si potrebbero apportare solo correzioni per andare avanti.
La seconda ragione della mia decisione a favore del referendum è il timore dell’opzione di convenienza. Lasciare le cose come stanno, o semplicemente correggerle marginalmente, anche nel caso probabile di vittoria, non ci porta ad un sistema politico stabile. Tutto è opinabile, naturalmente, e perciò se ne dovrebbe discutere. Questo è un caso di scuola in cui occorre un dibattito interno al partito. E siccome questa è una scuola, io approfitto per discuterne. 

4. Liberale e basta?

Sempre per discutere, desidero ora introdurre il tema del partito-progetto. Ho appena identificato Forza Italia rispetto alle sue originarie opzioni istituzionali di sistema (maggioritario, bipolarismo, presidenzialismo). Ma, oltre a ciò, Forza Italia si è sempre definito un partito liberale. Continuo ad esprimere la mia piena soddisfazione in proposito, ma credo che anche su questo punto dobbiamo fare qualche riflessione in più.
‘Liberale’ basta ancora sul terreno economico. Tante riforme liberali e anticorporative restano da fare, comprese quelle che non abbiamo fatto al Governo. Basta per dire che dobbiamo abbassare la spesa pubblica, e per dire che dobbiamo diminuire gli adempimenti per i cittadini, la burocrazia, le invadenze dello Stato. 
‘Liberale’ basta ancora sul terreno delle riforme istituzionali, a cominciare da quella della giustizia (compreso la certezza della pena per chi vìola le leggi). Su questo terreno, ‘liberale’ vuole almeno dire separazione dei poteri, che oggi esiste poco. Vuol dire esecutivo forte e controlli veri. Vuol dire riforme della Costituzione (e dei regolamenti delle Camere, negletti nella scorsa legislatura).
‘Liberale’ basta ancora sul terreno scolastico e universitario, su cui ben poco si è inciso per mancanza di convinzione e di forza. 
‘Liberale’ basta ancora sul terreno sociale. È il contrario di pubblico e parapubblico. Ed è il contrario di ‘concertato’. Ed è giusto così, perchè la concertazione produce effetti paralizzanti e deleteri. E poi come individuare gli interlocutori con cui concertare? I magistrati sono un potere? E i sindacati? E tutte le corporazioni professionali?
Infine e ovviamente, ‘liberale’ basta ancora sul terreno fiscale e su quello dei servizi pubblici da privatizzare.
Ma mi chiedo: ‘liberale’ basta ancora quando si tratta dei problemi e dei temi che possiamo chiamare temi dell’identità, come quelli dell’integrazione, della società multietnica, della difesa della società occidentale, dell’opposizione al fondamentalismo islamico, della laicità, della bioetica? Oppure non basta e c’è bisogno di qualche integrazione o chiarimento?
Io sono convinto che ce ne sia bisogno, l’ho detto tante volte e vi ho dedicato tanti interventi. Siccome non vorrei ripetermi troppo, riprendo solo una questione cruciale. 
Qual è oggi il terreno di confronto e su che cosa si gioca realmente lo scontro fra destra e sinistra?
Con questa domanda, mi riferisco al terreno di confronto e scontro ideale e culturale, non a quello politico e programmatico, perchè questo terreno è definito dalle proposte elettorali, le quali però possono creare incertezza rispetto alla demarcazione destra-sinistra. Non a caso si dice che la sinistra talvolta fa ciò che dovrebbe fare la destra (vedi Tony Blair e l’eredità della Thatcher), o viceversa, che la destra talvolta fa ciò che dovrebbe fare la sinistra (vedi, in politica estera, la lotta di Bush contro gli stati-canaglia o a favore della esportazione della democrazia e dei diritti fondamentali).
Dunque, mettiamo a fuoco la divisione ideale fra destra e sinistra per saggiare se ‘liberale’ oggi basti a distinguerle. 

5. Destra e sinistra: il discrimine del laicismo

Come si ricorderà, Norberto Bobbio, in uno dei suoi ultimi libri più fortunato che illuminante (Destra e sinistra), sostenne le equazioni:

sinistra = uguaglianza; destra = disuguaglianza.

Ma questo discrimine è palesemente insufficiente perchè ogni definizione negativa è poco o nulla informativa, è povera e generica. Bobbio avrebbe dovuto porre la distinzione in termini positivi, a cui pure era aduso, ad esempio,

sinistra = giustizia sociale; destra = libertà individuale, 

oppure:

sinistra = uguaglianza; destra = autonomia.

(Detto per inciso, se si adottano queste ultime coppie di equazioni, si capisce perchè la dottrina normale della sinistra sia la democrazia e quella estrema il comunismo, mentre la dottrina normale della destra sia il liberalismo e quella estrema l’anarchismo. Detto sempre per inciso, si deve osservare che i sistemi degli stati moderni e delle attuali forze politiche sono ibridi: nessun liberale, oggi, è sordo alla giustizia sociale e nessun socialista alle libertà individuali. Per questo si parla di liberal-democrazia, liberal-socialismo, liberalismo sociale, conservatorismo compassionevole, eccetera).
Ma quando si passa a trattare i temi dell’identità, è chiaro che i discrimini tradizionali come quelli ora indicati non bastano più. Ad esempio, se si deve affrontare il problema del fondamentalismo islamico, che cosa significa essere liberali? Basta sostenere che il liberalismo è per l’autonomia individuale per avere una politica? Lo stesso quando si tratta di bioetica. Basta invocare la libertà per distinguersi dalla sinistra?
È evidente che non basta e che altri discrimini si devono aggiungere. In particolare, uno è cruciale proprio per comprendere e fissare il terreno di confronto e scontro fra destra e sinistra. Si tratta del discrimine seguente:

sinistra = laicismo; destra = laicità

il quale si basa, o implica, altri discrimini ancora, come:

sinistra = multiculturalità; destra = identità
sinistra = critica dell’attuale; destra = difesa della tradizione
sinistra = innovazione; destra = conservazione.

Alla luce di questi discrimini, in che cosa precisamente consiste la principale differenza fra destra e sinistra? Consiste nella conservazione della tradizione, che la destra persegue e la sinistra no. Quale tradizione? Quella europea ed occidentale. Esattamente? La tradizione cristiana.
Se uno obietta che la destra è laica, rifletta che la laicità è diversa dal laicismo. Laicità e laicismo convergono sulla libertà religiosa, sulla tolleranza, sulla separazione Stato-Chiesa. Ma poi divergono profondamente sul modo di intendere questi concetti e istituti.
Per il laicismo, la libertà religiosa è libertà privata (nel foro interiore) della religione. La tolleranza nasce dal riconoscimento (relativistico) dell’uguale valore o disvalore di tutte le religioni. E la separazione Stato-Chiesa significa ostilità della sfera statale alla sfera del magistero ecclesiale. Per questo il laicismo è anticristiano, antitradizionale e illuministico. E per questo la sinistra polemizza con il Papa, la Cei, i vescovi, e denuncia le loro ‘interferenze’.
Invece, per la laicità, la libertà religiosa vuol dire riconoscimento del ruolo pubblico della religione. Tolleranza significa rispetto di tutte le fedi e confessioni religiose, ma con obblighi e vincoli basati sui princìpi che sono propri di una tradizione, la nostra, e spesso codificati in una costituzione. Quanto alla separazione Stato-Chiesa, essa indica l’autonomia della sfera politica, ma non la sua autosufficienza o egemonia. Per questo la laicità non è anticristiana, antitradizionalista, illuminista.

6. Forza Italia, partito liberal-conservatore

Tiriamo le somme e torniamo al punto. I laici, a differenza dei laicisti, oggi sono sì liberali, ma sono liberal-conservatori, non liberal-illuministi. E perciò Forza Italia, che è un partito laico, è, o deve essere, un partito non solo liberale (sui terreni politici e economici tipici che ho prima indicato) ma un partito liberal-conservatore (sui temi dell’identità che ho ricordato). E liberal-conservatore nel senso preciso che intende conservare, sostenere, difendere, la tradizione della libertà, compresa la tradizione di quella religione che alla nostra libertà ha dato più alimento.
So che esistono opinioni diverse in proposito, ma ritengo che chi, anche tra noi, sostiene che il liberalismo politico ed economico implicano il liberalismo etico commette un doppio errore. Storico, perchè il liberalismo classico dava per acquisita (addirittura come razionale o come naturale) una cornice di valori che ha fondamento o origine cristiane (l’uguaglianza, la dignità della persona, la parità, eccetera). E filosofico, perchè il liberalismo politico implica il rispetto da parte dello Stato delle opinioni dei cittadini (ovviamente con il vincolo della compatibilità), ma non implica che lo Stato non si fondi su valori propri (con l’obbligo dell’adesione da parte di tutti).
La questione non è naturalmente solo teorica, perchè una dottrina politica ha conseguenze pratiche. Se si parte dalla prospettiva del liberalismo conservatore, si traggono conclusioni di giudizio e di azione politica diverse da quelle del liberalismo e basta. Ad esempio, si traggono imperativi etici e politici del tipo: no al laicismo; no al relativismo; no al multiculturalismo; no alla tolleranza come resa alle culture altrui; no all’ex-Preambolo della ex-Costituzione europea; no alle avventure bioetiche (dalla sperimentazione su embrioni ai matrimoni gay). In altri termini, si traggono esattamente quegli imperativi che, secondo me, sono, o dovrebbero essere, parti del partito-progetto di Forza Italia, ciò che profondamente la distingue dalla sinistra. 
Non entro nel merito del perchè tutte queste derivazioni di ‘no’: o sono intuitive o occorrerebbe un’altra lezione. Concludo dicendo che tutti questi ‘no’ si possono e debbono coniugare in positivo. Che per ogni formulazione positiva occorre trovare gli argomenti corretti e appropriati. E che uno dei còmpiti oggi più urgenti della scuola politica di Forza Italia è fare proprio questo: individuare bene la nostra cornice ideale, i modi per sostenerla e gli strumenti per realizzarla. Dunque: buon lavoro!

Riferimenti bibliografici

-Berman, Paul, Liberalismo e terrore (2003), trad. it. Einaudi, Torino 2004.

-Bobbio, Norberto, Destra e sinistra, Donzelli, Roma 1994, 19952.

-Cardia, Carlo, Le radici della laicità, Edizioni San Paolo, Milano 2007.

-De Mattei, Roberto, ‘De Europa’. Tra radici cristiane e sogni postmoderni, Casa Editrice Le Lettere, Firenze 2006.

-Gheddo, Piero, La sfida dell’Islam all’Occidente, Edizioni San Paolo, Milano 2007.

-Pera, Marcello, Interventi sul conservatorismo liberale: ‘Noi, conservatori liberali’ (Frascati, 3 settembre 2006); ‘Conservatori liberali’ (Gubbio, 10 settembre 2006); ‘I nostri valori, le nostre ragioni’ (Catania, 29 novembre 2006); ‘Un partito antilaicista’ (Napoli, 2 febbraio 2007). Interventi su laicità, laicismo, Europa: ‘Chiesa, Stato, religione, politica. E fondamentalismi’ (Norcia, 23 settembre 2006); ‘Che cosa è andato storto in Europa?’ (Madrid, 11 dicembre 2006); ‘Laicità e laicismo’ (Roma, 7 maggio 2007). Tutti i testi sono reperibili sul sito www.marcellopera.it, sotto la voce ‘Interventi’.

-Ratzinger, Joseph, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005.

-Scruton, Roger, Manifesto dei conservatori (2006), trad. it. Cortina, Milano 2007 (Capitoli 1 e 9).

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