Interventi

In memoriam Paolo Borsellino

Palermo, 19 luglio 2004

Discorso pronunciato a Palermo, in Via D’Amelio, 

Autorità, signore e signori, la vita di un uomo continua anche quando egli è scomparso, se essa è stata spesa per professare e perseguire valori che vivono anche dopo di lui. In quel fortunato caso, la vita diventa una testimonianza, un impegno, una professione di fede.

E’ in questo senso che la vita di Paolo Borsellino continua ancora oggi, dodici anni dopo la strage. Perché i valori cui egli la ispirò – quelli privati, della famiglia e dell’amicizia, e quelli pubblici, della verità e della legalità – sono valori che noi sentiamo propri di ogni essere umano e di chiunque creda che una professione, soprattutto quella del magistrato, sia un mezzo per affermare la propria dignità e contribuire alla società in cui vive.

Sul modo in cui Paolo Borsellino professava i suoi valori, non saprei usare parole più adeguate di quelle che usò il consigliere istruttore Rocco Chinnici. Borsellino si distingueva per “l’impegno, lo zelo, la diligenza, che caratterizzano la sua opera”, per “l’ottima intelligenza, il carattere serio e riservato, dignitoso e leale”. Aggiungerei ciò che Chinnici nella sua relazione di capo dell’ufficio istruzione non poteva aggiungere: il valore della famiglia, il senso dell’amicizia, il sentimento doveroso della vita, l’impegno per le proprie idee, il coraggio di professarle, l’amore per la città, l’adesione a quel nucleo essenziale del messaggio cristiano che rende gli individui persone e le persone testimoni senza timori. Non a caso, parlando con un mafioso di Cosa Nostra che avrebbe dovuto ucciderlo a Marsala e che gli diceva che, lui in carcere, non avrebbe più dovuto temere, Borsellino rispose: “tu non sai che è bello morire per cose in cui si crede … un cristiano non teme la morte”.

Credo che si debba a questo convincimento anche l’impegno che Borsellino mise nei suoi numerosi incontri con i giovani e la gente, lui solitamente schivo e riservato. Da un lato, quell’impegno pubblico era la prosecuzione naturale e spontanea del suo ruolo di genitore con i propri figli, dall’altro era un’attività di educatore. Borsellino sapeva che la mafia non è solo un fenomeno criminale da perseguire soltanto col codice penale. Sapeva che la mafia nasce da una mentalità, si diffonde con una cultura, si manifesta in atteggiamenti di passività, connivenze, cedevolezze, che sono censurabili sul piano civile anche quando non sono perseguibili su quello processuale. E naturalmente Borsellino sapeva distinguere. Non diceva “tutto è mafia”, diceva “qualcuno è mafioso”, non diceva “la mafia c’è sempre stata e sempre ci sarà”, diceva “la mafia c’è e può essere combattuta e vinta”. Non era rassegnato, era determinato. La filosofia del fatalismo non gli apparteneva e la rifiutava, anche quando diventò consapevole dei rischi che correva e, da ultimo, della fine che lo aspettava.

Per questo si impegnò con i giovani. Perché sapeva che, se si va alle radici, se si usa l’educazione, se si fa del rispetto della legalità un abito e si trasforma l’abito in valore, allora la mafia resta un isolato problema criminale di individui o gruppi ma cessa di essere un fenomeno sociale. E perché sapeva che se questa opera di educazione si diffonde, allora anche il problema del perverso rapporto fra mafia e politica – di cui egli diceva di essere convinto per logica, cioè per intuito, e non per evidenze processuali – si riduce a casi sporadici facilmente perseguibili. Insomma, il messaggio che si può trarre dalla sua filosofia professionale e di vita è che se gli individui professano valori positivi, se i cittadini diventano virtuosi e la società diventa consapevole e attenta e esigente, allora la criminalità può essere sconfitta o ridotta a dimensioni residuali.

Una filosofia come questa è impegnativa. Essa non consola ma chiede e pretende. Perché si rivolge a ciascuno di noi, ci chiama alle nostre responsabilità, domanda la nostra risposta e il nostro impegno. In questa filosofia è racchiusa quella vita di Paolo Borsellino che ancora vive con noi perché ancora dà a noi insegnamenti e lezioni. Essa ridonda sulla famiglia che ha lasciato, sulla signora Agnese, sui figli Lucia, Fiammetta, Manfredi. Ad essi rimane il dolore di un marito e di un padre così premuroso e preoccupato, assorbito dal suo lavoro ma presente e partecipe ai loro problemi. E ad essi io esprimo la mia solidarietà. La stessa solidarietà con eguale sentimento di riconoscenza io esprimo ai familiari di coloro che per proteggere Borsellino, dunque per difendere lo stato e la legalità, persero la vita: Agostino Catalano, Walter Eddie Cusina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. Dodici anni sono passati dalla strage che qui si consumò. Noi vogliamo credere e siamo determinati ad operare affinché quei dodici anni e tutti quelli a venire siano segnati dal nostro impegno a non cedere.

 

 

Please follow and like us:
Pin Share