“Silvio spera nel caos per tornare in gioco, però sbaglia tutto”
Questa riforma non è la nostra ma è più di quanto abbiamo fatto noi, cioè nulla. Vale la pena votare Sì.
di Carmelo Lopapa
Roma. Il ritorno di silvio Berlusconi. Forse sarebbe meglio dire che non è mai andato via, presidente Marcello Pera?
“Non credo che in cuor suo non abbia mai pensato di andare via e adesso lo dichiara esplicitamente. Direi in funzione contingente: accerchiato da Salvini e Meloni, è in grave difficoltà dentro Fi che rischia l’ennesima scissione. Con una mossa che a me sembra disperata dice che non è vero che c’è un leader solo, Renzi, ma anche lui”.
Con quale obiettivo?
“Si augura che dopo il 5 esploda il caos e che in quel caos possa giocare un ruolo. Ho i miei dubbi e continuo a rivolgermi proprio alla gente di Forza Italia. Spiego che questa riforma non è la nostra, ma che vale la pena votare Sì e che Silvio Berlusconi sta sbagliando tutto. I teatri si riempiono, le sale sono gremite, gli orecchi attenti, ci prenderemo le nostre soddisfazione domenica prossima”.
Marcello Pera, 73 anni, ha detto addio alla politica attiva nel 2013, dopo 17 anni da parlamentare e una legislatura da presidente ultra berlusconiano del Senato. Ma non alla politica. Per due mesi ha girato l’Italia, con l’altro “ex” Giuliano Urbani e da solo, alla guida del comitato LiberiSì (e dei suoi 1.600 circoli) con cui chiuderà la campagna giovedì a Roma. Stasera sarà a Londra, al Carlton Club con la premier Theresa May e il ministro degli Esteri Boris Johnson per parlare del futuro del conservatorismo in Europa. Non proprio fuori dai giochi, insomma.
Cosa l’ha spinta di nuovo in prima fila, professor Pera?
“Ero beatamente in pensione, in effetti, e conto di tornarci dal 5 dicembre. Ma questa è una occasione che non possiamo perdere, abbiamo già fallito dieci anni fa. Se ricapitasse, equivarrebbe a dire che la nostra è una Costituzione dogmatica, come per la Chiesa”.
Ma tutto il suo centrodestra è schierato per il No. Anche Berlusconi. Come la mette?
“Berlusconi? Penso ci sia un Berlusconi pubblico e uno privato”.
Lei lo conosce bene, cosa pensa il Berlusconi privato?
“Sa che ci sarebbero conseguenze pesanti sull’Italia e anche sul suo partito se vincesse il No. Diventerebbe una vittoria di Grillo e di Salvini. Peggio: consacrerebbe Salvini come vero leader del centrodestra “.
Quel che mi dice è contraddetto dal fatto che l’ex premier continui a spendersi per il No, quanto meno in radio e tv.
“In pubblico. Ma nei suoi arcana mentis meglio non entrare. Vuole restare in piedi sia che vinca il No sia che se vinca il Sì. Penso sia un azzardo. Chi voleva fare la rivoluzione liberale non può farci rischiare un’avventura populista, quale sarebbe la vittoria di Grillo”.
Che gente viene ai suoi comizi?
“Io mi rivolgo ai miei vecchi elettori e loro rispondono, in giro per l’Italia. Gente che era schierata per le riforme, convinta da tempo che la Costituzione come è stata congegnata è un impedimento all’efficienza, gente che aveva preso sul serio Berlusconi che si lamentava che a Palazzo Chigi contava meno dell’ultimo sindaco d’Italia. Elettori ora sconcertati, era andata male a noi con la riforma nel 2006, perché oggi dovremmo dire di No? Tanto più che nella prima lettura al Senato e alla Camera Forza Italia aveva approvato il testo, che era pressoché identico”.
D’accordo, professore. Ma lei per anni è stato un berlusconiano convinto, al suo fianco anche nelle battaglie da tanti considerate discutibili, come le leggi ad personam sulla giustizia. Rinnega il suo passato?
“Rinnegare? Io non rinnego nessuna delle battaglie di allora. Nemmeno quella sulla giustizia. Voglio proseguire quelle liberali. Per questo mi schiero per il Sì. L’unica obiezione che accolgo è che questa riforma è meno incisiva rispetto a quella che noi avremmo voluto fare. Ma è molto più di quel che siamo riusciti a fare noi allora: cioè nulla”.