Interviste

Intervista a Marcello Pera su “il Giornale”

“Si elegga ora la Costituente: può farcela in soli due anni”

Il filosofo: “Cambiare forma di governo e la giustizia. La riforma Cartabia va bene ma non scioglie i nodi”

di Stefano Zurlo

C’è una finestra di due anni. Fino al 2023. È o dovrebbe essere il momento giusto per intervenire: «Possiamo sfruttare questa fase per riscrivere la Costituzione». Da Lucca, la sua città, Marcello Pera perfeziona la sua idea, rilanciando l’editoriale scritto ieri dal direttore del Giornale Augusto Minzolini.

Professor Pera, Minzolini immagina un cantiere per mettere mano alla nostra Carta fondamentale.

«Ottimo. È la stessa idea che ho elaborato nei mesi scorsi, consegnando infine un agile articolato a diverse personalità. Pensavo che la mia proposta fosse passata sotto silenzio, ora noto con piacere che qualcosa comincia a muoversi».

Dunque, da dove partire?

«Semplice, dall’agonia interminabile della Prima repubblica».

Prima repubblica? C’è chi dice che siamo alla Seconda o addirittura alla Terza.

«Le repubbliche si contano sulla base delle Costituzioni e noi abbiamo sempre quella scritta subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale».

Va bene, ma molte cose non funzionano. Dove dovrebbe incidere il bisturi?

«Anzitutto la giustizia».

La riforma Cartabia non la soddisfa?

«Per carità, va benissimo, ma è solo un ritocco per accelerare i processi, non chiamiamola riforma della giustizia. La Cartabia non tocca la Costituzione e dunque non scioglie i grandi nodi oggi aggrovigliati: la separazione delle carriere, l’obbligatorietà dell’azione penale, la polizia giudiziaria in mano al pm, il nuovo Csm, il ricorso in Cassazione».

Di giustizia si parla da venticinque anni almeno e siamo sempre allo stesso punto. Possibile?

«La giustizia è lo specchio di quell’agonia che dicevo prima. Chiacchiere, convegni, polemiche furibonde, proposte su proposte e poi tutto resta come prima. Si è fatta solo, su iniziativa di Forza Italia, una vera grande riforma, l’art.111 della costituzione che introduce il giusto processo. Ma ha avuto poco seguito. Ora arrivano questi interventi importanti, ma limitati. Ecco dunque, l’opportunità, ma io direi l’assoluta necessità di intervenire in modo risoluto sulla seconda parte della Costituzione, almeno quella, per venire a capo delle criticità che riempiono ogni giorno i giornali ma che nessuno ha finora affrontato in modo organico e razionale».

Quali criticità?

«Io vedo tre grandi questioni: appunto la giustizia, poi la forma di governo e la forma dello Stato».

La forma di governo?

«Ma lei si rende conto che oggi un presidente del consiglio non può nemmeno licenziare un ministro? Nel ’48 la situazione era quella di rischio di guerra civile: uscivamo da una dittatura e il risultato, frutto di un difficile e coraggioso compromesso, fu quello di creare un equilibrio di poteri per evitare l’emergere di figure forti. Ma oggi che quell’equilibrio è diventato una paralisi questa debolezza non ha più alcun senso. Possiamo immaginare un sistema all’americana oppure un semipresidenzialismo alla francese, per me il modello migliore, o ancora un cancellierato alla tedesca o un premierato all’inglese. Ormai sappiamo tutto, l’importante è scegliere».

Ma oggi il governo Draghi è col Quirinale il motore dell’azione politica.

«Viviamo una fase eccezionale e per molti versi anomala. Ma questa situazione potrebbe finire e potremmo rapidamente tornare ai giri di valzer precedenti. Ai governicchi, agli esecutivi balneari o semibalneari perennemente sull’orlo della crisi, alla convulsioni inconcludenti della politica».

C’è poi il fronte del rapporto fra Stato e Regioni.

«Esatto. Qui si va avanti a colpi di interventi della Consulta, direi che esiste un’industria delle sentenze che vengono sfornate a getto continuo. E per fortuna. Anche qui dobbiamo trovare un nuovo assetto. Senza contare che la stesura della nuova Carta servirebbe per definire tanti temi che oggi galleggiano sull’acqua increspata delle interpretazioni: pensi allo stato di emergenza, pensi ai dpcm, atti amministrativi di cui gli italiani fino all’anno scorso ignoravano l’esistenza, pensi all’abuso dei decreti legge».

Ma perché la sua Costituente dovrebbe riuscire dove tutti hanno fallito?

«Per tre ragioni. È eletta dal popolo con sistema proporzionale puro, dunque massima forza. È composta di 75 membri non parlamentari o membri di governo, per evitare che il governo in carica interferisca o ponga dei veti. Ha una scadenza di dodici mesi, finiti i quali il testo è sottoposto a referendum popolare».

A quando l’elezione della Costituente?

«Subito. Oggi i partiti parlano solo di mascherine e varianti. Così invece si occuperebbero del funzionamento della nostra democrazia. Un compito qualificante e esaltante. E il nuovo Patto, dopo un referendum popolare, sarebbe già pronto nel 2023 o nel 2024. Fino a quella data, dovrebbe essere prorogato, con la stessa legge che istituisce la Costituente, il mandato del presidente Mattarella. Poi, i partiti ritornano sulla scena ma finalmente con uno strumento efficiente che consentirà di governare a chi avrà vinto le elezioni».

Leggi l’intervista su www.ilgiornale.it

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