Interviste

Intervista su “Corriere della Sera”

Marcello Pera: «Il passato un’arma dannosa. Ma non si vede ancora l’agenda Meloni sulle riforme»

L’ex presidente del Senato: lei è due-tre anni avanti, non tutti riescono a starle dietro

«Usare il passato, il fascismo e l’antifascismo, come un’arma di battaglia politica per l’oggi, indugiare nelle revisioni storiche o alzare barricate anacronistiche, è inutile e dannoso. Inutile perché non porta neanche voti, dannoso perché esaspera solo gli animi e così rafforza gli avversari. E poi: se noi italiani non riusciamo neanche ancora a buttarci alle spalle quella roba lì, ma dove vogliamo andare?».

Marcello Pera, ex presidente del Senato, è un senatore del centrodestra eletto con Fratelli d’Italia. Però è anche un liberale doc. Gli chiediamo allora se il problema della destra di governo è l’ansia di ribadire la sua identità, la nostalgia delle sue vecchie ideologie.

«Qualche nostalgico che gioca ancora con i cimeli c’è. Ma, stando in mezzo a loro, mi sembra piuttosto di vedere una cultura politica basata sul nazionalismo, il tradizionalismo, il conservatorismo cattolico. Insomma: legge e ordine, posizioni classiche della destra europea. Sono anche molto disciplinati. Non c’è argomento che si possa affrontare senza che qualcuno prima o poi dica: vediamo che decide Giorgia. Per me che vengo dal caos creativo di Forza Italia, è sorprendente. Meloni è davanti due/tre anni, e non tutti riescono a starle dietro».

E allora perché si lasciano andare a tante polemiche, perché tante affermazioni che si dovrebbero evitare?
«Tenga presente che si tratta di militanti che hanno dovuto inghiottire rospi per cinquant’anni, e magari ora ne buttano fuori qualcuno. E poi c’è il riflesso condizionato che deriva dall’essere sempre stati all’opposizione. Le faccio un esempio: c’è un senatore che a ogni inizio legislatura presentava un disegno di legge per il riconoscimento giuridico dell’embrione. Quando era all’opposizione, tutto ok, era una petizione di principio e non se ne accorgeva nessuno. Ma ora che è in maggioranza rischia di mettere in imbarazzo il governo e diventare un fatto politico».

Questi episodi indeboliscono la premier?
«Gli episodi sono episodi. Si assorbono se c’è un disegno politico più alto e più ampio. Ed è forse qui il vero problema politico di fronte alla destra oggi. Giorgia Meloni ha fin qui dimostrato di saper governare. Ha garantito una continuità istituzionale e dimostrato uno standing internazionale che pochi le avrebbero riconosciuto fino a pochi mesi fa. Ha applicato l’agenda Draghi su energia e bollette, e ha rispettato l’agenda Europa in termini di disciplina di bilancio. E in Europa è perciò rispettata, anche perché rappresenta un interessante esperimento per tutti, per verificare se la destra al governo in un grande Paese fondatore può essere compatibile con il progetto europeo. Però non è ancora venuta fuori l’agenda Meloni».

E in che cosa dovrebbe consistere?
«Nelle riforme. In un progetto pragmatico ma deciso e fermo per cambiare davvero questo Paese. La proposta di riforma costituzionale della forma di governo, con l’elezione diretta del presidente o del capo di governo, ne è il pezzo fondamentale; ma non è ancora venuto al centro del dibattito. Anzi è stata sopravanzata dal disegno di legge per l’autonomia differenziata, che andrebbe invece discusso in un quadro di riforme istituzionali più ampio, anche per consentire una revisione degli errori compiuti dal centrosinistra nel 2001».

E le altre riforme?
«Bisogna ritoccare anche il bicameralismo perfetto e il procedimento legislativo, in modo che il governo abbia la possibilità di applicare il proprio programma e il Parlamento non possa bloccare all’infinito le leggi. E poi, ovviamente, c’è l’ordinamento giudiziario».

Ma lì c’è Nordio, un garantista…
«Sì, però rischia di diventare un po’ ostaggio anche lui di una cultura politica che pensa di poter risolvere ogni problema con la norma penale».

È solo un ritardo o c’è una incertezza sulla strada da seguire?
«Non lo so, ma mi preoccupa. Conta anche ciò che è successo nel Pd, perché un processo di grandi riforme non si può fare senza almeno un’intesa sul metodo con una parte delle opposizioni. Noi tutti ci aspettavamo Bonaccini. E sapevamo che cosa aspettarci da lui. Nessuno di noi sa che cosa aspettarsi da Elly Schlein. Credo che neanche nel suo partito lo sappiano, finora sulle cose importanti si è tenuta molto sulle generali, e probabilmente piegherà la linea del Pd alle esigenze della concorrenza con Conte. Non un buon viatico per le riforme».

Lei aveva proposto l’elezione di una Costituente…
«Sì perché le bicamerali hanno una lunga storia di fallimenti alle spalle. Sono composte da parlamentari che alla fine privilegiano sempre la durata della legislatura e la difesa dell’interesse di partito. E temo che anche stavolta possa finire così».

Ce la farà Giorgia Meloni?
«I numeri ce li ha. Se non ce la fa lei, in questa legislatura non vedo proprio chi altri possa. Purché tenga ben presente che le lune di miele finiscono, e che lei è stata eletta su una piattaforma di cambiamento e riforme».

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