Interviste

Intervista su “Il Messaggero”

02 Novembre 2001

“Giustizia, è l’ora della pace e delle riforme”

di Virman Cusenza

LONDRA – Toscanissimo, ma inglese per vocazione. Marcello Pera confessa di essere un po’ invidioso dei politici britannici. «Sono capaci di scontri duri, ma sempre con rispetto. Magari ce ne fosse di più anche a casa nostra…». Chissà se “l’invidia” del presidente del Senato lambisce anche il Lord Cancelliere del Regno, figura che somma la carica di Speaker della Camera dei Lords e quella di ministro Guardasigilli ed è nominato dal governo. Pera s’illumina d’ironia: «Mi chiedo che succederebbe se tutto questo venisse tradotto nel nostro sistema italiano…». E’ di buon umore, il professore liberal che alla London School of Economics ha insegnato per anni filosofia della scienza. Adesso che ci torna da presidente del Senato a bordo del Chigi One, il confortevole jet di Stato, i parallelismi con l’Italia si impongono.
Presidente, non starà suggerendo di adottare il modello del Lord Cancelliere a Roma dove litigano politici e magistrati?
«Non auspico nulla del genere. Dico solo che in Inghilterra c’è da secoli un rapporto stretto tra politica e magistratura e non dà luogo alle controversie italiane. Ci sono secoli di tradizione alle spalle».


Appunto. Berlusconi dice che siamo appena usciti da una guerra civile tra certi pm e la classe politica.
«Eh…Faccio il presidente del Senato e non voglio essere tirato per la giacca in polemiche interne. Comunque, il conflitto c’è stato. E, durante gli anni di Mani Pulite, lo ha alimentato anche l’opinione pubblica, come pure i giornali. E’ storia».

Polemica chiusa?
«Ho lavorato per anni come responsabile giustizia di Forza Italia ad un clima di pacificazione. Il programma elettorale e le riforme della giustizia erano condivisi da gran parte della magistratura, più di quanto non si creda. Ora dobbiamo continuare per quella strada. Dobbiamo considerare chiusa quella pagina di storia e consegnarla agli storici e lavorare su programmi di riforma concordati con i magistrati delle diverse tendenze, per rendere un servizio alla giustizia secondo il modello europeo».


E’ favorevole ad una commissione di inchiesta su Tangentopoli?
«Se esiste la volontà di voltare effettivamente pagina, la scelta dello strumento è solo un problema tecnico e quindi secondario. A mio avviso, assistiamo a un dibattito politico su questi temi dettato solo dalle contingenza del giorno per giorno. Ma sulla strategia vedo possibili convergenze più ampie. Lo ha dimostrato Violante in questi giorni e me ne sono accorto anche dai rapporti con gli ex ministri della Giustizia (dell’Ulivo, ndr). Nella scorsa legislatura, c’è stato un accordo bipartisan su testi importanti come il cosiddetto giusto processo, la modifica dell’articolo 513 del codice di procedura penale e la legislazione sui collaboratori di giustizia».

Ma oggi sarebbe possibile ripetere il miracolo della nomina bipartisan di De Gennaro alla Polizia?
«La linea di tendenza profonda e sotterranea resta quella. Lo si è visto con la designazione dei nuovi vertici dei servizi, Mori e Pollari. Non ho sentito polemiche».

Dopo le rogatorie, il nuovo fronte sembra quello della separazione delle carriere tra giudici e pm.
«Se la vedranno le forze politiche. Ma guardiamo in faccia la realtà. Pensiamo alle radiografie del pianeta giustizia che ogni anno il procuratore generale della Cassazione ci sottopone. Se abbiamo a cuore la qualità del servizio giustizia, dobbiamo trattare la materia in modo laico -lo dico solo per chiarezza-, come se fosse il problema tecnico delle autostrade».

Anche l’Europa ormai è un campo minato. Che ne pensa degli attacchi a Prodi?
«Ci saranno altri episodi anche a carico di altri paesi. E’ inevitabile che succedano di queste cose con il processo di integrazione europea ancora in corso. I Paesi che si sentono più forti in Europa stanno tentando di entrare in un Direttorio. Prima c’era l’asse franco-tedesco con l’Inghilterra nelle retrovie. Oggi il quadro sta cambiando».

Alla sinistra non è piaciuta del tutto la difesa di Prodi da parte di Berlusconi.
«Distinguiamo la disputa politica tra le parti dal ruolo del nostro Paese. Non dobbiamo mai dividerci quando è in gioco la dignità dell’Italia. Non dovrebbe essere solo una scelta bipartisan, ma una specie di molla che deve scattare al momento giusto».


Ma l’Italia è nel mirino dei partner?
 «Non vedo un isolamento dell’Italia. Ho sentito il ministro Ruggiero in Parlamento e non vedo nessuno scollamento tra lui e il governo. Come non scorgo euroscetticismo nel nostro Paese o nel governo».

Gand è stato un incidente di percorso?
«Non ci sono motivi che giustifichino un accanimento particolare nei nostri confronti. L’esclusione dal vertice di Gand non è stata una mossa utile, ha indispettito anche altri Paesi. Lo stesso Prodi si è trovato in una situazione di difficoltà oggettiva. Non credo che ci sarà il Direttorio a tre. Se c’è un gruppo di testa nella Ue, l’Italia ne fa parte di diritto. E’ la quinta potenza mondiale. Fa parte del G8, è tra i fondatori della Comunità e della Nato, nonché tra i maggiori contribuenti Onu. Insomma, abbiamo un curriculum in regola».

Ma sulla vicenda Airbus l’Italia ha un po’ arrancato.
«E’ una questione tecnica, anche se la decisione tocca aspetti politici di rilievo. Bisogna valutare costi e benefici, anche per la nostra industria, naturalmente. Creare integrazione nel settore aerospaziale serve anche al processo di integrazione politica. Questo porterebbe a compiere una scelta europea senza dimenticare interessi nazionali. Ma anche gli altri partner dovrebbero dimostrare la stessa vocazione europeista».

Lei che ha tessuto un appassionato elogio dell’Occidente dopo l’11 settembre: alla marcia pro Usa di Roma ci sarà?
«Auspico che partecipino in tanti, anche la sinistra. E’ una manifestazione che riguarda tutti, perché l’Italia e il rapporto con gli Usa non possono toccare solo una parte politica. E poi se i valori da difendere sono la solidarietà all’America, la condanna del terrorismo e degli Stati canaglia che lo fiancheggiano, nonché l’orgoglio di appartenere ad una cultura della tolleranza non ho dubbi».

Quindi andrà.
«Fisicamente non andrò per onorare il mio ruolo istituzionale. Ma idealmente sì: sono in gioco i valori che hanno fatto dell’Occidente una grande cultura».

Presidente, il clima al Senato è migliorato?
«I don’t know» (non lo so, dice Pera, guardando in alto).

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