Interviste

Intervista su “Il Riformista”

Pera risponde all’appello di Violante e rilancia “Chiudiamo il decennio oscuro con le riforme”

Il Riformista Il Riformista, 8 novembre 2003

Marcello Pera prende in parola Luciano Violante. Gli interessa, e molto, che maggioranza e opposizione tramutino in dibattito politico e in azione riformista in parlamento la continua litigiosità sui temi della giustizia. E’ convinto che ci siano dei possibili approdi comuni, utili al paese, da raggiungere alla fine del «decennio» che ebbe inizio nel 1993. Per questo prende in parola Violante. «Il suo interevento alla Camera conteneva tre punti: 1) una replica alle accuse di Andreotti, cui Andreotti ha risposto il giorno dopo; 2) una ricostruzione della fine della prima Repubblica, che Violante attribuisce all’esaurimento delle sue funzioni dopo il crollo dell’Unione Sovietica e alla illegalità diffusa; 3) la proposta di un dibattito su come uscire dallo “scontro istituzionale che ruota attorno alle questione giudiziaria e che l’ha fatto divenire un aspetto della questione democratica”». Il primo punto appartiene alla valutazione del passato, e delle posizioni personali. Pera non è interessato a discuterlo. «Violante valuterà da sé se citare un anonimo e appellarsi alla testimonianza di un morto basti a convincere il senatore Andreotti che lo accusa di aver tramato contro di lui. Comunque non sono interessato – anzi lo considero un errore politico – al gioco del rimpallo di responsabilità, colpe, accuse, difese, critiche e autocritiche. Con ciò dico anche che non sono interessato a commissioni di inchiesta né su Tangentopoli né su Mani Pulite, perché questi strumenti si prestano spesso a verità di comodo, strumentalizzazioni, vendette e interferenze con l’autorità giudiziaria». Sul secondo punto, Pera invece condivide: «Gioisco ancora per la morte del comunismo e la scomparsa della prima Repubblica, perché l’uno era una violenza e una tortura alla società e agli individui, e l’altra nella sua ultima fase era diventata una degenerazione partitocratica di quella democrazia che pure i partiti storici avevano costruito e garantito. Non mi nascondo i problemi che i due fenomeni ci hanno lasciato, ma è bene che siano avvenuti entrambi. Soltanto i nostalgici non imparano dall’esperienza, ma per fortuna, col tempo, scompaiono o sgattaiolano sotto le gronde. Noi dobbiamo governare il futuro e considerare gli effetti benefici sul presente: se la Russia oggi vuole associarsi all’Europa e alla Nato è perché è morta l’Unione Sovietica; e se la sinistra ha governato per una legislatura è perché non c’è più il Pci». Ma è sul terzo punto dell’analisi di Violante che il presidente del Senato pensa sia utile concentrarsi: «E’ il più importante di tutti: se la questione giustizia è parte della questione democrazia, allora dobbiamo cambiare la giustizia; e se la questione giustizia è la questione democrazia, allora tenere la giustizia così com’è equivale a far ammalare la democrazia. Anzi allargo l’orizzonte dalla questione giustizia alla questione istituzioni: o ne congegnamo, e presto, di nuove, o la democrazia retrocede». Ma come si dovrebbe affrontare, per la seconda carica dello Stato, la questione giustizia? «In primo luogo riconoscendo che c’è, e che non è un problema che riguarda questo o quel politico eccellente, ma tutto il sistema, tutti i cittadini. In secondo luogo ammettendo che se la questione giustizia c’è è anche perché, sopratutto negli ultimi dieci anni, ci sono state storture, eccessi, violazioni, anche da parte di alcuni magistrati che si sono sentiti investiti di quelle che lo stesso Violante riconosce essere state funzioni delegate improprie. Non si possono dimenticare quelli che volevano processare il sistema chiudendo un occhio e talvolta tutti e due sulle garanzie. Chi auspicava la fine della prima Repubblica – e, ripeto, io ero tra quelli – non voleva certo che ciò avvenisse a danno delle garanzie dello stato di diritto e a costo della distruzione morale e fisica di tanti uomini. In terzo luogo, occorre un impegno fermo su una proibizione: basta col dire che chi vuole cambiare la nostra giustizia vuole attentare all’autonomia e all’indipendenza della magistratura o lo fa per scopi personali. Dunque, la mia proposta è: così come abbiamo chiuso il secolo buio dell’Europa con nuove istituzioni, chiudiamo il decennio oscuro dell’Italia con nuove regole. Insomma, facciamo le riforme. Di ciò che è accaduto si occuperà la storia o, per i singoli casi ancora aperti, gli interessati nelle sedi e forme appropriate». Quali riforme, per il presidente Pera? «Intanto l’ordinamento giudiziario, che è all’esame del Senato. Poi pensiamo al “giusto processo” e alla sua ragionevole durata. Nella scorsa legislatura maggioranza e opposizione, assieme, modificarono la Costituzione. Dopo quella modifica una buona parte del nostro codice di procedura penale deve essere riveduta. Poi, sempre alla luce del giusto processo, come ha detto il presidente Ciampi, cerchiamo di “delineare in un modo nuovo compiti e attività del pubblico ministero e della polizia giudiziaria”. Da ultimo, ed è la cosa più urgente, pensiamo al mandato di cattura europeo. Così com’è ha già lasciato perplessi dodici paesi europei che pure l’avevano sottoscritto e non fa dormire sonni tranquilli chi apprezza la civiltà delle nostre garanzie costituzionali. Su questo lo stesso presidente Ciampi ha fissato un paletto». Per Pera, insomma, «c’è una questione giustizia, una questione istituzioni, una questione democrazia. La maggioranza ha la responsabilità di essere in ritardo e di non essersi spiegata con una sola voce. L’opposizione ha la responsabilità di non averne voluto sapere e di non aver voluto osare. Si può cambiare? Per me si può, e dunque si deve. La strada attuale porta solo al precipizio, dove cadranno gli uni e gli altri. Questa è la sfida. Se Violante condivide, agisca di conseguenza in parlamento. Se no, il suo appello sarebbe solo un alibi».

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