Interventi

L’Europa alla prova dell’Unione

Roma, 4 marzo 2005

Discorso pronunciato al convegno «1995-2005. Dieci anni di Liberal»

1. Senza etichette

Da tempo l”Europa è al centro delle mie preoccupazioni. Lo è perché ho molte speranze, ma sono perplesso sul suo stato attuale e sul suo futuro. Lo è perché so che cosa è stata, nel bene e nel male, mi piace ciò che potrebbe essere, ma non ho chiaro che cosa sia e voglia essere.

E lo è perché, nonostante siamo nel mezzo del processo di ratifica del Trattato costituzionale, non riesco a scorgere, né in Italia né altrove, una discussione adeguata a questo evento storico. Invece, si dovrebbe parlarne molto di più, senza posizioni preconcette, senza concessioni retoriche, senza ostilità o entusiasmi predefiniti. E soprattutto senza trasformare il tema in una bandiera di propaganda politica a scopi nazionali. Cercherò di mettere in ordine i miei sentimenti sollevando tre problemi, che ritengo cruciali. Il primo: quale Europa stiamo costruendo? Il secondo: quali relazioni euroatlantiche sono utili? Il terzo: il Trattato costituzionale europeo è adeguato? Per onestà intellettuale, e per cercare di essere più chiaro possibile e perciò più facilmente comprensibile anticipo le mie risposte. L”Europa è ad un bivio fra due identità. Una era nota da molto tempo ma è stata abbandonata, l”altra è stata imboccata di recente, ma non è chiaro in quale direzione porti. Questa è la risposta alla mia prima domanda. La risposta alla seconda domanda, posso sintetizzarla nella formula “orgoglio e pregiudizio”. Da una parte, l”Europa è tentata di essere una grande potenza, con poteri, politiche, princìpi, valori, culture, suoi propri, diversi da, e anche contrapposti a, gli analoghi americani. Questa è l”Europa ostile, in varie forme e con varia intensità, all”America. Dall”altra parte, è invece convinta che il legame con l”America debba essere stretto, che il destino debba essere comune, che le distinzioni non possano essere differenze e le differenze non debbano produrre divergenze o divisioni. Infine, la risposta al terzo problema. Il Trattato costituzionale europeo non è una vera e propria costituzione. Non lo è per le procedure di decisione dell”Unione, che sono ancora troppo simili a quelle intergovernative. Non lo è neppure per lo spirito. Per questo manca il popolo e mancano i rappresentanti del popolo con le funzioni adeguate alla volontà del popolo. Il Trattato costituzionale europeo è uno strumento formidabile e una tappa utile di un processo molto lungo. Ma oggi esso è più importante per ciò che impedisce (il ritorno all”indietro) che per ciò che costruisce (la federazione europea). Quando si discute seriamente, non c”è niente di peggio delle definizioni e delle etichette. Sovente queste si usano e si attribuiscono allo stesso modo in cui si indossano le magliette per fare il tifo alla propria squadra. Ma, poste all”inizio di un dibattito, definizioni e etichette sono gabbie che impediscono la discussione approfondita e producono solo controversie verbali. Per questo, converrebbe dimenticarle tutte. Senza etichette si è più liberi. E ora cercherò di articolare le mie domande e le mie risposte.

2. Identità spirituale e identità geopolitica

L”Europa deve decidere la propria natura e darsi una propria identità. Una l”aveva trovata nel dopoguerra ed era quella dei Padri fondatori: l”identità culturale e spirituale. Secondo i Padri, Adenauer, De Gasperi, Schuman, l”Europa doveva essere una civiltà, prima che un”area economica e di sicurezza. Ed era strettamente alleata con l”America, considerata soggetto appartenente alla stessa civiltà. Questa alleanza non era aggiuntiva, al contrario era costitutiva. I padri avevano in mente un”unica zona euroatlantica contrassegnata da comuni interessi, comuni princìpi, comuni valori, comuni istituzioni. «Il sorgere di un”Europa unita ¿ disse de Gasperi ¿ non può significare differenza e addirittura concorrenza con l”alleanza mondiale patrocinata dall”America perché anzi essa appare, come è, inquadrata nella comune speranza del mondo libero». E circa il tipo di identità spirituale che i Padri pensavano per l”Europa, Adenauer fu assai esplicito: «consideravamo mèta della nostra politica estera l”unificazione dell”Europa, perché unica possibilità di affermare e salvaguardare la nostra civiltà occidentale e cristiana contro le furie totalitarie». Questo tipo di Europa dall”unica identità culturale e spirituale è morta due volte: nel 1954, quando fallì la Comunità europea di difesa, e nel 2003, quando dal Progetto di Trattato fu eliminato il riferimento alle radici giudaico-cristiane dell”Europa. Ognuno può misurare il fallimento del percorso che va dall”Europa sede di civiltà cristiana all”Europa che è incapace persino di ammettere di essere stata formata dalla tradizione cristiana. Chiusa questa strada, oggi l”Europa ne ha imboccata un”altra, quella dell”identità geopolitica. Ciò vuol dire che i confini dell”Europa continueranno ad allargarsi progressivamente, e con essi si amplierà l”area di sicurezza, di libertà e mercato ai paesi nuovi, i quali cesseranno man mano di essere le nuove frontiere europee. Si tratta di quella che talvolta si chiama l””Europa dei diritti”. Questa identità è, al tempo stesso, più modesta e più ambiziosa della precedente. È più modesta, perché un”unità di diritti positivi civili, politici, economici, sociali è più diluita di un”unità spirituale. È più ambiziosa, perché un”unità di diritti, ogni volta che importa paesi nuovi, esporta libertà e democrazia. Se questa è l”ambizione, essa però deve fare i conti con parecchie difficoltà. Una è quella che, siccome non c”è identità per quanto debole senza un confine definito, procedere senza porre limiti geografici all”espansione rischia di minare la solidità dell”impianto europeo, perché porta in seno all”Europa tensioni e contraddizioni non facilmente gestibili. Più si estendono i confini, meno è agevole garantire gli stessi diritti. Un”altra difficoltà proviene dalla forza, in particolare economica. I diritti non sono gratuiti, costano e in particolare quei diritti sociali che sono una specialità europea costano moltissimo. Ce la farà l”Europa a mantenere il suo benessere attuale, che è la ragione non ultima della sua capacità di attrazione? Avrà un”Europa sempre più larga e ancora allargabile la capacità di garantire a tutti i cittadini i suoi diritti, restando competitiva rispetto alle altre potenze geopolitiche con le quali si troverà in concorrenza? Oppure questa concorrenza farà diminuire corrispondentemente i diritti degli europei? E in tal caso, come si conserverà la coesione europea? C”è ancora una difficoltà e riguarda la volontà politica. Per numero di abitanti, risorse, capacità produttive, tecnologia, ricerca, possibilità di crescita, l”Europa può diventare un”unica grande potenza mondiale. Di fatto, lo è già. Ma una grande potenza ha un ruolo, non solo interno ma anche esterno. Non ha soltanto una politica di sicurezza domestica, ma anche una sola politica estera e una sola politica militare. Vorrà l”Europa giocare questo ruolo? Vorrà giocare le partite fuori casa? L”esperienza recente ci dice che questi problemi sono ancora in gran parte da risolvere.

3. Con o senza l”America?

Il tema dell”identità geopolitica dell”Europa e del ruolo che ad essa compete ci porta al secondo punto: i rapporti fra l”Europa e gli Stati Uniti. Che abbiano toccato la soglia più bassa è noto. Ma è utile riflettere sul perché. L”Europa sembra voler essere “postmoderna”. Ma se si chiede in che cosa questa postmodernità europea propriamente consista c”è di che preoccuparsi. Essa consiste di relativismo, multiculturalismo, nichilismo, pacifismo, esercizio leggero del potere, rifiuto della forza, volontà di declinare le proprie responsabilità, desiderio di stare alla larga dalle zone calde, salvo che non siano nel giardino di casa. Insomma, la postmodernità dell”Europa consiste nel contrario della sua identità geopolitica, o comunque l”una va in una direzione diversa, se non opposta, a quella dell”altra. La geopolitica va verso la forza, non necessariamente militare. La postmodernità va verso la scomparsa o l”affievolimento della soggettività, che non è necessariamente arroganza. Questo è ciò che più allontana l”Europa dall”America, come si è visto su quasi tutte le principali iniziative importanti dell”America dopo l”11 settembre, dalla guerra in Iraq al Grande Medio Oriente, alle strategie di esportazione della democrazia, alla percezione del rischio della rinascita del fanatismo islamico, alla diffusione della cultura dei diritti umani fondamentali. Il risultato di questo allontanamento è una sorta di isolazionismo da parte dell”Europa, opposto al nuovo interventismo americano, quel wilsonismo idealistico, non irenico bensì armato, che caratterizza l”attuale amministrazione americana e che in Europa è invece sovente considerato una forma di imperialismo o una volontà di ingerenza nella vita degli altri paesi. La tendenza isolazionistica europea può avere cause contingenti, ma non sembra essere effimera. L”inerzia, l”assenza, la timidezza, persino la paura, dell”Europa derivano da decenni di sicurezza garantita, di benessere economico, di assenza dalle responsabilità, di pace protetta. Finito il comunismo, una buona parte dell”Europa credeva di poter stare per sempre in un”oasi felice. È come se, nonostante tutte le smaliziate acutezze culturali del suo passato e le tante ironie sull”argomento, l”Europa credesse davvero alla “fine della storia” o alla “pace perpetua”. Questa duplice tendenza ¿ all”isolazionismo dell”Europa e all”interventismo unilaterale dell”America ¿ deve essere contrastata. Da entrambe le parti. Da parte europea, perché un”Europa isolata è innaturale e insostenibile, e comunque sarebbe destinata a dividersi al suo interno di fronte alle grandi crisi. Ma la tendenzza deve essere contrastata anche da parte americana. È probabile che gli Stati Uniti non sentano il bisogno di un”Europa unita e identitaria. È probabile che non ne abbiano l”interesse e che credano che sia più utile avere più linee telefoniche in Europa, anche se alcune sempre occupate, piuttosto che un solo numero. È probabile che siano tentati da un”Europa ausiliaria anziché partner. O che tutto ciò che essi desiderano sia un”Europa salda nell”alleanza transatlantica, fedele agli ideali democratici e del libero mercato, forte economicamente, che estenda la propria area di stabilità e sviluppo alle regioni limitrofe, che contribuisca alla governance mondiale e coadiuvi gli Stati Uniti nell”opera di mantenimento dell”ordine internazionale con coalizioni ad hoc. Questo sarebbe un errore. Se gli Stati Uniti ragionassero sulla base del presupposto che l”unità europea è un mito e che su molte questioni internazionali l”Europa è, e resterà, divisa, non è sicuro che farebbero il loro stesso interesse. Il “cherrypicking” può essere ricco un giorno e povero il giorno dopo. Una coalizione di “volenterosi” europei che agisca a seconda dei menu delle crisi internazionali può essere utile in un caso, ma non in altri, mentre i “non volenterosi”, anche contro la loro stessa volontà, potrebbero creare difficoltà maggiori, all”interno dell”Europa con nuove tensioni, all”esterno con la loro assenza dal teatro mondiale. E la stessa impresa di diffondere libertà e democrazia potrebbe diventare insostenibile per i soli Stati Uniti. Ora che le cose sembrano cambiare ¿ dopo le elezioni in Iraq, i fatti in Ucraina, le manifestazioni in Libano, i primi colloqui fra Israele e Autorità palestinese, i tanti sintomi di novità nel mondo arabo e islamico ¿ l”Europa medesima sembra voler ripensare la sua recente esperienza. Sarebbe un errore lasciarla sola a coltivare il proprio unilateralismo e non cercare invece di costruire nuovi ponti e strade di comunicazione.

4. Il Trattato costituzionale

Aiuta il Trattato costituzionale europeo a trovare questi ponti e a dare un”identità all”Europa? È il mio terzo e ultimo punto.

La firma a Roma del documento che per la prima volta nella storia della costruzione europea dà una base costituzionale all”Unione è stata senz”altro uno sviluppo importante ed è giusto sottolinearlo. E tuttavia è giusto sottolinearne anche i limiti.

In primo luogo, dovremo aspettare ancora gli esiti delle ratifiche dei 25 stati membri, prima di poter considerare la carta costituzionale come acquisita. La certezza sul risultato positivo di questo processo è tutt”altro che solida.

In secondo luogo, la carta costituzionale presenta difetti evidenti. È lunga più di quanto ragionevolmente una Carta costituzionale possa esserlo; è minuziosa su dettagli, ciò che è comprensibile in un trattato fra stati ma non in una Costituzione; ha una carta di diritti ipertrofica su alcuni punti, in particolare i diritti sociali, e  stranamente reticente su altri o ambigua su altri ancora; ha un preambolo retorico.

Infine, c”è il problema della predominanza del diritto. Anche se nussun testo costituzionale contiene in sé tutte le interpretazioni che la sua vita futura ne darà, il Trattato costituzionale europeo è tutt”altro che chiaro fin dalla lettera. Un articolo dice che «l”Unione rispetta l”uguaglianza degli Stati membri davanti alla Costituzione e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali» (art.5). Un altro, il successivo, sembra smentirlo. Esso dice che «la Costituzione e il diritto adottato dalle istituzioni dell”Unione nell”esercizio delle competenze a questa attribuite prevalgono sul diritto degli Stati membri» (art.6).

Si tratta, per gli Stati, di un”enorme cessione di sovranità, la quale diventerà maggiore o minore, andrà in questa o quella direzione, assumerà questo o quell”aspetto a seconda delle giurisprudenze nazionali e della Corte di Giustizia, cioè di organismi di garanzia ma non democratici o comunque che possono sfuggire al controllo democratico di Stati e popoli. Il futuro dell”Europa dovrebbe dipendere più da scelte politiche che da decisioni giurisdizionali.

Alcuni paesi europei hanno preso la questione di petto. Hanno modificato le loro costituzioni, hanno posto clausole, hanno fissato controlli di costituzionalità preventiva, sono ricorsi a maggioranze qualificate o a referendum. In Italia ci si avvale di un articolo della nostra Costituzione, la cui adeguatezza allo scopo di una sì grande cessione di sovranità e con sì vaste conseguenze non è esente da discussioni e obiezioni.

È augurabile che ci sia più consapevolezza, più dibattito, più conoscenza. Quella che c”è è poca rispetto alla posta in gioco. Soprattutto gli europeisti dovrebbero chiedere più riflessione. L”Europa è un”opportunità e un obiettivo. Sarebbe un obiettivo mancato se i nostri sforzi fossero già considerati conclusi con la cerimonia della firma di un Trattato.

 

 

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