Roma, Palazzo Giustiniani, Sala Zuccari, 24 ottobre 2003
Resoconto stenografico del discorso pronunciato dal Presidente Pera al seminario “L’idea dell’Europa”
Cari amici, a me adesso l’onere, ma credo che vi sia anche una parte di onore, di concludere questo seminario.
Sono personalmente lieto del suo svolgimento e sono anche, se mi consentite, orgoglioso che il Senato della Repubblica italiana lo abbia ospitato.
Sono anche molto colpito, e di ciò ringrazio tutti i relatori, dell’alto valore, non solo di carattere politico ma anche di carattere culturale, del tema che ci siamo assegnati. Vede, signor Cancelliere, non dobbiamo essere troppo scettici sui professori universitari: sia pur raramente anche ad essi, talvolta, accade di dire qualche parola assennata e stamane ne abbiamo avuto un’occasione.
Per questo risultato, ringrazio cordialmente i relatori europei che hanno accettato l’invito a partecipare al seminario e che hanno esposto le loro relazioni. Ringrazio anche gli amici e i colleghi italiani che hanno interloquito con loro. È un grazie di cuore.
A breve saranno pubblicati gli atti di questo seminario, così come saranno pubblicati anche gli atti di un altro appuntamento dedicato all’Europa, la conferenza intitolata: “La filosofia europea e il futuro dell’Europa”. Con questo materiale, cerchiamo di diffondere il più possibile simili tematiche, perché il dibattito, soprattutto quando si svolge a tali livelli, è altamente utile.
Che cosa possiamo dire di aver raccolto, perlomeno, cosa personalmente ho raccolto? Se posso fare delle conclusioni un po’ notarili, intanto abbiamo raccolto una ferma, convinta e ragionata volontà di proseguire.
Il cancelliere Kohl ha fatto riferimento, come altri, ad esempio il presidente Amato, alle nuove generazioni. Per le nuove generazioni, l’Europa non sarà un problema come per la nostra. Immagino che il rapporto tra le nuove generazioni, quelle che già vediamo pargolette nelle nostre case, e l’Europa sarà un po’ come il nostro rapporto con i computer. Noi oggi siamo incerti, titubanti, digitiamo, cerchiamo di navigare un po’, siamo paurosi che, chissà, scompaia tutto o addirittura esploda tutto, mentre per le nuove generazioni utilizzare questo strumento, navigare, muoversi sarà solo un altro modo di comunicare con un altro linguaggio. Sarà più facile per loro; un grazie, allora, a coloro che hanno inventato e costruito l’hardware europeo, che consentirà, appunto, ai giovani di utilizzare il software europeo. C’è quindi una volontà di proseguire con ottimismo anche per il risultato che avremo con le nuove generazioni.
Ho raccolto anche le ragioni del perché non solo possiamo ma anche dobbiamo proseguire. Le ragioni, certo, sono date dai risultati già conseguiti. Pensiamo ai wagon lits, che si stanno unificando in Europa; certamente è già un risultato utile. Non siamo forse ancora ben sufficientemente attrezzati per quanto riguarda le spine elettriche, che sono forse l’unico ostacolo che ancora non ci consente di muoverci comodamente in Europa, ma quando avremo risolto anche questo problema non vedo che altro più ci rimarrà da fare.
A parte quelli citati, un altro risultato importante che è stato conseguito e che ci obbliga a proseguire è, ad esempio, quello della pace. Immagino il dramma delle giovani generazioni del dopoguerra, cui ha fatto riferimento il cancelliere Kohl, che hanno vissuto il dramma della guerra; immagino, perciò, anche la soddisfazione di aver vissuto cinquant’anni di pace e di benessere, che, grazie alle conquiste e alle tappe successive del processo di unificazione europea, abbiamo conseguito.
Ho poi raccolto anche un altro messaggio, che mi è arrivato soprattutto dagli amici relatori dei Paesi dell’Est europeo. L’Europa non si sta semplicemente allargando ma si sta unificando, sta ritornando una grande Europa, unita attorno ad un’unica identità. Certo, forse è utile utilizzare lo slogan “uniti nella diversità” ma, se si è uniti nella diversità, lo si è perché sotto la diversità c’è un’unità profonda. Molti hanno ricordato, lo ha fatto all’inizio il presidente Pieraccini, i luoghi simbolo dell”unificazione culturale europea: i tre colli fatidici, le città simbolo, Atene, Gerusalemme e Betlemme. Questi sono i luoghi da cui è nata la civiltà europea, la quale certamente si è divisa, si è spesso contrapposta, ma non ha mai dimenticato le sue comuni origini.
Abbiamo raccolto un riferimento ad un’identità unica, che non è soltanto l’identità di coloro che si contrappongono, non è una identità di coloro che hanno dei dubbi, ma di coloro che hanno delle convinzioni. Ho sentito analoghi accenti nelle relazioni del presidente Pithart e dell’onorevole Geremek, per quanto riguarda alcuni intellettuali europei o americani e circa l’identità europea, che sarebbe un’identità del dubbio, dello scetticismo, contro invece un’identità della certezza americana. A me è parso di aver raccolto qualcosa di più positivo e importante da quanto essi hanno detto. Perciò, non è un’identità che noi possiamo semplicemente usare “in contrapposizione con”: l’Europa non nasce così.
Abbiamo da poco celebrato – presidente Andreotti, talvolta mi viene il sospetto che lo abbiamo solo celebrato il cinquantenario della scomparsa di Alcide De Gasperi. Al tempo degli sforzi di De Gasperi, di Schumann, di Adenauer e di molti altri che hanno proseguito questa strada, alcuni dei quali sono qui vivi e presenti, l’Europa significava Occidente, significava relazioni con l’America, nessuno lo metteva in dubbio. Lo ha significato non soltanto nella fase iniziale ma per molto tempo, fino al 1989 e anche dopo. È in atto un tentativo di trovare un’identità europea che stacchi l’Europa dall’Occidente e cerchi di fornire all’Europa un’identità propria. Io ho invece raccolto, nelle relazioni che oggi si sono svolte, un appello e anche una convinzione a ritornare ad un’identità occidentale che sia unica e non soltanto in contrapposizione. Certo, con gli amici, con i figli anche, si può dissentire, lo ricordava il cancelliere Kohl, ma quando si ha la convinzione dell’appartenenza ad un’unica comunità, se mi è concessa la metafora, ad un’unica famiglia, le divergenze o anche eventuali conflitti di opinione sono certamente meno importanti delle ragioni dello stare e dell’essere insieme.
Non si è parlato – per fortuna, vorrei dire – di questioni che riguardano l’architettura costituzionale europea. Il tema del seminario era, d’altro canto, l’idea dell’Europa, ma sarebbe stato facile scivolare su quel terreno. Nessuno lo ha fatto, di ciò ringrazio i relatori, e credo che ci sia un ragione profonda: si è voluto mettere maggiormente l’accento sulle politiche concrete, sulle policy, piuttosto che sulla intelaiatura costituzionale, con la convinzione, così a me è parso di comprendere, che se c’è una volontà comune sulle politiche, se c’è un impegno condiviso sulle cose concrete da fare giorno per giorno, l’architettura costituzionale sarà come l’intendenza di quel tale, cioè seguirà.
Il vero messaggio che credo di aver raccolto, quindi, è che esiste un’idea di Europa condivisa che merita un impegno e che poi, lavorando su questa idea condivisa di Europa, noi dovremo impegnarci sulle politiche.
Non per fare allora lo scettico, certamente no, e neanche per fare l’oppositore, perché non è il caso, ma consentitemi, nel chiudere questo seminario e nel ringraziarvi, di ricordare almeno alcune di queste politiche concrete, in cui l”Europa di oggi, così convinta della propria idea e identità, deve misurarsi.
Ci sono questioni aperte che noi europei, che crediamo in questa Europa, dobbiamo risolvere. Vorrei citarne alcune molto brevemente. La questione della difesa, ad esempio. Come concepiamo la difesa europea, che pure è una necessità? Non si può avere un’area così vasta e unificata senza una propria difesa. Possiamo concepirla ancora come era concepita la vecchia CED, quella che fallì miseramente?
Anche qui, presidente Andreotti, quanti bei documenti e quante belle lettere di Alcide De Gaspari potremmo ripubblicare a proposito di quel fallimento. Ad esempio, quella bellissima lettera che egli scrisse ad un Presidente incaricato dopo di lui di formare un Governo in cui lo pregava di far discutere al più presto possibile la questione della CED, prima che l’Assemblea francese decidesse. Non andò così in Italia e l’Assemblea francese, purtroppo, decise diversamente. Ebbene, oggi, circa cinquant’anni dopo (celebreremo l’anniversario l’anno prossimo) si pone lo stesso problema: intendiamo concepire la difesa comune europea in quella maniera, integrata nell’Occidente con gli Stati Uniti e la NATO, oppure immaginiamo oggi, domani, in prospettiva, una difesa europea specifica e autonoma? È una questione che ci sta agitando e sta agitando i Capi di Stato e di Governo in questi giorni.
Ci poniamo altre domande sulle politiche: ad esempio, ci chiediamo come l’Europa intenda affrontare il problema del terrorismo. L’amministrazione americana lo scorso anno dette un’indicazione che sollevò parecchie obiezioni, certo comprensibili, in Europa. Si trattava, in sostanza, della strategia del colpo preventivo di fronte ad una minaccia non semplicemente virtuale, ma attuale. L’Europa apparentemente ha rifiutato questa strategia, però la domanda resta: come affrontiamo quella sfida noi europei che siamo uniti e che vogliamo integrarci politicamente? Certo, non soltanto con le manifestazioni per la pace che sono un gesto di nobile spirito, ma insufficiente di fronte a pericoli così gravi e reali.
Altre questioni analoghe e connesse: come possiamo contribuire, non soltanto con buone parole, alla soluzione del problema del Medio Oriente? Che tristezza, cari amici, quando pochi giorni fa un Consiglio europeo non è stato in grado di pronunciare una parola unica contro gravissime dichiarazioni di antisemitismo pronunciate da un Primo Ministro e da leader arabi. Che tristezza! Stiamo parlando di valori comuni, del rispetto, della tolleranza, della pace e di fronte ad affermazioni così gravi che addirittura negavano alla radice le ragioni dell’esistenza di uno Stato – quello di Israele, che è praticamente un avamposto dell’Europa nel Medio Oriente – l’Europa non è stata in grado di dire una parola unica, forte ed autorevole.
E ancora: come risolviamo i problemi del terrorismo vicino, quello del Medio Oriente? Al riguardo, notiamo delle incertezze, delle divisioni in Occidente tra Europa e America e non si tratta di prendere posizione a favore dell’Europa o contro gli Stati Uniti, ma quantomeno di elaborare una politica. Infatti, se esiste una politica europea diversa da quella americana, gli europei possono almeno decidere, ma se la politica europea diventasse flebile o rischiasse di nascondere la propria voce, saremmo in difficoltà.
Un ultimo riferimento al problema dell’immigrazione: noi italiani ne siamo afflitti più di altri. L”Italia è l’avamposto. Abbiamo più volte sottolineato la necessità che questo sia considerato un problema dell’Europa. A Salonicco si sono compiuti passi avanti, ma la situazione è ancora insoddisfacente. Vuole l’Europa unita considerare questo come un suo problema, che non è solo – mi rendo conto – un problema di sicurezza, e guai a trattarlo come tale, pensando di farvi fronte con forze militari, navi e quant’altro? Questo non è l’unico modo di risolvere il problema. È invece una questione di tolleranza, di immigrazione e di distribuzione della ricchezza: ci si deve chiedere se questa Europa abbia la volontà, e magari anche la forza, di affrontare il sacrificio conseguente, di levare una voce univoca su questo ultimo punto.
Infine, perché è discussione di questi giorni, desidero affrontare la questione del mandato di cattura europeo. Comprendiamo le ragioni sottostanti tale strumento e quelle di sicurezza. Sappiamo che dopo l’11 settembre vi sono motivazioni di sicurezza che forse, in certi casi, prevalgono su quelle di garanzia e di libertà. Ma siamo davvero sicuri di aver meditato accuratamente su quello strumento che, in una maniera a mio giudizio abbastanza veloce e poco approfondita, l’Europa ha approvato e che ora sta consegnando agli Stati nazionali sempre più in difficoltà? Davvero trattiamo le garanzie fondamentali dei nostri cittadini, le nostre libertà, nel modo in cui adesso ci viene proposto? C’è un modo per riflettere, c’è ancora tempo da spendere per meditare più accuratamente, oppure dobbiamo essere vittime delle polemiche politiche che ci impediscono anche di discutere, per cui chi volesse approfondire l’argomento sarebbe considerato un nemico dell’Europa e chi, invece, accettasse quanto approvato, il migliore degli europeisti?
Sono problemi aperti, su cui non spargo pessimismo perché sono convinto del messaggio raccolto in questo seminario, vale a dire l’esistenza di un’idea di Europa e della volontà di proseguire nel cammino intrapreso. E se quell’idea c’è, con quella identità, con quella cultura, anche problemi aperti come questi, che sono seri e riguardano politiche quotidiane, possono essere risolti.
Ringrazio tutti gli intervenuti per il prezioso contributo offerto. Mi sia consentito di nuovo un pizzico di orgoglio per il Senato della Repubblica che ha organizzato un seminario così importante, a cui hanno partecipato personalità di così alto rilievo. Grazie a tutti e arrivederci a presto.
(Applausi)