Interventi

Perchè la religione deve giocare un ruolo nella sfera pubblica

6 Settembre 2007

Perchè la religione deve giocare un ruolo nella sfera pubblica. Riflessioni sul laicismo e la cattiva coscienza dell’Europa



di Marcello Pera



Affronterò il problema sottoposto alla nostra discussione cercando di rispondere ad una domanda normativa: perchè la religione dovrebbe svolgere un ruolo nella vita pubblica? La mia risposta riguarda in particolare l’Europa, perchè qui la questione è più seria e urgente che altrove. Conseguentemente, il mio riferimento esplicito è alla religione cristiana o giudaico-cristiana, che è la religione tradizionale dell’Europa. Cercando di provare che la religione deve svolgere una funzione pubblica, cercherò anche di provare che, se non vuole perdere se stessa, l’Europa deve tornare alla sua storia religiosa, la quale ha tante volte diviso i suoi popoli, ma ha dato ad essi la loro tipica civiltà e identità.

1. I fondamenti religiosi dello Stato laico



Quando si cerca di discutere il ruolo pubblico della religione, ci si imbatte immediatamente in una lunga tradizione di pensiero che sostiene la posizione contraria. La religione – secondo questa obiezione – non dovrebbe giocare alcun ruolo nella sfera pubblica perchè ciò violerebbe alcune conquiste decisive della nostra civiltà europea, come la separazione fra la sfera spirituale e la sfera temporale, fra la Chiesa e lo Stato, fra il diritto e la fede. In altri termini, la religione nella sfera pubblica metterebbe a rischio quello Stato laico, liberale e democratico, che in Europa abbiamo cominciato a conoscere e apprezzare proprio a sèguito delle guerre di religione.

Consideriamo meglio questa obiezione. Che cos’è lo Stato laico? Siamo tutti d’accordo su alcune formule negative. Lo Stato laico non è confessionale, cioè non adotta il credo di una specifica confessione religiosa. Lo Stato laico non è subordinato ad alcuna gerarchia della chiesa. Lo Stato laico non è esclusivo nè intollerante, ad esempio nel senso in cui lo era lo Stato in cui valeva il principio cuius regio eius religio. Ma, in positivo, che cos’è lo Stato laico? In che senso non è intollerante?

Una risposta è che lo Stato laico è neutrale, cioè non prende posizione fra credenti e non credenti o fra diversamente credenti, oppure che è agnostico, cioè non ha alcun credo proprio. La mia opinione è che queste definizioni positive sono entrambe sbagliate, e che è impossibile negare che anche dentro lo Stato laico la religione non abbia alcun ruolo. Al contrario, vi sono due ragioni stringenti per ritenere che questo ruolo sia essenziale.

Consideriamo la prima. Essa riguarda i fondamenti dello Stato laico stesso.

Allo scopo di tutelare la massima libertà individuale dei suoi cittadini, lo Stato laico garantisce ad essi una serie di diritti fondamentali di libertà. Questi diritti sono così essenziali che le costituzioni liberali, per descrivere la relazione fra essi e lo Stato, solitamente usano il verbo ‘riconoscere’. Ad esempio, la ora defunta Costituzione europea dice: ‘L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i princìpi nella Carta dei diritti fondamentali’. E la Carta dei diritti fondamentali dice: ‘l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i princìpi enunciati in appresso’. Chiaramente, ‘riconoscere’ è molto diverso da ‘concedere’ o ‘attribuire’ o ‘emanare’. Dire che lo Stato ‘riconosce’ (o ‘tutela’ o ‘rispetta’) i diritti fondamentali significa che essi appartengono ai cittadini indipendentemente dall’azione dello Stato medesimo e precedentemente al loro stesso status di cittadini. Non a caso, quando si specificano questi diritti non si fa riferimento alcuno a tale status. Ad esempio, la Costituzione europea usa formule del tipo ‘Ogni persona ha diritto alla vita, ‘Ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica’, ‘Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza’, e così via.

La ragione è ovvia. I diritti fondamentali appartengono all’uomo in quanto uomo, essi cioè sono diritti umani, assai più solidi dei diritti civili, politici, sociali. Un altro modo di definirli è considerarli diritti universali o diritti non-negoziabili o anche diritti sacri e inviolabili. La questione è: da dove vengono questi diritti? La risposta naturalmente è: vengono dai valori corrispondenti. Correttamente, il preambolo della Carta dei diritti europea dice: ‘l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà’. La questione ora è: come si giustificano questi valori? Da dove sono attinti?

Consideriamo il valore della dignità quale si trova nella Costituzione europea: ‘La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata’. Questo è certamente un valore che sta alla base di ogni Stato laico e liberale. Perchè? Quale ragione lo impone?

Certamente esistono molte giustificazioni, tra queste una in particolare: almeno in Europa e in Occidente, il valore della dignità della persona deriva – sia storicamente che concettualmente – dalla tradizione giudaico-cristiana dell’uomo creato a immagine di Dio. La persona ha dignità perchè ha l’impronta di Dio. Conseguentemente, violare la dignità della persona è recare offesa a Dio. 

Se è così, allora lo Stato laico non può essere uno stato agnostico. Al contrario, lo Stato laico è religioso. Quella tavola di valori e diritti fondamentali che esso riconosce a tutti, sono il credo, la fede, cioè a dire la religione, a cui lo Stato laico deve ispirarsi proprio per essere laico e tollerante anche nei confronti di chi ha credi diversi.

Si potrebbe obiettare che, per lo Stato laico, il valore della dignità della persona non è religioso bensì ‘umanistico’ e che il credo a cui lo Stato laico si ispira quando riconosce i diritti fondamentali della persona non è una religione, in particolare la religione giudaico-cristiana, bensì l’umanesimo, in particolare l’Illuminismo. Questa è esattamente l’interpretazione francese dei diritti umani e la ragione per cui la Francia si oppose ad introdurre un riferimento alle radici cristiane dell’Europa nel preambolo della Costituzione europea.

Tuttavia, dire che la dignità è un valore umanistico significa dire che esso è un valore religioso usando un diverso vocabolario. È come parlare in volgare anzichè in latino. ‘Io credo nel valore dell’uomo a immagine di Dio’ e ‘Io credo nella concezione umanistica del valore dell’uomo’ sono due enunciati diversi rispetto alla fonte del credo, ma sono due enunciati uguali sia rispetto al loro contenuto sia rispetto al modo in cui tale contenuto è professato. Nell’uno e nell’altro caso, comunque la si definisca, si tratta di una professione di fede. 

Questa è la prima ragione del perchè, secondo me, la religione dovrebbe svolgere una funzione nella sfera pubblica. Se questa funzione è negata, la professione di fede è impedita e lo Stato non saprebbe come riconoscere quegli stessi diritti fondamentali su cui si basa, e dunque non avrebbe fondamenti morali.





2. Il laicismo come religione di Stato



Passo ora alla seconda ragione. Essa riguarda le norme dello Stato. Non c’è dubbio che la maggior parte di esse sono neutrali rispetto ai valori e non sono controverse, perchè solitamente definiscono i migliori mezzi per soddisfare il benessere materiale dei cittadini. Altre norme però hanno un contenuto diverso e assai più delicato perchè toccano i valori fondamentali o in quanto li interpretano o in quanto li applicano a casi specifici. La varietà e l’ampiezza di tali norme dipendono dalle funzioni attribuite allo Stato, che crescono nel passaggio dallo Stato liberale a quello democratico, a quello sociale. Oggi la crescita è al massimo.

Gli Stati moderni si occupano, secondo la celebre formula di Lord Beveridge, dei loro cittadini ‘dalla culla alla bara’. Ma in questo arco di tempo agli Stati accade di prendere decisioni anche su quelle che un tempo si definivano ‘problemi di coscienza’. Lo Stato moderno è paternalistico: cura i cittadini come i genitori curano i figli. Per fare qualche esempio tipico, oggi lo Stato decide su come procreare, se far nascere figli o sopprimerli, su come educarli, su come sposarsi e con chi, se l’embrione sia persona, se e fino a che punto meriti vivere, come sia giusto morire, e una serie di tante altre questioni controverse che un tempo erano di pertinenza della sfera privata, orientata da convincimenti morali e religiosi. Insomma, oggi lo Stato si occupa di (questioni pertinenti alla) religione. La domanda allora è: può uno Stato che si cura di questioni religiose dirsi neutrale, indifferente, estraneo alla religione? Può essere agnostico?

La risposta è: no, non può. Ma se lo Stato non è agnostico, allora non si può negare che la religione abbia un ruolo nella vita pubblica. Al contrario, lo Stato deve riconoscere che la religione è un attore delle decisioni pubbliche, è un nutrimento, un punto di riferimento, un freno, un limite. Sta al sentimento religioso della gente decidere quando le decisioni dello Stato sulle questioni di coscienza sono legittime. Eliminate quel sentimento dalla sfera pubblica e lo Stato non avrà più limiti morali, neppure quelli posti dai valori fondamentali.

Anche qui c’è un’obiezione, e anche qui essa è tipicamente francese. L’obiezione è che se lo Stato cessa di essere agnostico, allora non è più laico e diventa discriminatorio.

Tutti ricordano le discussioni in Francia a proposito della ‘legge sul velo’. Essa fu preparata da un rappporto di una commissione presieduta dal consigliere Bernard Stasi. In questo rapporto si definisce il principio della laicità dello Stato in questi termini: ‘Le istanze spirituali e religiose non possono avere alcuna influenza sullo Stato e devono rinunciare a una dimensione politica. La laicità è incompatibile con qualsiasi concezione della religione che pretenda di regolare, in nome dei princìpi della religione stessa, il sistema sociale o l’ordine pubblico � La laicità distingue la libera espressione spirituale o religiosa nello spazio pubblico, legittima ed essenziale al dibattito democratico, dall’influenza su quest’ultimo, che è illegittima’

È ovvio che, così inteso, il secolarismo è contraddittorio. Non si può considerare legittima la espressione di sentimenti religiosi nella sfera pubblica e al tempo stesso considerare illegittima la sua influenza sulle decisioni politiche. Lo scopo di quella espressione è precisamente quello di ispirare e influire su tali decisioni.

C’è solo un modo per risolvere la contraddizione: consentire alla religione di esprimersi nella sfera pubblica ma obbligarla a sottoporsi a vincoli fissati dallo Stato per quella sfera. Questo è precisamente ciò che sta alla base della legge francese sul velo e ciò che presumibilmente il Primo ministro francese Jean-Pierre Raffarin intese quando presentò questa legge all’Assemblea nazionale. Egli disse: ‘Laicità significa libertà � [essa] assicura neutralità allo Stato e ai suoi attori’. Poi aggiunse: ‘Oggi tutte le grandi religioni della storia di Francia si sono adattate a questo principio. Per quelle arrivate di recente, mi riferisco all’Islam, la laicità è un’opportunità di essere una religione francese’.

Ma se il secolarismo viene inteso in questi termini, allora esso diventa una sorta di religione nazionale o di Stato. E se il secolarismo è una religione di Stato, allora lo Stato non può essere agnostico o neutrale rispetto alla sua propria religione, e perciò non può essere tollerante verso tutte le religioni. Il principio della laicità ammonterebbe a questo: nessuna religione è ammessa nella sfera pubblica ad eccezione della religione di Stato. O, in positivo: tutte le religioni sono ammesse nella sfera pubblica purchè si convertano alla, o siano compatibili con la, religione di Stato. Ovviamente, questo non sarebbe un principio di tolleranza, ma di intolleranza. Se ad orecchie francesi ciò può suonare bene, per me è insostenibile. Una religione di Stato, anche se mascherata sotto termini come ‘secolare’, ‘razionale’, ‘umanistica’, ‘illuministica’, è una dittatura di Stato. Non solo riduce le dimensioni dei veli e dei crocifissi che si possono esibire in pubblico, essa riduce anche la dimensione morale e spirituale dell’uomo.





3. La cattiva coscienza dell’Europa



Poichè, come ho detto all’inizio, la cornice delle mie riflessioni è europea, concludo il mio contributo con un’osservazione sull’Europa.

L’Europa ha fatto molti tentativi per unificarsi, ma il risultato non è stato conseguito.

L’unificazione econonica, che è la più avanzata, produce – se li produce – grandi vantaggi ma non il senso di appartenenza ad una singola comunità. Il supermercato riempie i carrelli della spesa ma non scalda i cuori.

L’unificazione monetaria ugualmente aiuta le transazioni, ma non produce più unità o cittadinanza di quanto lo faccia una carta di credito. La Borsa si rivolge al portafogli, non parla allo spirito.

Lo stesso vale per l’integrazione giudiziaria. Un uomo arrestato in un paese ad opera di un procuratore di un altro paese non fa sentire i due paesi più vicini del vecchio mandato di estradizione.

Solo l’unificazione politica produce unità, ma essa richiede identità e l’Europa oggi non ha il senso della sua propria identità perchè soprattutto il secolarismo glielo impedisce. Propagandato come il migliore strumento per dare cittadinanza a chiunque, esso in realtà produce risultati perversi.

Oggi in Europa è in corso una nuova guerra di religione. Non fra confessioni cristiane come accadde nel XVI secolo dopo la Riforma. E neppure fra cristianesimo, ebraismo e islam. La guerra oggi è fra credenti e laicisti, fra coloro che credono che la religione abbia un senso profondo, e un valore anche civile, e quelli invece che lo negano e confinano la religione nella sfera libera ma strettamente privata, come i gusti, le mode, i costumi, le tendenze culturali. Il crocifisso come un monile o una suppellettile.

Non si deve credere però che i laicisti siano privi di religione. Loro stessi fanno le loro professioni di fede, anche se credono che siano teoremi della ragione. Solo che professano una religione anticristiana, quella del Dio della Ragione, della Libertà, della Democrazia e di tutte le altre divinità del vecchio e nuovo Illuminismo. I laicisti hanno riportato una vittoria simbolica quando hanno imposto di eliminare dalla Carta europea dei diritti e poi dalla Costituzione europea il richiamo alle radici cristiane dell’Europa. Ma hanno mostrato la loro cattiva coscienza quando hanno usato, per compiere questo atto di violenza alla storia dell’Europa, l’argomento che quel richiamo escluderebbe dalla cittadinanza i non credenti o i credenti in altre religioni, in particolare l’islam. Come può una carta che si basa su valori universali, a partire dalla dignità della persona, escludere qualcuno? Il cristianesimo esclude forse qualcuno dalla dignità dell’uomo?

In realtà, la preoccupazione dell’Europa non è quella di escludere, ma quella di includere. Qui sta la sua cattiva coscienza e qui sono i risultati perversi che ne conseguono.

L’Europa vuole evitare la guerra di civiltà e di religione. Ottiene l’effetto opposto: le provoca, perchè il suo secolarismo è ciò che i fondamentalisti islamici più odiano.

L’Europa vuole integrare i musulmani o aprirsi ai paesi musulmani. Produce il risultato contrario: la sua mancanza di identità la trasforma in una terra di conquista.

Siamo ancora nel mezzo della battaglia. Il punto di svolta sta nella coscienza della gente. Se essa si lascerà convincere che la religione è un ostacolo da abbattere, un relitto da abbandonare, un simbolo da rimuovere, allora la battaglia sarà perduta. Fortunatamente, alcuni sintomi fanno pensare che esiste un risveglio religioso, una nuova coscienza, un nuovo bisogno spirituale. Se gli intellettuali sapranno interpretarlo, i politici farne tesoro e le chiese non trasformarlo in una forma di clericalismo temporale, allora le conseguenze perverse del secolarismo europeo potranno essere contrastate.

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