16 Marzo 2010
Presidenzialismo per la stabilità del Paese
– Come si concretizza oggi il pensiero liberale? Si tratta secondo lei di un modello valoriale in crisi in questo momento in Italia?
Quello del liberalismo è uno strano destino. Ha vinto ampiamente sul piano politico. Dopo la seconda guerra mondiale e la sconfitta dei totalitarismi infine e finalmente dopo il crollo del comunismo, i nostri regimi hanno tutti l’impronta liberale, sia politica che economica. Politicamente, considerano la libertà individuale e i diritti dell’individuo come una priorità che lo Stato deve riconoscere e rispettare. Economicamente, tutti ammettono la libera iniziativa fondata sulla proprietà privata e la libera competizione.
Ma questa vittoria è mutilata, perchè lo Stato liberale non è oggi sorretto da una cultura politica liberale.
L’Italia è un caso tipico, e la ex-Forza Italia lo è ancora di più. Che ne è di quel liberalismo che Berlusconi aveva considerato come suo faro al momento della discesa in politica? Mi pare che non ci sia rimasto pressochè nulla e che non ci sia più neanche nessuno a ricordare quegli impegni. Oggi il nostro governo fa la stessa politica di interventismo statalista e paternalista di tutti gli altri governi europei. Il risultato è il debito pubblico alto e la pressione fiscale altissima. Non è un caso che i nostri ministri più popolari e attivi siano di provenienza del vecchio Psi. Se a questo si aggiunge la cultura di Alleanza Nazionale, c’è di che concludere che la cultura liberale è oggi la grande assente. Un’occasione mancata.- Ha presentato a novembre una proposta di riforma della Costituzione tesa a introdurre il presidenzialismo. Quali sono i punti salienti e in che modo l’adozione di questa forma di governo concorrerebbe al raggiungimento di uno Stato più liberale?
Il presidenzialismo era uno degli impegni di Berlusconi, edizione 1994. Per ragioni diverse, legate alle idee del vecchio Msi, lo era anche di Fini. Oggi non se ne parla quasi più. Perciò ho presentato quel disegno di legge: temo purtroppo di lasciarlo “a memoria futura”, alla polvere dei cassetti del Senato. Ed è un errore, perchè il presidenzialismo è l’unico modo per avere un governo stabile e un regime politico bipolare. Prevede responsabilità precise, trasparenze, controlli e anche un ruolo esaltato del Parlamento, non quello in agonia che oggi sta attraversando. Non solo. Se si va avanti, come sembra si vada avanti, con il federalismo, allora il presidenzialismo è l’antidoto più efficace contro il rischio di disgregazione dell’unità d’Italia. Possibile che fra tanta retorica delle celebrazioni del centicinquantenario, nessuno se ne accorga? Invece, si torna a parlare di riforme e si evocano gli spettri delle “bozze Violante”, del cancellierato, della “razionalizzazione” del sistema, eccetera. Tutte soluzioni inadeguate, che vengono agitate dalla sinistra e da Fini solo a scopi politici contingenti (la sostituzione di Berlusconi), non pensando ad un sistema istituzionale adeguato alla gravità dei problemi.
– Lei considera il federalismo fiscale uno strumento per rimediare a sprechi e inefficienze del Paese?
In linea di principio, lo è. Ma temo il peggio. E cioè che il federalismo come di fatto verrà realizzato aumenterà le spese e metterà a rischio il bilancio statale. Faccio un esempio. Oggi le Regioni sono in realtà soltanto delle grandi Aziende sanitarie che impiegano a questo scopo più dell’80% del loro bilancio, con l’inevitabile spreco e corruzione che ciò comporta. Si dice: domani saranno più responsabili nella gestione delle loro risorse, e pagheranno se le impiegano male. Replico: se continueranno a fare enormi buchi e i cittadini di una regione cominceranno a protestare, contro chi se la prenderanno? E chi interverrà a ripianare i debiti? Il governo nazionale, mi pare ovvio.
– Come è possibile affrontare la questione del “multiculturalismo” nel nostro Paese, pur rispettando le radici cristiane che poggiano alla base della nostra cultura?
Considerando quelle radici come fondamentali. E chiedendo a tutti di rispettare quei princípi, che sono anche princípi costituzionali, che da quelle radici discendono. Insomma, non si deve chiedere agli immigrati una conversione religiosa, ma una conversione civile sí: la conversione ai nostri princípi e valori. Se questo non accade, allora il multiculturalismo produrrà solo ghetti con le conseguenze che già si è cominciato a vedere, a Rosarno come a Parigi come a Amsterdam o Londra o altrove in Europa. Ma c’è ancora qualcuno che crede a quelle radici cristiane come fonte di nutrimento? Mi sembra di capire che è più facile essere clericali che cristiani. Il laicismo diffuso è un veleno che paralizza l’azione politica. E produce guasti non solo culturali ma anche sociali.
– Per quanto riguarda il rapporto tra Stato e Chiesa, lei ha detto di preferire il modello americano al Concordato italiano. Per quali ragioni?
Perchè se si ha a cuore la religione e ciò che essa può rappresentare per la coesione della società civile, allora è bene che non vi sia alcun monopolio istituzionale religioso. Una società civile che rispetti i comandamenti è meglio di un accordo con lo Stato. Perchè una religione col sigillo dello Stato, finanziata dallo Stato, protetta dallo Stato, alla fine diventa un servizio dello Stato o un cliente dello Stato e perde la natura di credo. I concordati, che naturalmente si spiegano in Europa con la sua storia, finiscono col creare l’Iri della fede. Io non ne sento il bisogno.
– L’Europa sta secondo lei riuscendo a darsi un’anima, al di là delle questioni di natura economica? Quanto il mancato riconoscimento delle comuni radici cristiane dei popoli europei può danneggiare il progetto liberale dell’Unione stessa?
No, l’Europa sta solo riuscendo a dannarsi l’anima. Non ce la fa ad unificarsi politicamente, perchè non ce la fa a riconoscersi una propria identità. A mala pena governa la propria economia, come si vede nella crisi presente. Le controspinte nazionali sono ancora all’opera e rinascono i particolarismi. Io credo che la stagione generosa e ottimistica dei grandi Padri sia passata per sempre. Andiamo avanti giorno per giorno, Trattato dopo Trattato. Ma l’Europa, in quanto Unione Europea, non è una protagonista sulla scena geopolitica mondiale. Esiste sulla carta. Il giorno in cui rifiutò di riconoscere che il cristianesimo era fra le sue radici, fu anche il giorno in cui l’Europa rifiutò di riconoscere se stessa come una entità politica unica.