Interviste

Intervista su “La Stampa”

27 Giugno 2010

Pera: “Silvio, un uomo solo  Non e’ Reagan ne’ Thatcher” 

“Tutti vogliono piu’ Stato, sono di sinistra anche quando votano a destra”

di ANTONELLA RAMPINO 

Non bisogna piangere ma comprendere, cioe’ farsi una ragione. Lo diceva Spinoza, e vale anche per Berlusconi. La mancata rivoluzione liberale, dal ’94 ad oggi, credo di ragioni ne abbia almeno tre, mescolate assieme e pressochè insormontabili”. Non e’ lusinghiero il giudizio che del berlusconismo da’ oggi Marcello Pera, epistemologo e gia’ presidente del Senato. “Quella del ’94-’96, se mai e’ stata una vera occasione, e’ stata perduta. La raccolsero in pochi e isolati, senza forza e anche (mea maxima culpa) un bel po’ ideologici. I cosiddetti “professori” scomparvero ben presto, e tra i pochi imprenditori che la pensavano come loro, Antonio D’Amato fu fatto fuori proprio dal governo e dai suoi colleghi”. 

Da mesi Berlusconi e Fini neanche si parlano. La manovra di Tremonti viene contestata financo dai governatori del centrodestra. La legge sulle intercettazioni ha contro un vasto schieramento, compresi gli Stati Uniti d’America. E si nomina Brancher ministro alla vigilia dell’udienza in cui e’ imputato, in modo che possa usufruire dell’ultima delle leggi ad personam, quella sul legittimo impedimento. Siamo al punto di caduta del berlusconismo? “Ma questi sono tutti esempi di cultura illiberale diffusa! Nell’America liberale le intercettazioni la magistratura le fa raramente e la stampa non le pubblica quasi mai: la liberta’ di cronaca che si accampa e’ una scusa mediocre. La manovra di Tremonti viene criticata perchè nessuno vuole i tagli che si dicono necessari: la riduzione dei servizi è una scusa pietosa. Brancher avrebbe dovuto andare in tribunale, ma Bossi che lo ha nominato perche’ non ci andasse non puo’ inventarsi la scusa che non sapeva. Quanto a Fini, devasta la Costituzione con la scusa di essere due persone in una. Il punto di caduta del berlusconismo semmai e’ la rivoluzione persa per strada. La crisi economica rappresenterebbe un’ultima occasione. Ma si guardi in giro: gli imprenditori dicono che la crisi ormai e’ superata, quindi tutto puo’ continuare come prima; quanto al governo, oltre che vincolato dalla Lega, e’ frenato della cultura socialista di suoi ministri influenti. Tremonti vuole tagli non in omaggio ad una filosofia liberale, che chiama con disprezzo “mercatismo”, ma per un dovere da ragioniere: far tornare i nostri conti in Europa, con la quale a voce si protesta per i sacrifici che impone salvo sottovoce sollecitarla perche’ ce li imponga”. 

Insomma, il problema dell’Italia non e’ il governo, ma l’intera classe dirigente… “Secondo me, si. L’Italia non ha mai conosciuto la rivoluzione liberale e non la vuole. Tutti vogliono piu’ Stato, piu’ protezioni, piu’ sussidi, piu’ incentivi, e percio’ piu’ tasse. La classe politica imprenditoriale e culturale italiana mostra il contrario di cio’ che diceva Bobbio: l’Italia e’ un Paese naturalmente di sinistra, non di destra, anche quando vuol essere governata dalla destra. Fra liberta’ e uguaglianza o fra autonomia individuale e giustizia sociale, sceglie sempre la seconda. Compreso il mondo cattolico: viva La Pira, abbasso don Sturzo. E’ dai tempi della Rerum novarum che in Italia, sulle questioni sociali, Gesu’ Cristo sta con Rousseau e Marx e non con Jefferson”.

Basta questa ragione storica ad assolvere Berlusconi? “No, c’e’ anche una ragione soggettiva. Berlusconi non e’ la Thatcher ne’ Reagan, ne’ ha mai pensato di imitarli. E’ pacifico, ecumenico e accomodante per indole, vuole piacere a tutti e scontentare nessuno. Con un’aggravante: non si e’ mai disfatto del conflitto di interessi. Questo lo ha posto in difficolta’, anche istituzionale, perche’ dal Csm su su fino ai capi di Stato in molti hanno giocato su questa debolezza. Cosi’ Berlusconi come merito ha quasi solo la parte negativa della sua promessa, l’aver sconfitto la sinistra, da Occhetto in avanti. Poi ci sono le attenuanti: che rivoluzione liberale si puo’ fare in un Paese che non ne ha sentito il bisogno neppure quando è stato sull’orlo della Grecia?”.

Pur conquistando rilevanti maggioranze parlamentari, Berlusconi le ha vincolate alle leggi ad personam. E’ Fini oggi l’anima liberale della coalizione? Nonostante sia la Lega il cardine del governo? “Siamo alla terza ragione della mancata rivoluzione, quella politica. Berlusconi ha governato sempre in coalizione. I suoi alleati o non sono rivoluzionari, come i reduci della galassia ex-Dc, o non sono liberali, come Fini o come la Lega. Maroni dice che la Lega e’ un partito leninista. E’ solo una mezza e triste verità. L’altra, ben piu’ triste, e’ che la Lega e’ un partito statalista. La sua filosofia sociale e’ quelle delle quote latte: mungere e spremere. Oppure quella della spesa sociale: proteggere il popolo, come dicono loro, assistendolo con la spesa pubblica. Cosi’, il federalismo leghista sostituisce Roma ladrona con tante capitali regionali succhione. E’ l’Italia di sempre, che andra’ avanti come sempre, inutile piangerci su”.

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