Il principio secolare della modernità che si è affermato a partire dal Seicento sostiene che ogni pretesa conoscitiva, compresa la rivelazione, deve sottostare al primato della ragione. Kant fu strenuo difensore di questo primato, ma si oppose alle conseguenze irreligiose che, nell’età dei Lumi e ancor oggi, ne vengono tratte.
Con il suo progetto di combinazione fra ragione e fede, sostenne che Dio non è conoscibile, ma nondimeno la fede in Dio è razionale, perché è il presupposto del sapere positivo e il postulato del dovere morale. Tramite la sua interpretazione morale del cristianesimo, Kant si impegnò inoltre a provare che «fra la ragione e la Scrittura non vi è solamente compatibilità, ma unione». La morale fondata sulla ragione coincide con «l’insegnamento fondamentale del Vangelo». Filosofo cristiano e di profonda fede cristiana, Kant andò oltre un grande esercizio di analisi filosofica e teologica. In un’epoca di dispotismi clericali e di assolutismi politici, egli si propose di mostrare che un cristianesimo reso «amabile» e «alla portata di tutti» dalla critica della ragione avrebbe superato le distinzioni fra laici e credenti, protestanti e cattolici, abbattuto un ostacolo alla coesistenza fra gli Stati, e costituito una «chiesa visibile universale» con una bandiera di virtù unificante della civiltà europea. Tutti scopi che la modernità ha mancato e a cui sembra aver rinunciato.