Interviste

Intervista su “Corriere della sera”

UN CAFFÈ CON PERA

Pera scommette sul leader: «Tutto è come vent’anni fa. A Salvini ho detto di riprendere la nostra agenda per l’Italia»

Il filosofo: in Europa si deve stare con le forze di governo. Il sovranismo va ridefinito.Il Ppe sarebbe una scorciatoia ma non si può chiedere a Salvini un’inversione a U in pochi mesi

di Antonio Polito

Diciannove anni dopo, uno dei mitici «professori» di Forza Italia ha ripreso a macinare idee, ma stavolta per Salvini, che sembra tenerne conto.
Come ci è arrivato, da Popper al Papeete? «Galeotta fu Francesca Verdini. La conosco da quando era uno scricciolo biondo. Così nel dicembre dell’anno scorso organizzai un convegno a Roma sull’Europa, e chiesi al padre Denis di invitare Salvini. Lui venne, dopo ci parlammo a lungo in privato, si è creato un ottimo rapporto. Un mese fa ho votato per la Ceccardi in Toscana».

Da filosofo Pera ci tiene però a disconoscere la paternità della formula «rivoluzione liberale»: «È assai ambigua, un po’ leninista, come ambiguo era il pensiero di Gobetti. La mia formula è:partito liberale di massa. Come vent’anni fa. Allora noi avevamo un’agenda per il governo dell’Italia. Ho detto a Salvini che quella eredità è lì e va ripresa, tanto le cose in Italia stanno sempre come allora».

Quell’agenda di rinnovamento aveva «quattro punti cruciali: il primo era e resta cambiare la Costituzione. Il Parlamento oggi è in condizioni pietose, vota solo fiducia e decreti legge. Abbiamo un governo provvisorio a scadenza illimitata. Presidenzialismo, cancellierato o premierato, una strada va presa». La giustizia per Pera sta anche peggio di vent’anni fa: «Il caso Palamara certifica che le correnti sono un veleno, altro che “pluralismo culturale”, e la magistratura governata dal Csm è come la scuola governata dai sindacati». Poi c’è l’economia. E qui il liberale Pera chiede «meno assistenza, meno sussidi e bonus, di conseguenza meno tasse e più libertà ma anche più responsabilità per l’impresa».

Infine l’Europa. Nota dolente di Salvini. «Guardi, vent’anni fa noi professori, io, Martino, Urbani, eravamo euroscettici, una versione ante litteram del sovranismo, temevamo un nuovo Reich tedesco. Fino all’ingresso nell’euro. Poi Berlusconi ebbe l’intuizione di aderire al Partito popolare della Merkel. Aveva ragione lui. Non puoi governare l’Italia se non fai parte delle forze di governo in Europa». E qui Salvini — obietto io — finisce dietro la lavagna. «La Lega non può stare con la Le Pen. Dove debba andare e come lo decideranno loro: il Ppe sarebbe una scorciatoia, ma non si può chiedere a Salvini una inversione a U in pochi mesi. Io gli ho suggerito di ridefinire il sovranismo: non è “autarchia” o peggio ancora “nazionalismo”, non deve basarsi sul rifiuto di cedere sovranità all’Europa (anche la Costituzione lo prevede); ma deve accettare di cederla solo a istituzioni democratiche, e perciò l’Europa di oggi va cambiata». Gli domando come la mettiamo con Borghi e Bagnai: «Sono simpatici. Ma sono fuori dalla realtà. Non si può stare fuori dall’Europa e non si può stare fuori dall’euro, è una posizione irrealistica. E a me interessa invece che il centrodestra si dia un’agenda di governo».

Però nemmeno sugli altri punti dell’agenda Salvini sembra preparatissimo. La svolta nazionalista ha fatto della Lega il partito della spesa pubblica e di quota 100. «È chiaro che delle conseguenze ci devono essere con una scelta liberale, quota 100 è una di queste. Io provo a disegnare una cornice liberale, e certe cose dentro non ci stanno».

Ma Salvini che «allievo» è? Pera dice che sa ascoltare, è intelligente, consapevole del problema che ha davanti il centrodestra. «Magari mi illudo, ma mi sembra un leader su cui si può scommettere per costruire una nuova cultura di governo». Gli ripeto una battuta che circola: «Da Perón a Pera». E lui mi risponde con una battuta: «Ora con Bergoglio è più difficile lasciare Perón. Abbiamo perso un’occasione storica con Benedetto XVI, un vero papa laico, il suo magistero ci aiutava a difendere la civiltà occidentale. Francesco, con tutto il rispetto, usa parole d’ordine da giustizialismo argentino. È diventato più difficile il rapporto con la Chiesa, da qui il conflitto con Salvini. I cristiani più vicini al pensiero liberale si stanno di conseguenza irrigidendo. Non mi sorprenderebbe se in Europa un giorno si arrivasse a uno scisma».

È del suo ex mondo, Forza Italia, non c’è più niente che possa tornare utile? «Poco, ma c’è. Nel 2016 con Urbani costituimmo un gruppo per sostenere la riforma costituzionale di Renzi, vennero 25 parlamentari azzurri che, quasi disperatamente, puntavano su Renzi per tirarci fuori dalla palude. Purtroppo Berlusconi prese un’altra strada. È stato l’ultimo colpo. Lì era pronto il partito della nazione, un grande partito moderato di centro».

Resta il dubbio se il liberalismo porti voti. «Purtroppo l’Italia — dice Pera — ha un retaggio storico per cui tra assistenza/sicurezza e libertà tende a scegliere sempre la prima opzione. Il liberalismo vuol dire prendere rischi, e da noi nessuno vuol prenderli, neanche gli imprenditori. Ma resta una profonda domanda di rinnovamento insoddisfatta. Possiamo interpretarla. Penso che la Confindustria di Bonomi sia un’importante novità.Salvini dovrebbe diventarne l’interlocutore politico».

Leggi intervista su corriere.it

Please follow and like us:
Pin Share