Interviste

Intervista su “La Nazione”

Il presidente del Senato Marcello Pera: «Ma l’amore per la Patria si alimenta con le riforme»

di Andrea Cangini

La Nazione, 2 giugno 2002

ROMA – Presidente Pera, grazie all’impegno del capo dello Stato e al lavoro di alcuni storici il concetto di Patria sta rientrando nel lessico politico-istituzionale. La domanda è: perché per cinquant’anni non ne ha fatto parte?«Intanto, devo dirle che giudico fondamentale l’aver recuperato non solo il concetto ma soprattutto il sentimento di Patria intesa come luogo dell’identità di un popolo che si considera unito. Quel che lei dice, però, è vero: per troppo tempo l’Italia ha dimenticato se stessa».Per quali ragioni?«Per ragioni di carattere storico».Ossia?«Vede, durante il regime fascista la Patria è stata associata non solo al patriottismo, cosa in sé positiva, ma al nazionalismo. Con la fine della guerra, dunque, al giusto rifiuto del nazionalismo si è accompagnata la messa in mora del patriottismo e dell’idea stessa di Patria».Vale anche per il rispetto nei confronti delle Forze armate?«Direi di sì, e in questo caso il processo di revisione culturale è in fase avanzata. Dopo essere stato a lungo trascurato, oggi l’esercito italiano è ampiamente utilizzato in missioni internazionali di pace e tutti ci riconoscono una straordinaria competenza e un’insolita capacità umana: anche questo è un segno dell’italianità».Lo storico Galli della Loggia sostiene che la Patria è morta con l’8 settembre. Concorda?«Non sono uno storico, ma quale che sia stato l’evento che l’ha fatto morire, credo che il recupero del concetto di Patria sia oggi vitale».Ci riusciremo?«Ne sono convinto».Come fa a dirlo?«Perché vedo con quanto sentimento gli italiani si apprestano a partecipare alla festa del 2 giugno e perché credo che il fatto che l’Italia si stia dimostrando un paese leader in Europa e nel mondo aiuterà il nostro popolo a sentirsi unito ed orgoglioso di sé».L’attivismo dell’Italia in politica estera è uno strumento per la diffusione di un sano patriottismo?«Non c’è dubbio, e il successo del recente vertice Nato servirà a rafforzare l’Italia, ma anche il sentimento nazionale degli italiani».Cos’altro servirebbe?«Accelerare i tempi del processo di revisione istituzionale».Nel Palazzo non ne parla nessuno.«E mi dispiace, anche perché il federalismo dovrebbe essere il primo di una lunga serie di passi».Tipo?«La creazione del Senato delle regioni, la definizione dei poteri del primo ministro… Insomma, vorrei che già in questa legislatura le forze politiche si ponessero seriamente il problema dell’ammodernamento dello Stato».Sarebbe forse il caso di farlo in maniera globale, piuttosto che a piccoli passi occasionali…«Lo strumento della Commissione bicamerale in passato ha fallito, sarebbe difficile riproporlo. Mi sembra più probabile che si finisca col procedere per via ordinaria, l’importante, però, è cominciare».Intanto, in molte regioni si registrano preoccupanti tentativi di restaurazione.«E’ vero, accade in Friuli, in Calabria e anche nella mia Toscana. Personalmente, sono contrarissimo: l’elezione diretta dei presidenti delle regioni è garanzia di stabilità e non condivido i tentativi di certi consigli regionali di limitarne i poteri. Sarebbe un preoccupante passo indietro».Come lo spiega?«Col fatto che, per interessi di parte, si cerca di rimettere i presidenti alla mercè dei gruppi consiliari. E’ vero che i Consigli sono stati depotenziati rispetto alle Giunte, ma anziché rincorrere vecchie logiche di potere dovrebbero pensare a nuovi istituti per meglio esercitare le funzioni di controllo».Il bipolarismo e l’alternanza, contrapposti alla frammentazione politica e al consociativismo, concorrono a sviluppare il sentimento di identità nazionale?«Credo di sì. Uno dei limiti del passato è stata la presenza di una forte opposizione comunista, che all’idea di Patria ha privilegiato quella di internazionalismo e che ha reso impossibile l’affermazione di un sentimento patriottico condiviso».Il Pci non c’è più, ma nel nostro bipolarismo incompleto resta comunque una forte tendenza alla delegittimazione reciproca…«E’ vero, purtroppo non c’è ancora un pieno riconoscimento di legittimità dell’una rispetto all’altra coalizione. La verità, però, è che gli italiani sono già da un pezzo nello spirito del bipolarismo: è la classe politica ad essere arretrata».La sinistra francese è sempre stata patriottica, quella italiana no. Qualcosa sta cambiando?«Credo di sì, un po’ alla volta la sinistra italiana sta comprendendo il valore dell’identità nazionale. Certo, ci vorrà ancora del tempo».Perché?«Perché nella storia politica, come nella storia della scienza, i veri cambiamenti culturali avvengono quando la generazione che ha sostenuto le vecchie teorie cede il passo alle generazioni più giovani. E nel caso italiano sono ancora attivi diversi esponenti del vecchio ordine».La riscoperta della Patria coincide con la costruzione dell’Europa politica, è un caso?«No, la necessità di un’integrazione politica europea richiama all’attenzione il modo in cui l’Italia vi contribuisce. Siamo dunque costretti a porci il problema della nostra identità e a chiederci chi siamo e da dove veniamo».E’ pensabile un’Europa unita senza un patriottismo europeo?«No, ma prima che alla cittadinanza europea corrisponda un analogo sentimento dovranno passare delle generazioni».Il patriottismo nazionale e quello europeo potranno convivere?«Certo, e per gli italiani sarà persino più facile che per gli altri popoli».Perché?«Perché già ci sentiamo prima cittadini del nostro comune e poi cittadini d’Italia. Non sarà difficile aderire ad una terza identità: quella europea».

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