LO SCONTRO SULLE RIFORME
Un filosofo guiderà il fronte del sì «I moderati ora guardano a Renzi»
L’ex presidente del Senato: “Se la riforma non passa paralisi politica e istituzionale”
Filosofo, conservatore liberale, uomo delle Istituzioni. A Marcello Pera, presidente del Senato dal 2001 al 2006, il premier Matteo Renzi affiderà un ruolo cruciale nella campagna referendaria d’ottobre: essere l’alfiere del sì per riunire i moderati e convincerli nella bontà della riforma costituzionale. Un’«arma segreta», quella rappresentata da Pera, che circola già da qualche tempo e che presto potrebbe essere usata per confutare le tesi del no. Renzi, del resto, ormai è convinto che la proposta di schierare in campo Pera, formulatagli dagli alleati, sia la soluzione migliore per lanciare un ponte verso il centro e convincere i moderati e, dall’altro lato, per mettere con le spalle al muro la minoranza Pd, tutt’altro che affidabile in vista del referendum. Del resto, l’ordine del giorno presentato – e bocciato – in Direzione da Gianni Cuperlo e Roberto Speranza per garantire pieno diritto di cittadinanza al Nazareno ai Dem intenzionati a non schierarsi per il sì se prima non verrà almeno cambiato l’Italicum, rappresenta per il segretario del Pd un campanello d’allarme da non sottovalutare. Di qui la necessità di accelerare, puntando molto anche sull’operazione-Pera. L’ex presidente del Senato sarebbe determinato a impegnarsi in prima persona per le ragioni del sì, ma reputa che non sia ancora arrivato il momento di uscire allo scoperto.
Di certo, il profilo di Pera viene considerato perfetto da Renzi. Sul proprio blog, il filosofo definisce «un talento politico» il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, che ha dimostrato «di aver acquisito non poche competenze tecniche». E se Pera riconosce che qua e là la riforma «zoppica», la colpa non è certo della Boschi, ma dei «gruppi parlamentari che, soprattutto al Senato, hanno dato il meglio (cioè il peggio)» per «prendersene qualcuno qualche pezzo a suon di ricatti, trattative ed emendamenti». Ma c’è di più. Secondo Pera «con il concorso determinante della sinistra del Pd e anche di coloro che presentavano milioni di proposte di modifica, il Senato ha cambiato il testo originale in peggio. Ma tant’è. Ora il testo c’è e sarebbe da miopi non prendere atto della sforbiciata che dà alle istituzioni della Repubblica. Parlerà per ciò che espressamente dice e per ciò che la consuetudine e la giurisprudenza gli faranno dire». In questo contesto s’inseriscono il referendum e le ragioni del sì e del no. Una consultazione da cui dipende «il destino dell’Italia», per questo «il presidente del consiglio ha fatto bene a metterci sopra tutte le sue carte politiche, fino a chiedere la fiducia sul suo operato, pena le dimissioni».
Pera si chiede se gli italiani, dopo i tanti fallimenti dei decenni passati, voteranno per realizzare «finalmente» una riforma della Costituzione e per rendere più efficiente e moderno la nostra forma di governo. La risposta alla domanda è retorica: bisogna votare sì perché altrimenti «avremo una crisi istituzionale irreparabile»; una crisi di governo irrisolvibile: senza Renzi nell’attuale Parlamento non ci sono alternative»; «una crisi politica permanente: non si potrà votare perché manca la legge elettorale oppure si dovrà votare con una legge proporzionale imposta dalla Corte costituzionale, ripudiata da tutti e per di più incapace di garantire una maggioranza stabile di governo». Le conseguenze sarebbero «una paralisi politica senza sbocchi, pericolosa per la democrazia» e una crisi finanziaria gravissima anch’essa foriera di avventure antidemocratiche». Non manca una marcata presa di distanza da Silvio Berlusconi che «dopo aver approvato e votato il testo, aver cambiato opinione per misteriose ragioni, e costretto i suoi parlamentari al ruolo di stracciaroli, dichiara esplicitamente» che il suo «unico scopo» è «mandare a casa il governo». Come se, caduto il governo Renzi – osserva Pera – potesse succedergli il governo Salvini-Meloni-Berlusconi o Brunetta. Sia almeno lode al realismo politico e alla lungimiranza del gruppo di Ala per aver compreso che questo è il delirio di chi non ha più il polso della situazione e ha perduto la percezione del baratro che, anche per colpa sua, ci potrebbe inghiottire».
Del resto, guardando con disincanto e rassegnazione al «tramonto del sogno liberale» e alla «dissoluzione del centrodestra», Pera spiega che ormai i moderati «vedono in Renzi il nuovo Cav». Insomma, la cultura liberale e una nuova classe dirigente possono nascere solo se avranno il coraggio di cambiare schema e schierarsi al fianco di Renzi. Protagonista del ventennio berlusconiano, Pera ha sempre goduto in passato del rispetto dei suoi avversari. Vuoi per i suoi trascorsi di sinistra, vuoi per l’alto profilo culturale. Filosofo, professore di Filosofia della Scienza, studioso di Popper e teorizzatore di una terza via tra Popper e Hume, Pera si avvicina al Psi iniziato alla politica da Lucio Colletti. Recandosi nel 2004 ad Hammamet alla tomba di Bettino Craxi, definì l’ex segretario socialista un «patrimonio della Repubblica» che appartiene «alla storia della sinistra italiana». Vicino al pool Mani Pulite della Procura di Milano, ferreo censore della corruzione e critico nei confronti di Berlusconi, col tempo ha ammorbidito le proprie posizioni, avvicinandosi a Forza Italia e trovando nel garantismo un argine tanto alla corruzione quanto al giustizialismo. Eletto in Senato nel 1996 (e sempre rieletto fino al 2013), nel 2001 ne divenne Presidente fino al 2006. Professatosi ateo negli Anni Ottanta, si è avvicinato al cristianesimo accogliendo l’invito di Benedetto XVI a vivere «come se Dio esistesse», seguendo così la formula già suggerita da Pascal e Kant. Una posizione che fa di Pera un esponente di spicco del movimento neoconservatore e dei teocon italiani, anche per la sua battaglia per il riconoscimento del Cristianesimo, dei suoi valori e della sua visione sociale come radici comuni dell’Europa, indicando nel Vangelo e negli Atti degli Apostoli l’identità culturale di un continente che ha nel Papa l’unico riferimento possibile.