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Articolo su “ItaliaOggi”

Può stabilire le regole ma non può sicuramente sindacare sulle libere scelte dei cittadini

Inaccettabile lo Stato precettore

Questo governo dice: so bene io cosa è giusto per te

di Marcello Pera

Perché il nuovo decreto Conte solleva così tante proteste e malcontento? Perché è contraddittorio, incongruente, irragionevole. In una parola, è stupido.

Per esempio, io posso visitare mio fratello, ma non posso visitare mio padre che riposa in una tomba, anche se il cimitero sta lì accanto ed è vuoto.

Posso andare da mia sorella grande che abita a 200 chilometri, ma non dalla piccola, perché vive a due chilometri nella regione limitrofa.

Posso partecipare al funerale di un caro amico, purché siamo meno di 15, ma non alla celebrazione della messa in suffragio della sua anima.

Da mia suocera posso andarci, dalla mia amante, con la quale ogni volta che ci riesce siamo molto congiunti, non posso.

E così via: mi è consentito andare dal tabaccaio per comprare un sigaro, ma non alla gelateria per acquistare un cornetto, anche se in entrambi i negozi si entra uno per volta. E poi c’è il barbiere. Non si può. E allora i capelli tutti neri e ben tagliati del presidente Conte? Beh, «non si può» vuol dire che si può, purché il barbiere vada a domicilio e lavori in nero.

Perché il decreto Conte è così stupido? Non mi chiedo perché sia anch’esso incostituzionale come i precedenti, dato che la risposta è ovvia: al pari dei decreti legge del governo sullo stesso tema, il decreto Conte lede quelli che la costituzione chiama «diritti inviolabili dell’uomo», una robetta da poco che infatti interessa a pochi.

No, mi chiedo perché il decreto Conte sia tanto irrazionale e semini tanto caos. E ho solo una risposta: è ispirato da un principio sbagliato.

Vediamo quale potrebbe essere un buon principio. Supponiamo che, dopo aver consultato i migliori esperti, si siano individuate delle condizioni di precauzione – (a), (b), (c) ecc. – che devono essere rispettate per frenare il contagio fino ad annullarlo a dimensioni accettabili (più che «dimensioni accettabili» non si può fare, perché nessuno è immortale, neppure per decreto).

Allora un principio liberale direbbe: qualunque comportamento individuale e sociale, qualunque attività produttiva, commerciale, di servizio, ricreativa, sportiva, di svago, ecc. è consentita purché rispetti le condizioni di precauzione (a), (b), (c) ecc.

Semplice: poiché gli individui sono informati su queste condizioni, poiché sono i primi ad avere interesse a rispettarle, poiché sanno calcolare il proprio bene, allora gli individui devono essere lasciati liberi di andare o no alla messa e al funerale, dalla suocera o dall’amante, dal barbiere o dal gelataio.

Il governo non deve fare nulla, salvo due cose: informarmi sulle condizioni di precauzione, controllare che siano rispettate. Cioè, il poliziotto che vigila e il giudice che sanziona.

Così la vita torna normale. Il negozio che crede di essere in regola con le condizioni (a), (b), (c) ecc. aprirà e avrà clienti, quello che non è in regola sarà costretto a restare chiuso, perché saranno per primi i clienti ad evitarlo. Lo stesso vale per un’associazione, un’azienda, una chiesa (anche se questa è chiusa non per decreto Conte ma per decreto prima Bergoglio, poi Cei, ora pentita).

Se il buon principio è liberale, il principio del decreto Conte è l’opposto. Esso dice: siccome io (governo, Stato, Comitato tecnico scientifico, squadra Colao) so che cosa è bene per te, cittadino, siccome tu non lo sai o se lo sai tenti sempre di fare il furbo, l’evasore, il corruttore, l’approfittatore, l’immorale (come quando dici che vai dalla suocera, mentre invece ti rechi dall’amante), e siccome il bene che io conosco deve essere perseguito da tutti, ecco che ti faccio un elenco di cose che puoi fare, di norme apposite che devi rispettare, di casi sempre più minuziosi da cui ti devi guardare ecc. Io (sempre Governo, Comitato tecnico, squadra Colao) ti voglio bene. Io sono la tua mamma.

Io ti devo educare, tenere lontano dalle tentazioni, renderti virtuoso. Segui me, figliolo, e sarai salvo. Non dirmi che, così facendo, io violo la tua libertà; al contrario, io la rendo piena, concreta, effettiva, sostanziale, perché la libertà non è agire nel rispetto di una legge universale, ma agire secondo il bene. E poiché tu questo bene non lo conosci, ecco che sei veramente libero se fai come dico io.

Il principio Conte è statalista, assolutista, assistenzialista, paternalista. Conte se ne infischia di ciò che già Kant aveva detto: che «un governo fondato sul principio della benevolenza verso il popolo, come il governo di un padre verso i figli, cioè un governo paternalistico… è il peggior dispotismo che si possa immaginare».

Per Conte, al contrario, lo Stato deve essere maestro e babbo del cittadino, perché lo Stato «è di tutti» e il bene dello Stato è il bene di tutti, il bene puro, incontaminato. Anche se forse non lo sa, quello di Conte è il principio di Platone, per il quale «la natura di nessun uomo nasce capace di sapere ciò che è utile agli uomini per la vita civile e, pur sapendolo, di potere e volere sempre fare il meglio».

Certo, il principio Conte-Platone (e dei comunisti, compreso i post-) è un principio rischioso, perché che cosa sia il bene di tutti non è scritto da nessuna parte e ci vuole qualcuno che lo stabilisca, sì che potrebbe accadere che quel qualcuno fosse egli stesso fazioso, interessato, magari corrotto o semplicemente miope e ignorante. Ma questo rischio è contenuto e annullato, perché la voce pura del bene puro e imparziale è rappresentata da gente pura (sempre il Comitato tecnico scientifico, la squadra Colao ecc.) che sa quello che fa. Esattamente come il Consiglio notturno di Platone, che presiedeva al bene del popolo ignorante o recalcitrante.

Fossimo in un paese che avesse almeno sentito parlare di liberalismo, che avesse una costituzione liberale, che apprezzasse la libera iniziativa, inventiva, creatività, capacità dei singoli più della finzione del «bene comune», il decreto Conte sarebbe spazzato via dalla coscienza comune.

Ma siamo in un paese cattocomunista e il decreto Conte è figlio di questa cultura. Che essa ci inciampi anche in tempi normali, che ci strangoli, che ci renda conformisti, che ora non ci consenta la ripresa economica, Conte neppure lo sospetta, perché quella cultura gli sta addosso come la pelle. Ed è persino un bene che sia così, perché, se Conte capisse, farebbe di peggio: aggiungerebbe regole, aumenterebbe le norme, allargherebbe o restringerebbe la casistica, sempre nella convinzione che sta a lui e ai suoi Colao stabilire che cosa è il bene degli altri. A lui violare anche quel poco di buono c’è nella nostra costituzione, a lui saltare il parlamento, a lui decidere le procedure, a lui comunicare il bene nelle conferenze stampa. A lui: pedagogista, maestro, padre, amico.

In un altro posto ci sarebbe stata una ribellione, una manifestazione di piazza, una protesta pubblica.

Da noi no, del principio Conte non si lamenta quasi nessuno (eccezion fatta, in tv, per Nicola Porro).

Non l’opposizione, ahimé, perché si perde dietro questa o quella apertura o chiusura di questa o quella attività; non qualche leader della maggioranza, perché non è bene disturbare il manovratore; non gli intellettuali, perché rischiano di non essere invitati ai tocchesciò; non i costituzionalisti, per non giocarsi, vedi mai, un posto alla Corte; non gli scrittori, ché altrimenti non vincerebbero i premi; e neppure il presidente della repubblica, perché è molto riservato.

Però non c’è da disperarsi. Ne usciremo certamente. Cattocomunisti, statalisti, assistenzialisti come prima. In coda alle classifiche come prima. Né carne né pesce come prima. Sempre a dar la colpa agli altri, all’Unione Europea, alla Germania, ai paesi del Nord, ai mercati, agli speculatori.

Vada avanti, professor Conte, è sulla strada giusta.








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