17 settembre 2006
Il diritto di esistere
Benedetto XVI non è un disegnatore di vignette satiriche. Non è un ministro italiano in vena di provocazioni. Né un conservatore americano su cui ironizzare per sentirsi intelligenti. No. Benedetto XVI è il Capo della Chiesa cattolica. È la maggiore guida spirituale del mondo. È il punto di riferimento di milioni e miliardi di credenti, e in numero sempre crescente di non credenti. Questo Papa ha parlato, rispettosamente e profondamente.
E ha detto – anzi, ripetuto, ché le aveva dette tante altre volte – almeno due cose che dovrebbero essere di buon senso, se, come diceva Cartesio, il buon senso fosse davvero la cosa meglio distribuita. Prima: che l’Occidente non ama più se stesso, perde fiducia nella propria identità, rinnega le proprie radici cristiane.
Seconda: che la religione – qualunque religione – non è uno strumento di guerra, e perciò i popoli non possono regolare i propri problemi interni e rapporti esterni combattendosi in nome di Dio. «Deus est caritas», e se qualcuno invoca un Dio per imbracciare la spada anziché l’amore o la violenza anziché la ragione, allora costui invoca o interpreta quel Dio a sproposito. È stato frainteso, il Papa, anche se si è espresso in modo linguisticamente chiaro e concettualmente preciso. E si è sollevata contro di lui una protesta mondiale. Dopo le precisazioni di padre Lombardi, capo della sala stampa del Vaticano, e la inequivocabile puntualizzazione del neosegretario di Stato cardinal Bertone, per i fraintendimenti non c’è più spazio.
Se continuano, vuol dire che si vuole fraintenderlo, fa comodo fraintenderlo, si aspettava il momento opportuno per fraintenderlo. Ora basta. I governi dei Paesi islamici e arabi dovrebbero per primi far sentire la loro voce. I governi occidentali, soprattutto europei, dovrebbero capire che è necessario che questa voce sia ferma e definitiva, e loro stessi dovrebbero farsene interpreti. Che gli uni abbiano difficoltà interne con il fondamentalismo non significa che possono declinare precise e gravi responsabilità. E che gli altri abbiano timori di equilibri internazionali non significa che sono assolti dal silenzio. Basta, dunque. Abbiamo appena trascorso il quinto anniversario dell’11 settembre in cui ci è toccato di assistere, sulla televisione di Stato e sulla principale televisione privata, allo spettacolo, vigliacco e giocato sulla pelle dei morti, di un processo all’America.
Avevamo già visto un’Europa chiedere scusa dopo il caso delle vignette a cui il fondamentalismo aveva reagito con assalti e uccisioni di cristiani. Quella volta fu Benedetto XVI l’unico a dire una parola di saggezza. Invocò la reciprocità, non della vendetta ma del rispetto, non della violenza ma della dignità. Ora tocca ai governi, a cominciare dal nostro. Parli, richiami, protesti. Non lasci solo il Papa per poi far dire ai giornali laicisti che il Papa è solo. Non sia complice, col silenzio e l’inerzia, di un incendio che i fondamentalisti vogliono far scoppiare. Sia davvero «adulto». Difenda il Papa. Non il suo buon diritto a parlare, il che è ovvio. Il diritto nostro e della nostra civiltà ad esistere. Se ancora vogliono che esista