Interviste

Articolo su “Il Tempo”

04 giugno 2006

«Con Prodi non può esserci dialogo»

di Nicola Imberti

Ancora una volta siamo qui a commentare un parziale sconfitta della Cdl alle elezioni amministrative. Cosa non ha funzionato?

Alle amministrative, purtroppo, è un classico, andiamo costantemente indietro rispetto alle politiche, salvo lodevoli e importanti eccezioni come quella di Letizia Moratti. Per vincere le amministrative, ci vogliono almeno due condizioni, che raramente la Cdl soddisfa: un candidato conosciuto oltre la cerchia delle segreterie e un’organizzazione sul territorio.

Secondo lei Berlusconi ha sbagliato a giocare in prima persona la partita delle comunali (soprattutto a Napoli)? In questo modo non si corre il rischio di trasformare qualsiasi elezione in un referendum pro o contro Berlusconi?

Questo non è un rischio, è la costante della politica italiana da più di dieci anni. Tutte le elezioni sono diventate pro o contro Berlusconi. È il leader più forte e quello che divide di più. Berlusconi affascina chi lo segue ed è detestato da tutti gli altri. Di fronte a lui non ci sono mai mezze misure: la gente o lo ama o lo odia, o lo considera la salvezza o lo fugge come la dannazione. In ogni caso, è un’anomalia, anche per gli alleati: lo percepiscono come un intermezzo, una parentesi che si deve chiudere per tornare finalmente a quello che essi considerano la politica normale, quella dei professionisti, come se Berlusconi non avesse dato prova di professionalità e di grandi intuizioni. Quanto a Napoli, visti i risultati, è stato un errore sovraesporlo, ma è evidente che chi doveva non aveva il polso della situazione. E poi i questori sono come i prefetti: non scaldano i cuori. In alcune grandi città Forza Italia ha registrato un preoccupante calo di consensi.

Perché? È un segnale della fine del “berlusconismo” o un’incapacità degli organi dirigenti del partito?

Il berlusconismo nasce perché l’Italia, dopo la caduta del Muro, la fine dei blocchi e la strage di Mani pulite, si scopre in debito con la modernità. Vecchie le istituzioni, vecchio l’apparato amministrativo, vecchio il sistema politico, il tessuto economico, le infrastrutture, il sistema scolastico, universitario e della ricerca. E il berlusconismo consiste nell’affidare il Paese ad una persona che ha fatto cose eccelse come imprenditore e che assicura la maggioranza degli Italiani che le farà anche in politica. Come richiesta di modernità, il berlusconismo è ancora vivo: il risultato delle elezioni mostra che, soprattutto al Nord, questa richiesta è sempre presente. Come fenomeno legato alla persona di Berlusconi, il berlusconismo è sempre stato a rischio di crisi, per la teoria della parentesi di cui ho detto. Quella teoria spiega perché, per i professionisti, dai magistrati ai vecchi politici, dalle buone famiglie imprenditoriali agli alti burocrati, Berlusconi doveva comunque essere superato. Usato e sostituito. Il guaio per loro è che la Casa delle libertà ha perso le elezioni, ma Berlusconi le ha vinte e per poco non le faceva vincere anche a quelli che volevano superarlo e che pensavano che, perdendole, sarebbe finalmente uscito di scena.

Marcello Dell’Utri ha detto che Forza Italia andrebbe totalmente riformato. È d’accordo? Se sì in che modo?

Sono d’accordo. Forza Italia, soprattutto ora che è tornata all’opposizione, deve finalmente darsi la struttura di un partito, anche perché comincia già ad averne tutti i difetti senza i migliori pregi. Avrebbe già dovuto farlo dopo la sconfitta del ’96. Allora Berlusconi compì il secondo miracolo della sua carriera politica e riuscì a traversare il deserto, rivincendo nel 2001. Ora, per fare il terzo miracolo, ci vuole il partito. Tutti, in Forza Italia, dobbiamo capire che si vince o si perde collettivamente, non stando al traino o a guardare il leader in televisione.

Qualcuno è convinto che l’unico modo per salvare Forza Italia e la Cdl sia quello di dar vita, nel più breve tempo possibile, al partito unico del centrodestra. Condivide questa analisi? Quali dovrebbero essere le caratteristiche di un ipotetico partito unico del centrodestra?

Dell’opportunità politica del partito unico del centrodestra sono convinto da tempo. E dovrebbero esserne convinti anche quelli che mettono in discussione la leadership di Berlusconi. In quale altro luogo pensano di farlo se non dentro un unico contenitore? Purtroppo, il tema torna di attualità in un contesto più difficile. Oggi siamo disgraziatamente tornati al sistema proporzionale, il quale di per sé porta alle divergenze piuttosto che alle unificazioni. E, con questo Governo, non sarà facile toglierlo, perché il proporzionale è la polizza di assicurazione di Bertinotti.

Mancano poco più di 20 giorni al referendum costituzionale. Un appuntamento che rischia di essere decisivo per il futuro della Cdl. Cosa pensa succederà?

Che cosa succederà non lo so. So che la Cdl deve impegnarsi al massimo. E non deve solo dire Sì a denti stretti o di malavoglia. La riforma della Costituzione era il nostro primo punto e tale deve rimanere, perché è necessaria. Solo i nostalgici o i reduci possono pensare che le nostre istituzioni sono adeguate ai tempi. Anche qui, purtroppo, si lavora in condizioni più difficili. Perché la Lega, in particolare il ministro Calderoli, ha insistito affinché si approvasse la riforma a novembre scorso e si celebrasse il referendum alla fine di giugno? La famiglia Calderoli non va mai in vacanza? Oppure Calderoli non sa fare i conti col calendario?

Archiviata questa lunga campagna elettorale crede sarà possibile aprire un dialogo franco con la maggioranza di governo su alcuni grandi temi importanti per il futuro del Paese? Quali?

Non saprei dire e non mi pare che ci sia tanto spazio per il dialogo, almeno finché dura il Governo Prodi, così dipendente da Rifondazione comunista e dalle sinistre radicali, compreso il laicismo radicale di ciò che è rimasto dei socialisti e dei radicali. Certo il dialogo è difficile sulla politica estera, perché il ritiro dall’Iraq è, per la Cdl, una fuga zapaterista che colpisce l’immagine internazionale dell’Italia, è contraria agli interessi strategici dell’Europa, e mette a rischio le relazioni transatlantiche. Né vedo dialogo possibile su tutte le questioni bioetiche che, con tanta leggerezza ma con altrettanta determinazione, i ministri dell’attuale governo hanno sollevato o, come nel caso del ministro Mussi, hanno risolto senza consultare nessuno. No, il Governo Prodi non è fatto per il dialogo. Prodi vuole fagocitare anche i suoi alleati.

Recentemente Berlusconi ha detto che l’Unione sta creando un vero e proprio regime. Condivide questa analisi?

Alla luce di quanto visto fino adesso cosa la spaventa di più del governo guidato da Prodi? Il Governo Berlusconi aveva Gianni Letta che, quando si accorgeva che i colleghi spingevano troppo su decisioni unilaterali non condivise e scorgeva rischi di scontri politici o istituzionali, metteva il freno e spesso veniva ascoltato. Nel Governo Prodi c’è invece Enrico Letta, che purtroppo non ha il pedale del freno. In compenso, ci sono Prodi, la sinistra radicale e tanta altra gente che hanno voglia di vendette. Sono quelli che dicevano che Berlusconi si doveva eliminare e pensavano non solo alla politica, ma alle sue aziende e alle sue vicende giudiziarie. Costoro oggi decidono per tutti, come se avessero stravinto le elezioni. E poi c’è stata la questione dell’elezione del presidente della Repubblica. Se si voleva dialogare, quello non era il modo. Meno di un mese e il governo ha già messo in mostra tutte le sue contraddizioni. L’ultimo scontro riguarda la ricerca sulle cellule staminali e la possibile riforma della legge 40.

Cosa pensa della scelta fatta dal ministro Mussi e del dibattito che ne è scaturito?

Mussi non è stato sprovveduto. Ha fatto uno strappo a freddo che ha lasciato gelati anche i suoi colleghi ministri, a cominciare dal vicepremier Rutelli, che diceva di avere posizioni diverse. Alla prima prova, i moderati sono stati messi in minoranza. E il guaio è che Prodi ha davvero dimostrato di voler essere un cattolico “adulto”: ha preso, incassato ed è stato zitto, favorevole, connivente o complice faccia Lei. Rutelli ha mostrato di non contare, così come non contano le sue promesse fatte ai cattolici e forse a qualche gerarchia vaticana, che ora se ne sono accorti e si disperano di ciò che era già chiaro prima. Prodi e la sinistra radicale fanno per tutti. Si sente solo la loro voce. Un altro tema delicato per il governo rischia di essere quello delle politica estera. La sinistra radicale, infatti, sembra condizionare e non poco le scelte dell’esecutivo. Pensa che questo influirà sui rapporti con gli Usa? E con Israele? Ho già detto che sono a rischio le nostre relazioni transatlantiche. D’Alema è uno pragmatico, anche nell’uso dell’ideologia pacifista e antisraeliana di cui è intessuto il governo di cui fa parte. È uno che ha bombardato la Serbia anche prima dell’autorizzazione del Parlamento. Gli bastò qualificare la guerra come “umanitaria”. Oggi come allora deve vedersela con gli americani e col presidente-comandante Bertinotti. Dirà alla Rice cose gentili, spenderà la migliore retorica, poi si barcamenerà e alla fine dovrà adeguarsi. Lui conta e conterà ancora, ma, finché c’è Prodi, il pallino non l’ha in mano lui. 

 
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