16 Dicembre 2007
di Marcello Pera
La commissisone giustizia della camera si e’ convocata nella notte fra oggi e domani per approvare una norma, gia’ votata dalla maggioranza sotto forma di emendamento, la quale dice: “e’ punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6 mila euro chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati su opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali ovvero sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.
Di che cosa, in sostanza, si tratti e’ chiaro. A differenza dell’identità di sesso che divide le specie in maschi e femmine, l’identita’ di genere divide la specie umana in uomini, donne e, nel mezzo o accanto, altri generi. Proprio perche’ questi generi sono “altri” e non sono definiti naturalisticamente (sulla base della fisiologia), cio’ significa che la differenza di genere, diversamente da quella di sesso, si basa sulla cultura e non sulla natura. E poiche’ la cultura e’ materia di costume, tendenza, opinione, cio’ significa che, mentre l’identita’ di sesso e’ uno stato obbligato, l’identita’ di genere e’ una libera scelta. Insomma, nasce un nuovo diritto. Grazie ad esso, non saro’ obbligato a dirmi maschio o femmina, e percio’ ad essere schiavo della natura, ma finalmente, emancipato dalla fisiologia, saro’ libero di dirmi del genere che mi pare.
Per quale ragione una norma siffatta venga introdotta e’ ugualmente chiaro. Perche’, se valgono i generi e non i sessi, e la scelta dei generi e’ libera, allora non c’e’ ragione di opporsi all’unione fra generi diversi. Anche se, per ipotesi, si concedesse che le unioni omosessuali sono innaturali, le “unioni omogeneriche” non potrebbero essere definite cosi’, perche’ la natura non conta davanti alla cultura. Con il corollario che, introdotto il divieto di discriminare contro l’identita’ di genere, l’opposizione alle unioni (matrimoni o simili) omosessuali diventerebbe un reato.
Qualche osservazione merita di essere fatta. Intanto sulla procedura. Perche’ una rivoluzione concettuale cosi’ importante e dalle conseguenze tanto devastanti rispetto al costume tradizionale deve essere fatta nottetempo, con un emendamento furbo e obliquo, e con la scusa di lottare contro le discriminazioni? Non sarebbe piu’ coraggiosa, persino piu’ nobile, una battaglia aperta, alla luce del sole, con la opinione pubblica correttamente informata?
C’e’ poi la questione della fattispecie di reato. Esiste anche in Italia un principio di civilta’ giuridica che si chiama determinatezza della norma penale. In sostanza, quando si rischia di andare in galera, bisogna sapere bene perche’. Ma in questo caso che cosa, in concreto, integra il reato di discriminazione di genere, visto che la nozione di identita’ di genere, a differenza di quella di sesso, non esiste nel nostro ordinamento e non e’ definita con un minimo di precisione? Che cosa un cittadino deve evitare di dire e di fare affinche’ un giudice non lo condanni?
Ma l’osservazione principale riguarda proprio il concetto di genere. Qui, per fortuna, non e’ questione di cattolici e laici o di morale o diritto naturale. Qui e’ questione della natura. Per sapere chi sono e che cosa fanno maschio e femmina, non occorre leggere la Bibbia, basta andare allo zoo. La differenza di sesso si impara cosi’ e spesso i genitori cosi’ danno la prima educazione sessuale ai bambini. Ora si cambia. Anziche’: “Guarda che bella sorellina!”, si dira’ ai figli qualcosa di simile: “Guarda che bella creatura ti ha portato la cicogna! Da grande, ti dira’ lei se e’ la tua sorellina o il tuo fratellino oppure quel che le pare e piace”.
Cosi’ va il mondo nell’epoca del relativismo. “I fatti non ci sono, ci sono solo le interpretazioni”, come disse quel Tale. Ma era un filosofo, il quale, benche’ ammattito, mai avrebbe immaginato che un giorno i politici l’avrebbero preso sul serio per distruggere non solo la nostra tradizione e civilta’, peraltro ormai in agonia, ma anche la nostra natura.