30 Dicembre 2008
di Marcello Pera
La dichiarazione del presidente del Consiglio a favore del presidenzialismo è stata forse estemporanea, ma nessuno che avesse seguito con attenzione l’evolversi del nostro sistema politico e costituzionale negli ultimi anni dovrebbe stupirsene. In sostanza Berlusconi ha detto: “Io ho trasformato l’Italia in una repubblica presidenziale”.
Epoi: “Io ho il consenso del popolo, e perciò io mi candido con elezione diretta alla presidenza della Repubblica. Perchè non dovrei dare forma di diritto a ciò che già esiste, in gran parte per merito mio, in punto di fatto?”.
Chi si stupisce non è stato attento a ciò che è accaduto. à in corso da tempo una crisi degenerativa che ha cambiato il nostro sistema, ne ha eroso la natura democratica, lo ha lasciato in sospeso, e ora lo espone persino ad avventure. Il federalismo, che darà un colpo d’accetta al bilancio statale e di martello all’unità d’Italia, sarà l’ultimo episodio.
Di questa degenerazione, i protagonisti e i cittadini percepiscono perlopiù i segni esteriori e li fraintendono, alla maniera di coloro che non capiscono che, guardando il dito, non si vede la luna. I parlamentari di maggioranza lamentano la loro riduzione a macchinette schiacciabottoni, il cui unico contributo intellettuale consiste nel ricordarsi che il bottone verde è il secondo da sinistra e quello rosso il primo da destra. I parlamentari di opposizione lamentano la loro trasformazione in spettatori di votazioni dall’esito scontato. Gli uni e gli altri lamentano che non possono emendare neppure una virgola dei decreti del governo, peraltro gli unici provvedimenti che sono portati in Aula, essendo da tempo scomparsa l’iniziativa parlamentare delle leggi. I presidenti delle assemblee lamentano che il governo non dia spazio al dibattito e li costringa, con i decreti, i voti di fiducia, i tempi contingentati, a fare da passacarte della sua volontà. I cittadini lamentano la distanza della politica e se la prendono con la “casta”.
Ma tutto questo è colore, e comunque effetto, non causa. Le principali ragioni profonde della degenerazione consistono in due sequestri. Il primo è il sequestro della rappresentanza parlamentare. Esportata dalla Toscana, la legge elettorale su liste bloccate ha avuto due effetti immediati: il parlamentare eletto, dopo una campagna elettorale cui ha assistito da spettatore televisivo senza muovere un dito se non per fare zapping, ha perduto qualunque interesse al suo territorio di riferimento, e il cittadino elettore non ha più avuto suoi rappresentanti. Non solo costui non ha messo il naso nella loro elezione, non li ha mai visti nè conosciuti, e non sa dove incontrarli. Cosí i gruppi parlamentari sono diventati solo la corte del leader del partito, da lui scelta in base all’affidamento personale verso sè medesimo, non a quello politico verso gli elettori. Chi oggi si lamenta della tanta piaggeria e cortigianeria che vede in giro dovrebbe anche riflettere che la legge toscana piace a tutti i capi partito, tanto che cercano di estenderla anche alle elezioni europee.
L’altro sequestro è quello, conseguente, del Parlamento. Quando, col sistema toscano, il capo del partito diventa presidente del Consiglio, il Parlamento, composto di sola gente al seguito, si trasforma in una sua propaggine esterna. E se per caso questa non risulta maneggevole e arrendevole come egli vorrebbe, ecco nascere la richiesta di riforme. Non ci è forse toccato di sentir dire che in Parlamento basterebbero una trentina di persone, oppure che si potrebbe votare solo nelle commissioni, oppure che potrebbero votare solo i capigruppo? Forse sono scherzi, ma hanno l’aria di essere freudiani. Dopotutto, a che serve il Parlamento se fa tutto il governo? E se deve fare tutto il governo, e per esso il suo capo, a che servono tante procedure?
Il sequestro del Parlamento da parte del governo ha anche altre cause. Quando il governo sigla un accordo con i sindacati, il Parlamento è chiamato solo a mettere il timbro. Quando il governo fa un’intesa con le Regioni, il Parlamento può solo ratificare. Quando il governo se la vede direttamente addirittura con alcuni pochi sindaci, il Parlamento appone la firma. E cosí via, con le associazioni, le categorie, i gruppi organizzati, eccetera. Per non parlare delle nomine negli enti o delle autorità.
Si obietterà che al Parlamento, anche sotto sequestro, resta pur sempre il potere di far cadere il governo. Ma non è vero. Quella minaccia è un’arma senza la punta: perchè se cade il governo si rivota e i capibastone (qualifica che i capibastone danno a chi li disturba) eleggono un altro capo che ripeterà le orme del predecessore.
Solo che, di questo passo, sequestro dopo sequestro, il sistema degenera. Se poi si aggiunge la circostanza tragica che oggi in questo sistema non c’è neppure l’opposizione politica, per malattia grave sua propria e perchè neanch’essa capisce le cause vere della crisi italiana, anzi le coltiva al pari della maggioranza, allora si deve concludere che, sempre di questo passo, degenera anche la democrazia. Già adesso siamo alle folle “oceaniche” si sarebbe detto una volta – sotto i gazebo e sotto le tende delle primarie. Approfittando delle lunghe file, anzichè spingere il poveretto che sta davanti, sarebbe il caso di soffermarsi a riflettere. Non certo sulla perduta “centralità del Parlamento”, per metterci una toppa, come toppe sarebbero il presidenzialismo, il Senato federale, o un nuovo Csm, ma su una questione più importante e di sistema: la nostra Costituzione è ancora un patto che lega gli italiani? à ancora uno strumento efficiente e adeguato?
C’è stato un tempo in cui, soprattutto nel centrodestra, queste domande erano all’ordine del giorno. E ce ne fu un altro in cui un presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, considerato matto perchè dava il meglio di sè quando faceva il matto, le pose all’attenzione di tutti. Oggi è scena muta. Ed è un grave errore. C’è solo da sperare che non si trasformi in una tragedia, il giorno in cui la crisi costituzionale e politica si dovesse combinare con una economica e sociale.