Interventi

I nostri valori, le nostre ragioni

Incontro con Forza Italia

Catania, 27 novembre 2005

 

1. Il tema fondamentale

Il tema che mi è stato assegnato per questo incontro – «I nostri valori, le nostre ragioni» – riguarda la nostra identità.

Questo tema ha due aspetti: politico-programmatico e politico-culturale. Il secondo aspetto sorregge il primo, perché senza cultura politica aggiornata non c’è azione politica adeguata. Perciò comincio da qui, sia perché ancora adesso si sente ripetere che la destra in Italia è priva di cultura politica, sia perché talvolta mi par di capire che anche in Forza Italia qualcuno ci creda davvero e perciò, per dimostrarsi invece preparato e avanzato e colto e aperto e moderno, si mette piuttosto a scimmiottare i suoi avversari.

Per me questo è un atteggiamento sbagliato e l’accusa di mancanza di cultura politica non corrisponde alla realtà, anche se è vero che sul terreno dei valori, dei princìpi, dell’identità, occorre più impegno. In particolare, occorre che il comune sentire – perché abbiamo uno spontaneo comune sentire – trovi voci e occasioni e sedi per manifestarsi e rendersi più esplicito.

Specialmente adesso che stiamo andando verso la campagna elettorale principale, Forza Italia non dovrebbe limitarsi solo ai bilanci delle cose fatte e dei preventivi di quelle da fare. Le prime sono molte, più di quanto si ricordi, e delle altre ne restano ancora, perché il tempo non è stato sufficiente e perché non sempre è stato propizio. Ma, oltre a questo, c’è qualcosa d’altro su cui dovremmo insistere.

Il tema dell’identità è un tema centrale, che deve essere sollevato e dibattuto. Secondo le mie sensazioni e i miei termometri, è addirittura il tema principale. Per questo, da tempo ci dedico particolari sforzi intellettuali. Ho incontrato molti avversari, ma pochi critici, cioè molti pronti a denigrare o insultare ma pochi disposti a confrontarsi e discutere. Ma io insisto, perché ho la convinzione delle mie idee e la percezione che esse siano molto diffuse.

2. Fondamentalismo e identità

La questione dell’identità solitamente viene fuori in due modi: o perché qualcuno te la chiede, o perché qualcuno te la nega. Con il referendum sulla procreazione assistita e poi con i dibattiti sui Pacs e ora sull’aborto ci è stata chiesta. Con il fondamentalismo e il terrorismo islamico si è cercato di negarcela.

Comincio dal fondamentalismo e dal terrorismo islamico. Con una precisazione essenziale: che quando si parla di terrorismo “islamico” non s’intende affatto dire che l’islam sia una religione o una cultura che alimenta il terrorismo. Questo è falso. S’intende invece dire che i fondamentalisti e i terroristi agiscono nel nome di una versione dell’islam che essi piegano ai loro scopi, primo fra tutti quello di far credere alle masse islamiche che l’Occidente ha in corso una guerra di religione contro l’Islam. E anche questo è falso. Che cosa in realtà accade?

Accade che alcune élites radicali islamiste, distanti e ostili alle stesse masse islamiche, e soprattutto ai paesi arabi moderati, coltivano da tempo – da molto prima dell’11 settembre – un disegno: una rivolta dell’Islam e una sua rivincita storica, una sorta di “reconquista” al contrario dell’Occidente. Ai loro occhi questo disegno si deve realizzare in due tappe, non necessariamente in successione cronologica: l’abbattimento di quei regimi arabi e islamici che mantengono rapporti buoni con l’Occidente, che i fondamentalisti e terroristi considerano corrotti, e la guerra all’Occidente stesso, che essi considerano degenere, o, come diceva l’ayatollah Khomeini, «il Grande Satana».

Si potrebbe pensare che si tratta di deliri. Ma noi europei per primi dovremmo sapere che la categoria del delirio non spiega né paga: anche Hitler, con il suo Mein Kampf, delirava. Ma poi vennero le occupazioni naziste in Europa e la seconda guerra mondiale, che l’Europa aveva voluto scongiurare insabbiando la testa nel pacifismo a Monaco nel 1938. Bin Laden, o chi per lui o con lui, è certamente molto diverso da Hitler, ma non c’è ragione per ritenere che sia meno conseguente e meno pericoloso di Hitler. Soprattutto dopo i morti di New York, Madrid, Londra, Sharm el Sheik, e tanti altri posti, i suoi deliri dovrebbero essere presi sul serio.

Come ha reagito la destra italiana al fondamentalismo e al terrorismo islamico? Qui è venuta fuori la sua identità. La destra, e soprattutto Forza Italia – io credo – ha fatto un’analisi corretta della situazione.

Ha capito che un nuovo totalitarismo, pericoloso quanto quelli del secolo scorso, si era affacciato sulla scena mondiale a minacciare l’Occidente.

Ha capito che in Iraq, come in Afghanistan, non si combatteva per il petrolio o per interessi economici americani.

Ha capito che sostenere l’Iraq e condurlo alla democrazia è un interesse strategico dell’Europa.

Ha capito che era essenziale che l’Europa non si dividesse, né si nascondesse dietro lo scudo dell’Onu, bloccata dai veti come già lo era stata ai tempi della crisi dei Balcani.

Quando la Francia e la Germania hanno diviso l’Europa, la destra ha capito che, senza entrare in guerra, era nostro interesse nazionale schierarsi con l’America e l’Inghilterra.

Insomma, la destra e in particolare Forza Italia ha capito che con il fondamentalismo e il terrorismo è in gioco la difesa della nostra identità. In proposito, i comunicati di Al Qaeda parlano chiaro. Noi veniamo colpiti o indicati a bersaglio perché «giudei e crociati», cioè veniamo aggrediti non per quello che facciamo, ma per quello che siamo, esattamente per essere gli eredi della tradizione ebraico-cristiana. Forza Italia questo l’ha capito e, con la sua politica estera e europea, ha difeso questa identità contro coloro che vogliono cancellarla. Non abbiamo dichiarato guerra a nessuno, se non ai terroristi. Non abbiamo occupato nessun paese. Ci siamo tutelati, consapevoli che di fronte al terrorismo o ci si difende o ci si arrende.

3. Etica e identità

La questione dell’identità era in gioco anche nel referendum sulla procreazione assistita. Di che cosa si trattava, in realtà?

Non si trattava di correggere qualche punto di una legge difficile approvata a larga maggioranza dal Parlamento poco tempo prima, perché un emendamento si poteva approvare sempre in Parlamento anche qualche tempo dopo.

Non si trattava di rifiutare lo Stato laico, perché nessuno lo ha mai messo in discussione, se non gli stessi laicisti che vogliono ingabbiarlo nella loro ideologia laicista.

Non si trattava di respingere la separazione religione-politica o morale-diritto, che i liberali hanno conquistato da secoli e che è ancora una conquista da tutelare, soprattutto a fronte delle teocrazie islamiche.

Si trattava piuttosto di rispondere a domande cruciali per la nostra identità. Fra le altre, queste:

La dignità della persona è ancora un valore per noi o non lo è più?

L’embrione è qualcosa o qualcuno?

La vita di un embrione è uno strumento per soddisfare diritti e desideri degli adulti oppure vale in sé?

La ricerca scientifica è un bene supremo, un progresso sempre e comunque, a cui subordinare tutti gli altri, o ha dei limiti etici?

E alla fine: quei valori che fanno parte integrante e fondante della nostra tradizione cristiana – in particolare il rispetto della vita umana e della dignità della persona – sono ancora validi per noi, li dobbiamo ancora coltivare, dobbiamo cercare di collocarli nel miglior compromesso possibile con altri valori, oppure non contano più nulla, e dobbiamo essere tutti secolarizzati, agnostici, atei, immemori della nostra storia?

Quello che era in gioco sulla fecondazione assistita, lo è anche sulla questione dei matrimoni omosessuali, o pacs o comunque li si definisca, e anche sulla rinata discussione sull’aborto.

Sul matrimonio la questione è: il matrimonio fra persone di sesso diverso, su cui, secondo la nostra Costituzione, è fondata la famiglia come «società naturale»  – e si badi: naturale, non: sociale o culturale o giuridica – è ancora un’istituzione morale, oltre che naturale, valida per noi, oppure possiamo cambiarlo a nostro piacimento? La nostra risposta è: quel matrimonio eterosessuale rispecchia ancora un ordine morale e deve essere tutelato. Non c’entrano le discriminazioni. Contro le discriminazioni ci sono già le leggi e, se non sono sufficienti, altre se ne possono approvare, perché tutte le discriminazioni sono odiose. C’entra invece la volontà di non stravolgere un valore e un istituto, il matrimonio, tanto importante e fondante della nostra tradizione, e dunque della nostra identità.

Quanto alla rinata discussione sull’aborto, credo che non sia corretto chiamarlo una «conquista di civiltà». L’aborto può essere una tragica necessità o una drammatica scelta – di una donna sola, se è sola, o di una coppia -, ma non è un atto di civiltà, perché con l’aborto si sopprimono una vita e una persona. La vera civiltà della legge 194 non consiste nell’aver introdotto un “diritto” ad abortire, ma nell’aver posto un divieto alla piaga degli aborti clandestini, umilianti, e insicuri. La vera civiltà non consiste nel lasciar sole le donne ad abortire, ma nell’aiutare le famiglie, con la solidarietà, l’assistenza, l’educazione, affinché quella tragica scelta o necessità si verifichi il meno possibile. Insomma, la vera civiltà consiste nel tutelare la vita, non nell’autorizzare la morte.

Come il fondamentalismo islamico ci ha costretto a riscoprire la nostra identità – a chiederci chi siamo “noi”, in che cosa crediamo “noi”, su quali punti “noi” differiamo da “loro” -, allo stesso modo le questioni bioetiche ci hanno portato a riaffermarla. Ma, una volta ritrovata e riaffermata, questa identità, dobbiamo ragionare così: noi, in politica, siamo laici ma non laicisti, e perciò, sia che siamo credenti sia che non lo siamo, apprezziamo la tradizione cristiana nella quale siamo nati, intendiamo professarne ancora i valori che ci uniscono e cerchiamo di combinarli gradualmente, prudentemente, saggiamente con gli altri valori che la storia ci propone.

I laicisti non sono laici rispettosi della tradizione. I laicisti intendono sostituire la nostra tradizione con un’altra, quella, essi dicono, della modernità, della scienza, della ragione. Ma, mi chiedo:

che ragione è mai quella che rinnega i valori su cui da millenni ci fondiamo?

che ragione è mai quella che ritiene che tutto ciò che è possibile fare si può anche fare?

che ragione è mai quella che sostiene che la nostra tradizione cristiana vale quanto qualunque altra?

che ragione è mai quella che si vergogna di dire ad alta voce che libertà, democrazia, tolleranza, uguaglianza fra uomo e donna, rispetto, e così via, sono valori che valgono ora sì ora no, da una parte sì e da un’altra no, in un tempo e in un luogo sì e in un altro no?

Sono i laicisti che sbagliano.

Sbagliano perché ritengono di essere i soli illuminati, i soli che dispensano il pane della saggezza, i soli  che forniscono il sale della terra, in nome della scienza e della ragione, trasformate in nuove divinità

Sbagliano perché non considerano che quando si soddisfa un diritto, esso si deve contemperare con tanti altri diritti, quello del figlio con quello dei genitori, quello della vita con quello della salute, quello della persona con quello della ricerca scientifica, e così via.

E sbagliano, i laicisti, perché mentre cercano di tagliare le nostre radici, non si accorgono che un bisogno di valori, un sentimento spirituale, una rinascita religiosa sta emergendo prepotentemente in Occidente e non si rassegna a farsi confinare nel «ghetto della soggettività», per usare un’espressione del Cardinale Ratzinger ora Papa Benedetto XVI.

Ecco che cosa deve fare la cultura politica della destra. Deve cogliere questa rinascita, sentire quel bisogno, rappresentare quel sentimento. Forza Italia lo può fare senza tramutarsi da partito laico in partito confessionale, senza cambiare la propria natura liberale, senza abbandonare la propria storia di movimento moderno. Forza Italia può e deve essere il portatore e il motore di questa cultura dell’identità.

4. Liberalismo conservatore

Ma che tipo di cultura politica è quella dell’identità? Rispondo: è tipica, propria, sana, cultura liberale e al tempo stesso tradizionalista o conservatrice.

Non c’è da scandalizzarsi per le parole “tradizionalista” o “conservatrice”. Non c’è da avere paura a dire chi siamo e perché lo siamo. Del resto, un tempo i bempensanti si scandalizzavano anche della parola “liberale”, che oggi invece si contendono tutti, a cominciare da quelli che liberali non sono mai stati.

Il liberale conservatore è conservatore sui princìpi e sui valori e liberale sulle riforme da fare in tutti i campi.

Il liberale conservatore è ostile a cambiare la pelle della propria tradizione o a venderla al presunto spirito della modernità o post-modernità, mentre è aperto a ogni riforma che rende più libera e dignitosa la vita degli uomini.

Il liberale conservatore è bendisposto verso lo Stato leggero e maldisposto verso lo Stato invadente.

Il liberale conservatore non è una specie strana o inconsueta. Per citare solo il mondo di oggi o di appena ieri, il liberale conservatore o tradizionalista è uno che applica le politiche di liberalizzazione della Signora Thatcher, di deregolamentazione di Ronald Reagan, del conservatorismo compassionavole di George W. Bush, delle riforme sociali di Tony Blair, e anche, sì, a dispetto del nome che allarma i pigri, dei “neo-conservatori” americani, anch’essi liberali e pragmatici in politica ma attenti a tutelare i princìpi della storia del proprio paese.

Per racchiudere tutti questi personaggi in una formula sola, direi che il liberale conservatore è un liberale identitario, uno che, mentre chiede e attua riforme per affrontare le sfide della modernità, difende il più possibile la propria tradizione, perché nella propria tradizione è racchiusa la propria identità.

5. La tradizione

Torno così al punto. Quale tradizione? L’ho già detto prima e tante altre volte. La nostra tradizione è quella giudaico-cristiana. Storicamente e culturalmente, noi discendiamo da tre colline: il Sinai, il Golgota, l’Acropoli. E siamo cittadini di tre capitali: Atene, Gerusalemme, Roma. Dopo, sono successe tante cose, abbiamo imparato tante lezioni, ci siamo mescolati con tanta gente, ora con violenza ora pacificamente. Il risultato di questa mescolanza – di questo “meticciato” come l’ho definito altra volta, scandalizzando non a caso i laicisti e coloro che negano la nostra identità – è che non possiamo, per nostra fortuna, rivendicare alcuna purezza. Ma la domanda non riguarda la purezza. La domanda che ci dobbiamo porre è: a questa mescolanza e impurezza di cui storicamente e culturalmente siamo fatti dobbiamo far corrispondere anche un’identità indistinta, generica, debole, vaga, cioè, alla fine una non identità? Oppure possiamo e dobbiamo ancora attribuirci un’identità ben definita, cioè la nostra, cioè, torno a dirlo, l’identità giudaico-cristiana? Per me, la risposta non ha dubbi.

Abbiamo visto come vanno le cose in Europa quando questa identità viene negata o negletta. Esiste un clima laicista che cerca persino di nascondere ciò che siamo e siamo stati. Molti fenomeni e atti politici lo provano.

Lo prova il mancato riferimento alle nostre radici nel Preambolo della Costituzione europea.

Lo prova il “caso Buttiglione”, un candidato ad una carica europea bocciato perché professa sentimenti cristiani.

Lo prova il divieto di indossare il velo nelle scuole imposto alle ragazze musulmane.

Lo provano le discussioni circa la presenza del crocifisso nei luoghi pubblici.

Lo provano le leggi sul matrimonio omosessuale, sulla clonazione, sulle sperimentazioni sugli embrioni.

Da ultimo, lo provano le risposte sbagliate in fatto di politica dell’integrazione degli immigrati. Pensiamoci sopra un attimo su queste politiche, perché anch’esse riguardano la nostra identità.

Una politica europea dell’integrazione è stata quella del multiculturalismo. Praticata soprattutto in Inghilterra, questa politica ha inteso integrare rispettando le comunità e consentendo che tutte vivessero secondo i loro costumi e stili di vita, senza interferenza dello Stato. Il risultato sono state tensioni sociali, ghetti, scuole in cui si educano i ragazzi ad una cultura diversa e spesso ostile a quella del paese ospitante, come nel caso della scuola di Via Quaranta giustamente chiusa dal ministro Moratti. Alla fine, questo multiculturalismo non ci ha salvato neppure dalla nascita di terroristi di seconda generazione.

Un’altra politica europea dell’integrazione è stata quella del laicismo nazionalista. Praticata soprattutto in Francia, essa ha generato pressoché gli stessi risultati, come provano gli incendi nelle banlieues, o le stesse parole del Presidente Chirac che, con toni gravi e preoccupati, non ha esitato a parlare di una «crisi di identità».

Tutte queste politiche sono sbagliate per un malinteso senso della tolleranza. Sembra un bel parlare, quello della tolleranza, e invece è una trappola. La tolleranza è una virtù debole, è una virtù passiva. Si confonde con l’indifferenza, la sopportazione, l’accondiscendenza, l’insensibilità. Si tollerano gli sciocchi, i molesti, gli inferiori. Non si tollerano quelli che si considerano uguali. Con gli uguali si usa un’altra virtù, che è ben più importante e ben più impegnativa della tolleranza. Si usa il rispetto.

A differenza della tolleranza, il rispetto è la virtù dei forti ed è una virtù attiva, perché obbliga a mettere l’altro al nostro stesso livello. Del resto, se davvero ci ispirassimo alla tolleranza, perché non tollerare i predicatori d’odio? Perché non tollerare le classi scolastiche separate? Perché non tollerare le madrasse in cui si parla arabo, si insegna solo cultura araba, si semina risentimento? Perché non tollerare che sia tolto il crocefisso dalle scuole? Queste cose non solo non le tolleriamo, talvolta le consideriamo addirittura reati. Perché? Perché non possiamo scendere a patti con chi non rispetta la nostra identità. Oltre che attiva, il rispetto è una virtù reciproca.

Ecco allora quale deve essere la nostra politica dell’integrazione: è la politica dell’insegnamento dei nostri princìpi e valori fondamentali, della nostra tradizione, della nostra identità collettiva, nella quale, con il solo vincolo del rispetto reciproco, tutti possono trovare cittadinanza.

Ed ecco perché dobbiamo essere liberali e contemporaneamente conservatori o tradizionalisti. Liberali perché amiamo le libertà, per noi e per gli altri. Tradizionalisti e conservatori perché vogliamo conservare e rispettare la nostra identità, senza la quale quelle libertà non hanno senso e prospettiva. Non perché non dobbiamo fare le riforme: essendo liberali, alcune le abbiamo fatte e dobbiamo farne ancora. Non perché ci chiudiamo al futuro: essendo liberali, affrontiamo la modernità. Non perché vogliamo salvaguardare privilegi e interessi corporativi: essendo liberali, vogliamo e dobbiamo anzi abbatterli.

No, liberali conservatori perché dobbiamo liberalizzare la nostra società e conservare i nostri costumi, la nostra cultura, i nostri valori, la nostra tradizione. Insomma, liberali perché vogliamo la società libera, e conservatori perché vogliamo custodire la casa dei nostri padri e trasmetterla più vivibile ai nostri figli.

C’è qualcuno in Forza Italia che non la pensa così? Che non condivida queste idee? O che abbia paura a dirle e si lasci intimorire se le dice? Oppure che ritenga che queste idee, con le politiche che ne conseguono, non interessino alla gente? Io credo che non ci sia nessuno, e che tutti abbiamo gli stessi sentimenti. Appunto, come dite voi, “i nostri valori, le nostre ragioni”.

 

 

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