Interviste

Intervista al quotidiano «Al Ahram»

D. Le dichiarazioni che sono state attribuite a lei e ad alcuni esponenti politici italiani sull’assimilazione dell’Islam al terrorismo hanno suscitato polemiche. Che cosa è successo in realtà?

 

Ho sottolineato spesso che i paesi arabi sono l’obiettivo principale del terrorismo e le prime vittime di esso, come dimostra l’attentato ad Amman. Terroristi e fondamentalisti ritengono che, una volta conquistati i paesi arabi e abbattuti i loro governi, sarà più facile conquistare l’Occidente. Per questo dobbiamo insieme isolare i focolai di fondamentalismo ovunque essi si trovino.
Nel 2004 avevo detto proprio al suo giornale: “Il terrorismo è una minaccia gravissima, per noi e per i Paesi arabi, perché terroristi, fanatici, fondamentalisti hanno lo stesso obiettivo: creare un conflitto fra noi e voi”. Non ho cambiato parere. La religione islamica non c’entra. Poche ore dopo l’11 settembre 2001, in un momento drammatico per l’Occidente, sono stato il primo a recarmi alla moschea di Roma proprio per significare che non si può parificare l’Islam con il terrorismo. Sono i terroristi che invocano la religione per ottenere consenso e reclutare fanatici. Il mio problema non è l’Islam, piuttosto la debolezza dell’identità europea, l’incertezza e i ritardi dell’Europa di fronte al fenomeno del fanatismo, e la sua incapacità di integrare cittadini di religione islamica.

 

D. Presidente Pera, l’occidente nei confronti dell’Islam è convinto di possedere la democrazia e pretende di esportare il suo modello di democrazia ed i suoi valori anche con la forza in altri paesi. Non pensa che certe affermazioni possano inasprire il confronto tra le diverse culture e diano adito a delle illazioni secondo cui il mondo va inevitabilmente verso lo scontro di civiltà?

 

La democrazia è nata in Occidente e si è diffusa in molte parti del mondo. Ci sono stati casi in cui essa è stata ricostruita con le armi, come in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Ma, in genere, non si può imporre con le armi. Qualche settimana fa il Segretario di Stato americano Rice mi ha ricordato che non è la libertà ad imporsi, ma la tirannia. La democrazia nasce dal basso, dal popolo. Si impone con le riforme che i popoli liberamente chiedono e si danno. E’ quanto sta accadendo in Afghanistan e in Iraq. Una volta libero di farlo, il popolo iracheno ha scelto la democrazia andando a votare per un nuovo Parlamento, eleggendo un nuovo Governo, e approvando la Costituzione. Questa non è un’imposizione, è una scelta.
Circa l’iniziativa del G8 per il Medio Oriente allargato, essa non prevede di imporre modelli, ma di sostenere gli sforzi di modernizzazione e gli sviluppi politici e democratici nella regione, di cui proprio l’Egitto è un esempio.
Per quanto riguarda i valori, l’eguaglianza, la tolleranza religiosa, i diritti umani, la parità fra uomo e donna, la libertà di espressione, sono princìpi che tutta la comunità internazionale riconosce attraverso le Convenzioni internazionali e l’adesione alle Nazioni Unite. L’unico scontro di civiltà che conosco è quello che è in corso nei paesi che non rispettano i diritti dell’uomo: lì i regimi totalitari sono in lotta contro i loro stessi popoli.

 

D. L’Italia ha stretti legami con i paesi del mondo arabo, ha sempre avuto una posizione equidistante in Medio Oriente e svolge un ruolo importante a favore della stabilità nella regione. Proprio a Venezia l’UE riconobbe nel 1981 il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi. Da qualche anno però si è assistito ad un cambiamento che suscita preoccupazioni nel mondo arabo. Qual è il suo commento?

 

L’amicizia con il mondo arabo è un aspetto centrale della politica estera italiana. Vogliamo e dobbiamo mantenerla. Proprio per questo, sosteniamo sia l’aspirazione del popolo palestinese ad avere un proprio Stato, sia il diritto di Israele a vivere in sicurezza. Quindi appoggiamo tutte le iniziative che possono favorire una soluzione, come quella israeliana di ritiro da Gaza e gli sforzi del Presidente palestinese Abu Mazen per smantellare i gruppi estremisti.
La soluzione del conflitto israelo-palestinese è una delle chiavi – non l’unica – per assicurare stabilità in Medio Oriente. Ma sono anche convinto che la soluzione non potrà essere raggiunta senza l’attivo sostegno di tutti i paesi arabi e l’abbandono di posizioni di ostilità preconcetta nei confronti di Israele. I governi della regione dovrebbero impegnarsi molto su questo terreno, in particolare con l’educazione nelle scuole. L’incitamento all’odio e al pregiudizio contro Israele non è tollerabile.

 

D. Che ruolo può avere la diplomazia popolare (i parlamenti) per rafforzare il dialogo tra le culture?

 

Il ruolo dei Parlamenti è molto importante. Ho promosso nel Senato italiano delle conferenze proprio per favorire questo dialogo dando la parola a eminenti esponenti del mondo arabo e della comunità islamica. Sono intervenuti il Presidente dell’Assemblea egiziana Fathy Sorour, il Presidente del Pakistan Musharraf, il Ministro degli Esteri turco Gul. In Senato abbiamo anche organizzato un’importante mostra fotografica sulle radici comuni dei paesi del Mediterraneo. Un senatore italiano – Mario Greco – è Presidente della Commissione Cultura dell’Assemblea parlamentare Euro-mediterranea, che sta promuovendo significative iniziative di dialogo e di collaborazione. Io stesso mi sono recato in visita in molti paesi arabi e l’Egitto è stato il primo.

 

D. Alcuni estremisti in alcuni paesi arabi ed europei strumentalizzano un incidente qua o là per nutrire lo spirito di fanatismo. Qual è la sua opinione in merito agli strumenti necessari a combattere l’incitamento allo spirito di odio? Le leggi da sole possono essere sufficienti per far fronte a questo fenomeno?

 

L’incitamento all’odio e alla violenza va combattuto con ogni mezzo, perché distrugge quello che si cerca di costruire, il reciproco rispetto. Occorrono leggi per reprimere il fanatismo. Ma da sole non bastano. Ci vogliono comportamenti concreti che dimostrino che nessun paese è disposto a tollerare proclami minacciosi come quello del Presidente dell’Iran nei confronti di Israele. Dichiarazioni simili sono inaccettabili e pericolose, perché alimentano le frange radicali e rendono più remota la possibilità di un accordo tra Israele e Autorità palestinese.
E’ anche importante che le nostre istituzioni comuni – penso all’Assemblea parlamentare Euro-mediterranea – condannino senza riserve terrorismo e fanatismo e collaborino all’adozione di politiche concrete contro questi fenomeni.

 

D. Il terrorismo è diventato un fenomeno internazionale di cui soffrono numerosi paesi nel mondo come l’Egitto. Qual è la sua visione politica, economica e sociale dei mezzi per combattere questo fenomeno? Qual è la sua definizione di terrorismo e come si può distinguere tra il terrorismo e diritto dei popoli alla lotta armata ed all’autodifesa?

 

Nessun paese è al riparo dal terrorismo. L’Egitto, la Giordania, il Marocco, l’Arabia Saudita ne sono vittime. Così come numerosi paesi occidentali e asiatici. Poiché la minaccia è globale, occorrono risposte globali e una strategia comune. Se non ci sarà una vasta alleanza contro i terroristi e i fondamentalisti, il risultato sarà una grave destabilizzazione. L’estremismo e il terrorismo si combattono anche attraverso l’educazione al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e attraverso la crescita democratica delle società, senza i quali non vi può essere un vero e proprio progresso politico, economico e sociale.
La mia definizione di terrorismo? Basta guardare le immagini dei corpi martoriati di New York, Amman, Sharm el Sheikh, Madrid, Bali, Londra per capire cos’è il terrorismo. Il terrorismo uccide civili inermi e sparge morte e distruzione. Niente a che fare con la resistenza o l’autodifesa.

 

D. Ci sono proposte sulla riforma dell’ONU e sull’aumento del numero dei membri del Consiglio di Sicurezza. Quali sono i criteri che lei ritiene necessari per realizzare tale obiettivo?

 

Per l’Italia la priorità è la riforma dell’ONU, per rispondere a nuove esigenze, in primo luogo il rispetto dei diritti umani.
Comunque, l’Italia ritiene che un aumento di seggi permanenti non aumenterebbe né l’efficacia del Consiglio, né la sua rappresentatività, ma ne rafforzerebbe il carattere gerarchico. Riteniamo che assetti caratteristici di epoche passate non rispondano all’attuale quadro delle relazioni internazionali. È per questo che insistiamo su formule centrate sull’elezione dei nuovi membri del Consiglio e che diano maggior peso ai raggruppamenti regionali. Credo che anche il mondo arabo beneficierebbe di una simile impostazione, in termini di rappresentanza in seno al Consiglio di Sicurezza.

 

D. In Italia vi sono posizioni diverse circa il ritiro o meno delle truppe italiane dall’Iraq. Qual è il suo pensiero al riguardo?

 

Un Iraq stabile è nell’interesse di tutti, ma prima di tutto del mondo arabo. Non dobbiamo nasconderci le difficoltà. Ma esse potranno essere superate se tutti i paesi interessati, compresi i paesi della regione, offriranno un deciso contributo per accompagnare il paese verso la democrazia e per sostenere le aspirazioni del popolo iracheno. È quello che l’Italia sta facendo, nel quadro delle Risoluzioni approvate dall’ONU.
Personalmente credo sia irrealistico decidere oggi a tavolino un programma di ritiro, che in ogni caso dovrà essere graduale, come ci ha richiesto lo stesso Presidente Talabani pochi giorni fa, e dovrà tenere conto della capacità dell’Iraq di assicurare la sicurezza e delle decisioni sovrane del governo iracheno.

 

D. Come lei giudica gli sviluppi politici e democratici in Egitto?

 

Sono segnali positivi, che vanno nella direzione giusta. Apprezzo l’opera del Presidente Mubarak e ne comprendo la complessità. Quando ho visitato l’Egitto ho scoperto una società dinamica dal punto di vista politico, sociale, intellettuale. La strada è tracciata e l’Egitto deve continuare a svolgere in Medio Oriente quel ruolo centrale che gli spetta per la sua storia e la sua tradizione. Quanto succede in Egitto ha ripercussioni su altri paesi dell’area mediorientale.

 

D. Qual è il suo giudizio sulle relazioni italo-egiziane attualmente? E come possono essere ulteriormente sviluppate, in futuro, nei diversi settori?

 

L’Italia guarda all’Egitto come paese-cardine nella regione, per il contributo determinante che può dare alla stabilizzazione del Medio Oriente. Le relazioni bilaterali sono quindi improntate alla massima fiducia e collaborazione reciproca. Abbiamo intensi rapporti nel settore politico, e l’Italia è tra i primi partners commerciali dell’Egitto. È importante continuare su questa strada, prendendo ogni occasione per approfondire il dialogo sui temi di reciproco interesse per due paesi mediterranei come i nostri.

 

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