Interviste

Intervista a “Il Giornale”

23 Giugno 2006

“Il Senato copia la Camera: in aula 10 giorni al mese”. 

Senatore Marcello Pera, Bertinotti ha proposto il mese corto per i lavori parlamentari. Il motivo è che così si viene incontro alle esigenze degli eletti nelle circoscrizioni estere. Uno sforzo di generosità o qualcos’altro?

«Qualcos’altro, è chiaro, e qualcosa di peggio. Il presidente Bertinotti conosce a menadito le difficoltà del governo, anche perché in gran parte le creano il suo gruppo, i suoi ministri e quelli della sinistra radicale che giocano a scavalcare il suo gruppo e i suoi ministri. Bertinotti sa anche che, dentro il governo, non riescono a trovarsi d’accordo su nessun provvedimento importante, perfino sulle deleghe che sono ancora oggetto di liti. Perciò ha fatto suo il problema del presidente del Consiglio: come evitare che il Parlamento voti? E ha trovato una risposta: diamogli i circensi a questi poveri parlamentari così impegnati nei loro collegi, aumentiamogli le vacanze, così loro si divertono, non si riuniscono, e soprattutto non votano. Per dei vecchi lupi d’Aula abituati a recitare la litania della centralità del Parlamento non c’è male. È un fondamentale passo avanti: il Parlamento per loro è ora diventato così centrale che impalla e disturba. Meglio metterci i sigilli del sequestro, o come ha detto lo stesso presidente Bertinotti, meglio trasformarlo in una “casa del popolo”».

Il presidente del Consiglio Romano Prodi ha una maggioranza risicata. Il ricorso alla fiducia sarà automatico?

«Sarà indispensabile, così come, per convocare il Senato, sarà indispensabile la previa visita medica o una previa garanzia dei controllori di volo. Lì può sempre accadere che qualcuno sia colpito da un raffreddore o bloccato da uno sciopero aereo, e allora addio maggioranza. Perciò il Parlamento, in particolare il Senato, si riunirà solo per i voti di fiducia. Ne prevedo quattro o cinque prima della chiusura estiva. Preannunciati e programmati con largo anticipo. E poi, raffreddori o scioperi aerei a parte, come si fa a convocarlo? Si dovrebbero prima superare le divergenze insanabili. Per esempio, come ha detto il presidente Salvi, senza voto di fiducia, niente missione in Afghanistan. Se no, chi glielo spiega a Gino Strada? E questa storia si ripeterà: se non è il noto medico pacifista, sarà il trotzkista, lo scissionista, lo scontento, il verde inquieto, il no global, il sottosegretario mancato, e così via, un giorno il Pecoraro e l’altro lo Scanio. Per evitare l’imboscata di ciascuno di questi personaggi, il governo dovrà sempre ricorrere al voto di fiducia».

Non è l’unico caso, mi sembra.

«No, è un caso quotidiano. Guardi il ministro Mastella che un paio di giorni fa s’è preso schiaffi politici dai suoi alleati e ha dovuto ritirarsi. Mastella è il ministro più disoccupato del governo: dice sempre che, se c’è l’accordo di tutti allora lui farà questo o quello, l’amnistia, l’indulto, il provvedimento sulle intercettazioni, eccetera. Purtroppo per lui, non solo non c’è l’accordo di tutti, non c’è l’accordo dei suoi. È bastato che qualche suo sottosegretario, che gli è stato messo lì come guardiano, abbia alzato il sopracciglio e lui si è dovuto zittire. Il ministro Mastella non lo salveranno neppure i voti di fiducia».

Dunque il Parlamento lavorerà meno. Non c’è il rischio che venga del tutto annichilita l’opposizione?

«C’è un rischio peggiore: se il Parlamento è sequestrato, la democrazia è violata. Dove non si discute nelle commissioni e nell’assemblea, dove non ci si confronta e non si vota, non è solo all’opposizione che viene chiusa la bocca, ma a tutto il popolo. Chissà che cosa ne pensano quelli che, un tempo, volevano convocare il Parlamento anche a Ferragosto? Oppure il presidente Scalfaro, che ha tanta paura della dittatura del premier? Forse pensava alla dittatura del suo premier».

Cosa dovrebbe fare, secondo lei, la Casa delle libertà per evitare il depotenziamento delle Camere?

«Passato il referendum, dovrebbe imbracciare il regolamento e chiedere la convocazione del Parlamento secondo i ritmi e soprattutto le regole usuali. Non si può stare a guardare o a casa ad aspettare. Non si può cadere nel tranello di chi offre laute vacanze in cambio del non disturbo. In democrazia, funzione dell’opposizione è disturbare, sempre. L’opposizione di oggi si ricordi la lezione dell’opposizione di ieri. Le regole non sono cambiate. Sono cambiati solo i numeri: la minoranza è all’opposizione della maggioranza, ma la maggioranza è all’opposizione dell’aritmetica».

Ha visto finora la necessaria determinazione nella Cdl?

«La sento crescere. E sono certo che, quando riaprirà il Parlamento, ne vedremo ancora di più. La Cdl ha, e comunque deve avere, la convinzione che non è minoritaria fra i cittadini, tanto più che il governo Prodi sta scontentando anche i suoi elettori, compreso quelli che pensavano di aver fatto un investimento votandolo».

C’è gente che in questo Paese fa grandi sacrifici e vedere i parlamentari ridursi le giornate di lavoro non pare una gran mossa. Non si rischia di allargare la frattura tra istituzioni e cittadini?

«Su questo punto non si deve fare demagogia. L’impegno di un parlamentare non è un lavoro con un prezzo di mercato. È l’esercizio inestimabile della funzione della rappresentanza, della sovranità democratica. Non c’è scandalo né nel tempo impiegato né nella retribuzione. Lo scandalo è politico: lo ripeto, con la proposta Bertinotti, Violante e altri, si lede la democrazia». Non trova singolare che proprio dall’Unione arrivi un modo di fare così lontano dai valori della sinistra: quando erano all’opposizione dicevano che il governo aveva strozzato il dibattito… «Lo trovo un fatto di ordinaria ipocrisia politica. Oppure una posizione di estrema coerenza: per non strozzare il dibattito, lo si abolisce».

Ma se il dibattito in aula viene ridotto ai minimi termini, lo stesso può dirsi del lavoro in commissione e dunque che leggi farà il governo Prodi? Farà solo decreti legge?

«In gran parte sì, e sempre con la fiducia, anche quando, come con il prossimo provvedimento sullo spacchettamento e l’evangelica distribuzione di ministri, viceministri e sottosegretari, non ci sono emendamenti da parte dell’opposizione, cioè non ci sarà neppure la scusa dell’ostruzionismo».

Ce la faranno, in queste condizioni e con queste intenzioni, a realizzare il vero programma? E cioè demolire le riforme del centrodestra?

«È chiaro che no. Ed è chiaro per me che il governo Prodi ha vita breve. Naturalmente, se l’opposizione fa il suo mestiere e nessuno fa il salto della quaglia. Per me è anche chiaro che questo sistema, con questo tipo di bipolarismo e con le attuali alleanze, non reggerà a lungo. La crisi del governo Prodi sarà una crisi di sistema politico, non soltanto una crisi parlamentare. Spero solo nel buon Dio che non ci faccia rivivere lo spettacolo dei celebri ribaltoni».

Il Sì al referendum può evitare questa degenerazione? E perché?

«Credo che, sotto sotto, il presidente Prodi crepi di invidia. Pensi che cosa accadrebbe se fosse in vigore la nuova Costituzione: niente voto di fiducia al Senato, niente ribaltoni, niente ricatti di esigue minoranze, niente poteri discrezionali al Capo dello Stato. Solo moralità e trasparenza politica. Bello, no?».

 

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