26 Marzo 2006
«Prodi insegue i parroci ma promette i Pacs» di Carlo Fusi.
ROMA Marcello Pera, presidente del Senato, mani nella felpa blu, seduto nella sala dove fu firmata la Costituzione italiana. La location non è casuale, come vedremo.
Presidente, Ciampi ha chiesto moderazione nella campagna elettorale in qualche misura respingendo l’allarme lanciato dagli Usa. Dunque ha ragione Prodi e quello della Casa Bianca è stato fuoco amico verso la Cdl?
«Ci sono state manifestazioni di violenza gravi, e dunque un richiamo da parte dell’amministrazione Usa ai suoi cittadini a stare alla larga da queste cose. Mi sembra un episodio circoscritto. La telefonata di Prodi all’ambasciatore Spogli in realtà serviva per nascondere un nervo scoperto nel centro-sinistra. Prodi ha una cultura antiamericana, e ricordo le frizioni non indifferenti con la Casa Bianca quando era presidente della Commissione Ue, con lui che che teorizzava l’Europa quale contrappeso all’America… Il multipolarismo del candidato premier dell’Unione sottende una concezione degli Usa quale gendarme del mondo».
A proposito di benevolenza. Lei se ne attende dalla Chiesa? Che fine ha fatto il Pera laico: soffocato nelle spire delle sirene teocon o neoclericali?
«Laico ero e laico sono rimasto. Ma non sono un laico né pigro né bacchettone. La questione non riguarda la mia laicità ma la nostra identità. Perché questo concetto viene fuori con così tanta forza in questa campagna elettorale? Nel 2001 nessuno ne parlava. Il punto è che l’11 settembre ha cambiato tutto. E’ da lì che i laici pensanti e non bigotti si sono detti: dobbiamo difendere la nostra storia e la nostra civiltà contro chi la vuole abbattere. Il 2 aprile si terrà a Bologna la grande manifestazione in difesa dei valori dell’Occidente. Perciò è oggi importante votare. Non è, la mia, una conversione religiosa bensì un risveglio culturale e politico per difendere la civiltà più ospitale e tollerante che si sia mai vista».
E anche la migliore, no? Fino a parlare di primato della civiltà occidentale nei confronti dell’Islam?
«E’ difficile mettere in gerarchia le civiltà. Ma è vero che la nostra ha prodotto principi che, anche giuridicamente, sono considerati universali: rispetto della dignità della persona; libertà; democrazia; uguaglianza. E che non a caso fanno parte della Carta dell’Onu. La nostra cultura perciò ha un sigillo di universalità che non nuoce ad alcuno bensì fa progredire tutti e dunque non può essere considerata aggressiva. Quella della sharia no: è ipocrita girare attorno alle parole».
Presidente, da questo riflesso di difesa ad un visione totalizzante, fondamentalista al contrario, il passo è breve…
«Invece è enorme. Il principio identitario non è totalizzante né esclusivo. L’Onu si riconosce in principi la maggior parte dei quali sono nati in Europa e sono di origine giudaico-cristiana. Sono principi volti ad includere e non ad escludere, sono paritari, non totalizzanti. Penso ad esempio alla reciprocità per la libertà religiosa. Perchè qui in Occidente una moschea sì e là una chiesa o una sinagoga no?».
Ma come si concilia il reclamo alla reciprocità con il suo no, ad esempio, all’ora di religione musulmana nelle scuole italiane?
«Sull’insegnamento ho una obiezione di fondo. Vede, noi abbiamo un problema: l’integrazione degli immigrati. Se sposiamo il multiculturalismo del tipo “società arcobaleno”, dove ciascun gruppo conserva la propria cultura, rischiamo di creare tensioni. E’ il caso della Gran Bretagna, che si è mossa sulla base di questa dottrina e che ha fallito: non ha prodotto integrazione bensì ghetti, separatezza. Anche la Francia ha fallito partendo però da presupposti diametralmente opposti: niente multiculturalismo, tutti citoyens . Cioè niente velo, niente crocifissi, tutti con l’unica religione della nazione francese. Una forma di imposizione laicista di derivazione giacobina. Il modello a cui penso io è un altro: integrazione sulla base di principi accettati da tutti. Quelli scritti nella nostra Costituzione».
Che è laica e stabilisce separatezza tra Chiesa e Stato. Ecco, presidente: molti rimproverano una eccessiva ingerenza del Vaticano nelle vicende interne italiane e lei di essere vessillifero della bontà e giustezza di questa intromissione…
«La libertà religiosa impone che non si possa mettere il bavaglio alla Chiesa cattolica. Io ho l’impressione che chi sostiene la tesi contraria lo fa perchè a corto di argomenti, e vuole far tacere gli altri. Le grida più forti non arrivano da Pannella e Bonino ma dai cattolici di sinistra che si sentivano protetti da una forma di collateralismo postconciliare. Ma poiché oggi la Chiesa su temi importanti, decisivi, assume posizioni più ferme e più tradizionali, quella fetta di cattolicesimo politico che pretendeva di essere l’unica interprete della dottrina cristiana in politica, si trova scoperta. Il dossettiano Prodi ne è un esempio».
Prodi è andato alla messa per il Concistoro e parecchi leader di sinistra riscoprono i valori religiosi. Secondo lei è solo per strumentalità?
«In effetti da quella parte vedo che c’è chi si ricorda di essere stato all’oratorio o dice che è alla ricerca di Dio. In tanti a sinistra – ma non solo – hanno capito, con anni di ritardo, che in Occidente era in atto un risveglio di sentimenti religiosi che andava verso la Chiesa cattolica. Ora con un eccesso di zelo l’hanno compreso e lo cavalcano. Mi sembra una cosa offensiva, anche verso l’attuale Papa. O in certe cose ci si crede davvero, oppure si strumentalizza la Chiesa per avere in cambio il voto di qualche parroco».
Ma il laico Pera considera famiglia solo l’unione matrimoniale eterosessuale?
«Sì, certo. Di più: io considero che l’embrione e il feto siano persone; sulla bioetica io chiedo rispetto per il valore della vita».
E dunque le unioni non sancite dal matrimonio non hanno diritti?
«Sono contrario a titillare il vocabolario italiano ricercando espressioni per altri tipi di unioni: Pacs o altro. Il matrimonio è una istituzione fondamentale bimillenaria della nostra storia, mi oppongo ad equipararlo ad altri tipi di unione. Perchè in caso contrario ci sarebbe una vittima di cui non si parla: i figli. Se Pacs vuol dire, come in realtà vuol dire, paramatrimonio e dunque che tutti i diritti previsti per la famiglia basata sul matrimonio vanno trasferiti ai Pacs, pronuncio un no secco. E aggiungo: mi sembra anche una cosa contraria alla nostra Costituzione. Anche Prodi dice no ai Pacs, ma poi li promette ad Arcigay ed Arcilesbica».
La legge elettorale proporzionale è una porcata?
«E’ una riforma che ha incontrato favore diffuso come poche. Perché favorisce i partiti, dà loro ciò che spetta in seggi secondo l’effettivo consenso ricevuto, e fornisce anche l’occasione di selezionare la propria classe dirigente. Vantaggi che nessun partito ha voluto rifiutare. Io ero un maggioritario convinto. Bene, il meccanismo maggioritario in Italia non ha funzionato, nessun partito si è fuso con altri, non sono nati grandi contenitori. Purtroppo, aggiungo. Ma è la realtà».
Anche lei ritiene, come Berlusconi, che se vince l’Unione c’è un problema di emergenza democratica?
«Se intende un possibile pericolo di regime in senso stretto, no. Ma se vince l’Unione certamente ci sarà più statalismo, più dirigismo, più pressione fiscale: il contrario della modernizzazione».
E anche lei è convinto che ci saranno più tasse?
«Sicuramente sì. E più intervento dello Stato. Non si può seguire il programma della sinistra senza usare la leva fiscale. E’ il filo rosso che unisce comunismo e sinistra cattolica: spetta allo Stato creare posti di lavoro, assicurare welfare, eccetera».
Qual è stato l’errore più grande del centrodestra al governo?
«Sulla politica economica. Il centro-destra si è accorto dell’11 settembre troppo in ritardo. Non si è capito fino a che punto il mondo era cambiato».
Pera presidente del Senato. E poi, se la Cdl perde?
«Farò il senatore di Forza Italia e continuerò la battaglia indicata nel mio manifesto e nel programma di Forza Italia che considero la cornice politica per una aggregazione più unitaria dell’attuale centro-destra».
Sta parlando del partito unico dei moderati?
«Lo ritengo uno sbocco utile, anzi indispensabile. Uno analogo servirebbe anche a sinistra».
Non ci sono margini per un grande centro?
«Il proporzionale favorisce disaggregazioni e riaggregazioni. E’ possibile che si verifichino fenomeni simili però mi auguro che non siano di cucina parlamentare, come i ribaltoni e cambi di casacca che abbiamo già visti».