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Articolo su “Italia Oggi”

NON SO PROPRIO PER CHI VOTARE

di Marcello Pera

«Non so proprio per chi votare»  il 4 marzo. La confessione, nella lettera aperta a ItaliaOggi, è di Marcello Pera, già presidente del Senato. «Non ho ancora elaborato il lutto del 4 dicembre 2016, quando, secondo me, gli italiani non compresero la posta in gioco del referendum e lasciarono cadere un’occasione irripetibile. Pensavano che si dovesse abbattere un governo anziché avere una Costituzione un pò più efficente e, al seguito, una legge elettorale un pò più trasparente». E analizza, nel serrato dibattito per trovare una soluzione, tutti i risvolti di un possibile voto, che va da Forza Italia al Pd.

 

Caro direttore,

mi aiuti per favore, perché, nonostante le preziose considerazioni Sue e dei Suoi ottimi collaboratori, non ci capisco più nulla.

Lei sa che io non ho ancora elaborato il lutto del 4 dicembre 2016, quando, secondo me, gli italiani non compresero la posta in gioco del referendum e lasciarono cadere un’occasione irripetibile.

Pensavano che si dovesse abbattere un governo anziché avere una Costituzione un po’ più efficiente e, al séguito, una legge elettorale un po’ più trasparente. Silvio Berlusconi fece di tutto per alimentare questa idea e Matteo Renzi fece anche di più per accreditarla. Presentando la riforma costituzionale come se fosse la sua «prise du pouvoir», e mostrando un deficit di cultura politica enorme, nonché una sindrome priapica preoccupante, si incaponì sulla propria persona, perdette il governo e lasciò a piedi l’Italia.

Ora, Le dicevo, sono confuso e anche nella disperazione. Non solo vedo avverarsi tutto quello che di peggio avevamo detto riguardo al nostro futuro nella campagna referendaria, dopo tanti anni non so neppure rispondere all’elementare domanda: «Per chi si vota?».

Un caro amico mi fa: «Te lo dico io. Ci tappiamo tutti i pori e votiamo Forza Italia». Ma davvero vuoi provare la terza rivoluzione liberale in vent’anni? «E perché no? Può riuscire. La prima volta, si misero contro Bossi e Buttiglione. La seconda volta, si sdraiarono per traverso Fini, Casini, Follini. Ora siamo fra noi e ce la possiamo fare».

Come sarebbe a dire «fra noi»? Ci sono Salvini e Meloni, che, messi assieme, hanno più voti di Berlusconi, e che certo non lo amano.

Anzi, lo trascinano dove lui non vorrebbe andare, lo costringono un giorno a dire e quello dopo a precisare e disdire, lo mettono in croce per fargli fare promesse che lui sa di non poter mantenere.

Anche se vincesse, non governerebbe. S’è già visto due volte, no? Oppure metti in discussione anche i proverbi?

«Mi meraviglio di te», mi risponde. «Non capisci che Berlusconi non intende governare con Salvini e Meloni? Marcia unito per colpire diviso. La rivoluzione liberale la vuol fare con Renzi, come gli hanno chiesto in Europa per non mandarci definitivamente affondo».

Sarà come dici, ma, scusa, a parte il resto, che non è di poco conto, non ci sono i numeri per fare un governo con quell’alleanza. «Sei proprio babbeo», mi replica.

«Fra tanti disoccupati che verranno assunti dal Parlamento con lauto stipendio, fra tutti quelli che saranno eletti per aver detto «cazzo!», fra gente a cui sarà bastato un click o un cazzotto sul naso di un altro per trovarsi addosso il laticlavio, vuoi che non si trovino un bel po’ di responsabili pronti a votare la fiducia alle larghe intese? Saranno persino troppi, e avranno così tanti posti e sotto-posti che il celebre governo Prodi, al confronto, ci sembrerà una piccola compagine».

Sì, certo, lo vedo anch’io che ora Renzi e Berlusconi sono costretti a fare male e per disperazione ciò che potevano fare bene e per convinzione. Ma resto ugualmente perplesso. Una campagna elettorale con una strizzata d’occhio così gigantesca non mi sembra di buon auspicio. E un trasformismo così plateale mi sembra una sciagura.

Qui interviene un altro amico. «Condivido, ci vogliono le larghe intese. È per questo che bisogna votare Renzi e non Berlusconi».

Ma icché dici? «Dico bene. Se Renzi frana, come peraltro si meriterebbe, neanche i responsabili ce la faranno a tenere in piedi un governo. E poi, se Renzi casca definitivamente, rinascono anche in casa sua quei comunisti che lui voleva rottamare. Oppure, peggio dei comunisti, rinascono i cattocomunisti. Sai che bel guadagno? Dài retta a me, se vuoi dare una mano a Berlusconi, vota Renzi!».

Non ci avevo pensato. La mia perplessità però non diminuisce. Che cosa ha fatto Renzi per meritare il mio voto?

È vero, sembrava che avesse cominciato bene, un partito riformista sulle ceneri di quello comunista, la modernizzazione anziché la conservazione, la Leopolda al posto del Palazzo d’Inverno, Maria Elena invece che Massimo. Ma poi s’è perso. È rimasto un pirata, non è diventato uno statista, ha illuso i liberali, si è servito anche lui di responsabili (penso a Denis Verdini e i suoi, che ci avevano creduto) e poi neanche li ha più guardati. L’idea di votarlo sarà anche buona, magari utile per non andare incontro ad avventure peggiori, ma ti dico la verità: resto perplesso.

«Sei proprio scemo!», interviene un altro amico ancora. «Non vedi che l’Italia è allo sfascio, che le nostre istituzioni non reggono più, che la legge elettorale è un modulo di collocamento per disoccupati, che un po’ di sentimento e di orgoglio nazionale non spuntano, che la gente è nauseata o impaurita o rassegnata o assuefatta? Non capisci che c’è bisogno di rinascere? E come si può rinascere, secondo te, se prima non si vedono le corna del diavolo da vicino? Dammi retta, vota Cinquestelle!»

Cinquestelle??!! «Sì, hai capito bene, Cinquestelle. Perché se vincono gli altri, un governicchio o una serie di governicchi purchessia lo terranno in piedi, e l’agonia si prolungherà, ma se vincono i Cinquestelle, si rivota dopo poco tempo. Non bastassero le reazioni interne, l’Europa, i mercati, la banca centrale, li affonderà. E, a quel punto, il presidente della repubblica darà poco tempo per rifare una legge elettorale e poi tutti al voto. Non è quello che ci vuole?».

Confesso che non avevo pensato neppure a questo. Ma, a rifletterci, mi sembra il tanto peggio tanto meglio, un esperimento che ci potrebbe costare assai caro. «Lo dici tu, e si vede che non capisci nulla», mi ribatte ancora l’amico. «Pensi forse che, dopo il primo ventisette, i Cinquestelle non diventeranno mansueti?

Altro che se lo diventeranno! Ascolta me, si mostreranno compresi nella parte, smetteranno di essere no tav, no tax, no vax, no bridge, no euro eccetera, tutti responsabilità, senso dello Stato, orgoglio della nazione, identità, comunità, e se occorre, anche un altro po’ di cirinnà, tanto per guadagnarsi il consenso della neo-Chiesa italiana». Mah, sarà, e però, mio caro, non mi convinci neppure tu.

Di amici, caro direttore, ne ho tanti altri. Uno mi dice: «Fai come ti pare, ma per motivi di estetica non puoi votare Grasso, che è libero e ugualo, né, per motivi di grammatica, puoi votare Boldrini, che è libera e uguala».

Un altro mi fa: «Non puoi votare neppure per i leader dei partiti monouso e getta, come quello di Idea, o di Fitto o di Sgarbi o di Nencini o di Casini o di Bonino o di Cesa. Quelli tengono famiglia, qualcuno anche più d’una, la politica non c’entra». Un altro ancora, vergognandosi un po’, mi sussurra: «Fai come me, andiamo al mare!». Dio mio, io al mare?! Non ci andai neppure quella volta famosa. E poi non servirebbe a nulla. Quelli sono candidati in sei (sei!) seggi, passano lo stesso.

Capisce, direttore, perché sono disperato? Guardi che i miei amici sono persone serie, hanno tutti a cuore l’Italia, sono liberali, democratici, sinceramente impegnati, e di così buoni sentimenti cristiani che alcuni hanno persino «dubia» su Bergoglio, temono per la nostra arrendevolezza all’islam e al laicismo, la chiusura delle chiese, l’eliminazione dei simboli, la correzione dei testi sacri. Mi vogliono bene, e io a loro. Ma, con così tanti pareri diversi, non mi aiutano e, alla fine, mi lasciano alle prese con l’angosciosa domanda iniziale: «per chi si vota?». Il tempo corre, direttore, mi aiuti Lei.

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