16 Agosto 2011
Caro direttore, quando, fra circa un mese, si voterà in Senato la nuova manovra finanziaria, sarà la seconda volta che farò mancare la mia fiducia al governo. La prima è stata poco tempo fa, in occasione della legge sul cosiddetto “processo lungo”. Considerai questo provvedimento un tradimento plateale dei nostri princípi, e dell’unica riforma costituzionale, quella sul “giusto processo”, che il centro-destra, allora (1999) all’opposizione, aveva proposto e fatto approvare in materia di giustizia, grazie ad un buon accordo con la sinistra al governo.
Lí, in Costituzione, avevamo scritto tutti i princípi che occorrono per avere una giustizia trasparente ed efficiente: �«Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata�». Dunque, parità accusa-difesa, separazione del ruolo (carriera) del giudice da quello del pubblico ministero, nessuna prova precostituita, nessuna lungaggine inutile. Che proprio noi, gli autori di quella riforma, introducessimo per legge che il giudice ha l’obbligo di ascoltare chiunque sia desiderato dalle parti, mi sembrava uno scandalo. Un processo non può avere ragionevole durata se non è ragionevole la lista dei testimoni che il giudice deve ascoltare prima di giungere a sentenza.
SOLO SLOGAN?
Sul processo lungo votai contro il governo ma mi consolai pensando che il provvedimento, chiaramente una camicetta su misura disegnata dagli avvocati-parlamentari del premier, non sarebbe mai stato approvato dalla Camera oppure che sarebbe stato cancellato dalla Corte costituzionale oppure disatteso dalla giurisprudenza.
Ora, sulla manovra finanziaria, se non sarà cambiata, voterò contro il governo per la stessa ragione: è anch’essa un tradimento plateale dei nostri princípi. Ottuso come sono, ho capito in ritardo che i princípi anche nel centro-destra non contano nulla, e sono buoni solo nei manifesti e nei comizi delle campagne elettorali. Ma, ostinato come anche sono, ho continuato a pensare che, se non valessero in positivo, almeno contassero in negativo. Cioè, anche se non li si traduce in legge, neppure quando siamo al governo, almeno si evita di violarli per legge quando governiamo. Invece no: il principio “meno tasse per tutti”, “mai le mani in tasca agli Italiani” (due cartelloni pubblicitari, appunto), cioè i princípi della “rivoluzione liberale di massa” (altro slogan acchiappacitrulli come me) sono ora violati con un decreto del centro-destra.
POCO LIBERALE
Sono due i punti che più mi colpiscono e irritano. Il primo è il contributo di solidarietà a carico dei “ricchi”. Cioè a carico di chi, lavoratore o pensionato, guadagna sui quattromila euro al mese, deve ancora mantenere figli non occupati e nipoti senza futuro, deve sostenere i costi per l’università, la scuola, la sanità e gli altri servizi che lo Stato non offre o offre male ma fa pagare lo stesso, deve consentire alla giovani signore protette da Cgil-Cisl-Uil di andare in pensione a sessant’anni o anche meno, e naturalmente deve pagare le tasse. Questo signore avrà, alla fine del gioco, una pressione fiscale del cinquanta per cento del suo stipendio o pensione o anche più. Non esattamente, “un terzo, un terzo e un terzo”, non esattamente liberale, non esattamente equo e onesto, vero Signor Presidente del Consiglio?
AMICI O TRADITORI?
C’è poi l’altra misura di cui gli interessati preferiscono non parlare ma su cui invece non intendo tacere, anche perchè essere impopolare soprattutto fra la gente che piace o che si piace è una mia specialità. Si tratta del contributo di solidarietà in misura doppia a carico dei parlamentari. L’art.3 della Costituzione tollera (si fa per dire, ma vai a spiegarlo alla Corte costituzionale!) che si possa chiedere un sacrificio a chi guadagna 100 e nessun sacrificio a chi guadagna 99. Ma quell’articolo non tollera che il sacrificio sia misurato non sull’entrata del cittadino ma sulla qualità della sua professione o incarico. Per cui, se si chiede un contributo a chi guadagna 100, quel contributo deve essere lo stesso sia che a guadagnare 100 sia chi fa il dentista, il maniscalco, il manager o il parlamentare. Un contributo doppio, a parità di reddito, a carico di alcuni e non di altri è incostituzionale, vero Signor Presidente della Repubblica?
Naturalmente sappiamo bene da dove viene questa odiosa discriminazione di cui si è fatto greve portavoce il ministro (dentista, appunto) Calderoli. Viene dalla guerra alla “casta”, dal considerare i parlamentari dei lavoratori qualunque, ma privilegiati, fannulloni, crapuloni, parassiti, cioè viene dalla più becera campagna di aggressione al Parlamento che si sia vista dall’epoca dell’Uomo Qualunque, precisamente quella che, pur di abbattere il governo Berlusconi, non esita ad abbattere la democrazia. Che ora, proprio Berlusconi indichi nei suoi parlamentari (i vecchi compagni della “rivoluzione”) dei traditori da mettere alla gogna, a me sembra un grave errore, ma forse è solo una idiozia. Tutto avrei pensato che mi accadesse in vita mia, ma mai di dovermi vergognare del mio lavoro!
GLI UNTORI
Capisco che, per togliere il contributo di solidarietà ai “ricchi”, lasciando invariati i saldi, occorrono misure alternative. Ma questo non è un gran problema: per risolverlo, occorrerebbe un normale ministro dell’Economia (forse basterebbe un ragioniere), uno che, non dico che alla rivoluzione liberale ci credesse almeno un po’, ma che almeno non passasse la vita a fare un monumento alla propria incapacità e ignoranza. Invece, no, e allora che grondi il sangue dei ricchi e che gli untori siano bruciati!