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Lettera al direttore di “Libero”

19 Agosto 2011

Signor Direttore, come avrà letto, il capogruppo Fabrizio Cicchito ha richiamato all’ordine i dissidenti del Pdl. Lo rassicuri, non c’è nessuna “fronda” e, ci scommetto, non conosco nessuno che, anche se la manovra non venisse cambiata, voterebbe contro il Governo. Quei bravi parlamentari sono tutti uno più berlusconiano dell’altro e, se hanno fatto sentire la loro voce dissonante, è solo per sostenere Berlusconi, direi per richiamarlo alle origini. à solo un fenomeno di volenteroso sansepolcrismo, che per essere fronteggiato non ha bisogno di ordini di servizio. 

Però il caro Fabrizio dovrebbe anche lui considerare gli argomenti onesti dei suoi parlamentari. Consideri, ad esempio, questo. Cicchitto è un giovane sessantenne o giù di lí. Supponiamo che la Signora Cicchitto sia di un paio d’anni più giovane di lui. Statisticamente, e calcolando per difetto, la coppia Cicchitto senior ha un figlio sui trent’anni e la coppia Cicchitto junior ha un bambino di quattro-cinque anni. Sempre statisticamente, i Cicchitto junior sono disoccupati oppure senza fisso lavoro. Conclusione: i Cicchitto senior devono mantenere altre due generazioni di Cicchitto junior. Domanda: se la sentirebbe Fabrizio Cicchitto di dire alla giovane signora Cicchitto: “cara, vai pure in pensione, goditela per quasi trent’anni, e non ti preoccupare di figlio, nuora e nipote, si arrangeranno da sè”? Altra domanda: se la sentirebbe Fabrizio Cicchitto di dire: “cara, io pago il mio bravo tributo di solidarietà, anzi lo raddoppio cosí il Calderoli è più contento di sputare in faccia a noi mascalzoni parlamentari, e poi, coperto il buco, continuiamo goderci la vita, tanto, come ti ho già detto, i nostri discendenti si arrangeranno da soli”? 
Questo è un aspetto della manovra che crea, non fronde (Dio ce ne guardi, Berlusconi non è mica come Craxi, si incavolerebbe solo a sentirne parlare!), ma un po’ di giustificato malumore, se Fabrizio permette, sí. Ed è solo un punto. Che dire di tutto quel programma di riforme che dal 1994 Forza Italia prima e il Pdl poi si trascinano nei programmi, nei convegni, nelle campagne elettorali, nei cartelloni pubblicitari? Che dire se ora se ne ripesca appena un po’ e lo si infila, non in organiche leggi di riforma presentate il primo giorno della legislatura, ma in un decreto legge di fine stagione che deve fare cassa maledetta e sùbito? Che dire dei progetti relativi a comuni, provincie, numero dei parlamentari, enti pubblici, che avrebbero bisogno di provvedimenti organici a sè e invece si nascondono alla rinfusa sempre nello stesso decreto legge e si trattano come se fossero problemi finanziari? Davvero, caro Fabrizio, si può pensare di toccare la storia d’Italia e la costituzione italiana all’insegna dell’improvvisazione? 
Mi dice Fabrizio: beh, ma su molte riforme di “liberalizzazione” siamo d’accordo, vedrai che le faremo. Il guaio è che si sono messi di traverso Bossi e Tremonti (più i sindacati amici, dico io, che se no, minacciano di congiungersi con il sindacato nemico). Vero, ma vogliamo discuterne? Faccio anche qui un esempio. Io e Fabrizio abbiamo in comune un caro amico che si chiama Sandro. Un bel giorno, mentre costui si prodiga con onestà a fare il suo mestiere di Ministro dei Beni culturali, casca un tetto a Pompei. Risultato: nonostante lo squallido linciaggio di Bersani, Di Pietro, Casini e Fini, Sandro si salva, ma poi si deve dimettere. Qualche giorno dopo, anzichè un tetto, casca l’Italia, mentre Tremonti ci stava giusto giusto spiegando come, grazie a lui e alle sue visioni, andava tutto per il meglio. Risultato? Tremonti resta e passa per uno geniale. Dunque, Sandro no e Giulio sí. Mi pare, a dir poco, un’ingiustizia, sicuramente contro il primo. 
Mi obietta ancora Fabrizio: ma Tremonti non è un ministro nostro, è il ministro dei “poteri forti” (anse che ora dicono che non lo conoscono) e di Bossi e Calderoli. Vero anche questo, ma era vero anche nel 2001 e nel 2008. Che bisogno c’era di solleticargli lo smisurato Ego facendolo diventare l’unico ministro del Governo? E di applaudirlo sempre: fin da quando era contro la globalizzazione e invocava i dazi alla Cina (mi ricorda, a proposito, la vecchia e cara Teresa Noce. Ricordi Fabrizio la sua ricetta come la raccontava Fernando Santi? “Costringiamo ogni cinese a comprarsi un foulard di seta e avremo risolto i nostri problemi”). 
Non vorrei che ora Fabrizio pensasse che io ritenga che, tolto Tremonti, abbiamo risolto tutto. Perchè so bene che la storia non dirà mai che, se le “liberalizzazioni” non si sono fatte, la responsabilità è solo di un ministro dell’Economia. Anzi, vorrei evitare che si continuasse come prima, con questo giochino delle responsabilità. Un giorno è colpa di Follini, un altro di Casini, un altro di Fini, un altro del Presidente della Repubblica, un altro dell’11 settembre, un altro della crisi “imprevista”. Di questo passo, si torna, al massimo, al “destino cinico e baro” ma non si riforma nulla. Questa è cosa che dovrebbe essere detta anche al bravo Alfano, a cui va tutta la nostra stima e speranza. 
Per concludere. Viviamo tempi difficili e più difficili ci aspettano. La crisi dell’Occidente tutto farà forse stragi, io temo, come le epidemie medievali. C’è da essere assai preoccupati, perchè se viene meno anche il pilastro americano, noi non avremo neppure più uno sceriffo che ci protegga. Sappiamo che non c’è rimedio risolutivo immediato (e lo si dovrebbe dire, prima che gli Italiani siano illusi e poi delusi ancora), ancor meno c’è rimedio con misure improvvisate del genere “chicojocojo”. Ma almeno cerchiamo di pensare al dopo: perchè, in questo Occidente, sopravviverà solo chi, dopo aver sputato sangue, sarà più attrezzato per i tempi che verranno. I tempi dei Cicchitto junior. 
Un’ultima annotazione. Ai tempi della Convenzione per la Riforma Liberale, noi, inadeguati babbei meritoriamente defunti, chiamavamo occasioni come questa “la nostra Algeria”. Pensavamo che un evento straordinario e anche penoso, di carattere politico o economico, potesse fornire all’Italia l’occasione per riformarsi. Ora un’Algeria c’è. Dobbiamo solo volgerla al meglio con le riforme, non con le tasse ai primi che capitano prima che si trasformi in una nuova Hiroshima. 

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