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Lettera pubblicata su “ItaliaOggi”

La provocazione: voto Sì perché amo il gelato al pistacchio

Caro Direttore, Lei sa che io presiedo un Comitato nazionale (LiberiSì) per il referendum costituzionale. Ma non sa perché voterò Sì. Ebbene, lo confesso, voterò Sì perché mi piace un sacco il gelato al pistacchio. E che c’entra? dice Lei. C’entra, c’entra, dico io. Ho seguito l’esempio dei grandi politici e intellettuali del No, i quali mi hanno dato l’ispirazione. Se quelli sono molto scicche e trendi con i loro argomenti, allora, ho pensato, almeno una volta sarò scicche e trendi anch’io con il mio.

Mi segua. Uno vota No perché vuole celebrare anticipatamente il congresso Pd, vincerlo e sostituire Renzi e la sua segreteria. Questi è Bersani (lo smacchiatore), con tutta la sua giovane truppa (la trielina). Un altro vota No perché vuole far dimettere Renzi dalla presidenza del consiglio e non consentirgli neppure più di rientrare in politica. Questi è D’Alema, che, allo scopo di disarcionare il tiranno, l’amerikano, l’uomo di Obama, del Pse, dei poteri forti, l’intrigante delle banche e chissà che altro (persino il filoisraeliano) si è alleato con Fini, Cirino Pomicino, e un’intera scolaresca di allievi promettenti e di già provata lungimiranza, come fece al tempo in cui lo stesso D’Alema mise in piedi il proprio governo col sottosegretario Misserville.

Un altro ancora vota No perché vuole anch’egli mandare a casa Renzi, ma col biglietto di ritorno. Questi è Berlusconi, il quale, diviso fra Brunetta e Parisi, Confalonieri e Schifani, Marina e Forza Italia, pensa che un No debole debole passi inosservato e innocuo, sì che lui, alla chetichella, possa tornare al governo.

Infine, un altro vota No perché con la manovra finanziaria Renzi si compra il consenso. Questi è Monti, il quale pensa che in democrazia i governanti non siano costretti a soddisfare le esigenze, anche corporative, anche clientelari, dei governati, tanto è vero che lui la democrazia la concepisce, e la pratica, come quel regime i cui leader sono nominati dall’Europa e cooptati dagli aristòi per fare il bene dei plebei.

Per restare in tema di democrazia, c’è anche chi vota No, perché Renzi la concepisce come una forma di governo in cui qualcuno vince e qualcun altro si oppone. Ohibò, dice il Zagrebelsky, un vero regime democratico è quello in cui si parla soltanto (donde il Parlamento) e soprattutto si parla dei poveri (donde l’impoverimento, come già Platone lamentava riguardo alla degenerazione democratica del regime perfetto dei filosofi o costituzionalisti).

Capisce, Direttore, dove vado a parare? Se il nesso motivazionale fra il No e le giustificazioni addotte dai suoi sostenitori è di tal natura pindarica, allora, mi sono detto, salto logico per salto logico, tanto vale che io voti Sì perché mi piace il gelato al pistacchio. Qualcuno può mettere in dubbio che ci vado matto? Qualcuno può sostenere che il mio argomento non è incontrovertibile? Non mi pare: “No, perché Renzi è arrogante e spiacevole” ha la stessa forza logica di “Sì, perché il pistacchio è nutriente e godibile”.

Dico questo, caro Direttore, perché accade che più il tempo passa e meno si discute del testo della riforma. E meno si discute del testo della riforma più si parla d’altro, di forme di governo, di dittatura, di cambiamento di leader, di manovra finanziaria, di Obama, o di pistacchio, come appunto nel mio caso. C’è stato persino chi, consegnando la dichiarazione di guerra agli Stati uniti nelle mani dell’ambasciatore americano a Roma, ha sostenuto che si deve votare No per salvaguardare l’indipendenza della Nazione.

E chi ha detto che è un dovere respingere la riforma costituzionale per difendere il sacro suolo della Patria, i suoi princìpi e valori, come si fece durante la Resistenza, quando notoriamente i partigiani invocavano un’Italia con due camere politiche uguali, con smisurati poteri alle regioni, con poca o nessuna forza del presidente del consiglio, con tanta instabilità di governo, con molti decreti legge e voti di fiducia, con quorum proibitivi per i referendum abrogativi, e insomma con tutte quelle cose che la riforma Boschi (“O bella, ciao!”) vorrebbe escludere o alleggerire o superare.

Non ci siamo proprio, caro Direttore. La riforma merita di essere valutata e apprezzata per quel che contiene e per quel che presumibilmente la Costituzione diventerà con la pratica delle nuove istituzioni. Ammetto che quelli che la pensano come me avrebbero voluto molto di più, ma se il convento, che è povero, passa un pasto altrettanto povero, non per questo lo rifiuto e mi metto a sparare sulla mensa. Non è colpa della riforma costituzionale se D’Alema ha perso la sedia e la rivuole, se Bersani ha perso il partito e non se ne fa una ragione, se Berlusconi ha perso il senno e non si accorge che potrebbe ancora contribuire a dare una mossa all’Italia, come ha sempre auspicato e promesso.

La riforma merita di essere valutata e apprezzata per quel che contiene e per quel che presumibilmente la Costituzione diventerà con la pratica delle nuove istituzioni. Hanno tutti avuto le loro occasioni, le hanno còlte, le hanno usate, in parte le hanno sfruttate e in parte le hanno sprecate. Ora si deve andare avanti, anche a piccoli passi, se di più lunghi non ci sono concessi.

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