28 Dicembre 2009
Niente Consociativismi per fare le Riforme
Caro Direttore, come avra’ visto sta per ripartire il treno delle riforme “condivise”. Con il suo permesso, desidero sottoporle un’osservazione che a me sembra ovvia ma illuminante. Questa: che se le riforme condivise fossero anche buone riforme, e fossero comunque migliori di quelle a maggioranza, allora non ci sarebbe alcun bisogno di riforme. Per capire il punto, si consideri la Costituzione attuale. Notoriamente, essa fu condivisa. E per ogni sua parte contiene una giustapposizione verbale, mediante una semplice “e”, di una versione a maggioranza e una condivisa.
Art. 1, versione a maggioranza: “l’Italia è una Repubblica democratica”; versione condivisa: “… e fondata sul lavoro”. Art.2, versione a maggioranza: “la Repubblica riconosce e garantlice i diritti inviolabifi dell’uomo”; versione condivisa: “e chiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Art.3, versione a maggioranza: “la Repubblica rimuove gli ostacoli all’uguaglianza”; versione condivisa: “e promuove la partecipazione dei lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Non e’ meglio la prima versione? Lo stesso vale per la seconda parte della Costituzione, nella quale la “e” e’ sostituita da un “ma”. Ad esempio, versione a maggioranza: “il presidente del Consiglio è capo del governo”; versione condivisa: “ma il capo dello Stato autorizza la presentazione dei disegni di legge”. Oppure, versione a maggioranza:
“la Repubblica è parlamentare”; versione condivisa: “ma il presidente della Repubblica scioglie la Camere”. Potrei continuare, ma tanto basta per provare il mio assunto: che e’ tanto vero che spesso le riforme condivise non sono buone riforme che oggi si cerca di cambiare proprio le riforme condivise.
E pero’ il treno partira’. Lo spingono vari fattori oggettivi. La maggioranza, che deve riempire la seconda parte della legislatura ha bisogno di tempi. Le opposizioni, che si sono impaurite, l’una (Bersani) dell’aggressione di piazza Duomo e l’altra (Casini) del suo stesso appello al Fronte di liberazione nazionale contro il monarca, devono rientrare in gioco, e soprattutto mettere in un angolo Di Pietro, che su quel terreno le batte di gran lunga. La prima carica istituzionale, perche’ il “dialogo” e’ bello. La seconda, perche’, se e’ bello in se’, e’ bello anche per me. La terza, perche’ non solo il dialogo e’ bello, e’ anche utile alla successione. La Lega, perche’, ancora un po’ di federalismo e di governatori, e poi finalmente la divisione dell’Italia sara’ compiuta. E la stampa, perche’ la “casta” deve essere punita un’altra volta, e non importa che cosa succedera’ dopo. Come potrebbe Berlusconi, se mal lo volesse, resistere a tanta pressione, specialmente adesso che è assai piu’ debole?
Il treno delle riforme andra’ nella direzione della “bozza Violante” o di qualcosa di assai peggio. Il risultato sara’ (sarebbe) che avremo in Costituzione la previsione del trasformismo parlamentare, la fine del bipolarismo, la diarchia ai vertici dello Stato fra premier e presidente della Repubblica, la chiusura del Senato (cioe’, la piu’ prestigiosa istituzione dell’Italia unita, quella che resistette dignitosa anche al fascismo!), sostituito da una sorta di Cnel o di Conferenza Stato-Regioni, con potere di ricatto sul bilancio statale e di veto al governo (come oggi) e senza il contrappeso di un potere centrale forte. E naturalmente l’Italia spaccata. Tutto, ovviamente, condiviso.
Mi si obiettera’, perche’ cosi’ si obietta dai nostri nuovi Rousseau: ma vorresti forse fare un colpo di mano a maggioranza? Le regole non sono di tutti e percio’ non devono essere approvate da tutti? Io, che non amo Rousseau, ne’ il “patriottismo costituzionale”, ne’ l’Italia spaccata, ne’ le riforme condivise tanto per condividerle, rispondo cosi’. Quando nel 93-94 cadde la Repubblica consociata dei partiti e con essa anche la Costituzione condivisa dagli stessi partiti, un movimento politico nuovo, Forza Italia, e un leader carismatico, Silvio Benlusconi, si alzarono per fare, a maggioranza, una “rivoluzione liberale”. Ne avevano il diritto, perche’ la promisero ed ebbero piu’ volte il consenso per farla. Ma, per una ragione o per l’altra, la rivoluzione non c’e’ stata. Ad oggi, niente riforma della Costituzione, poco o niente riforme dello Stato sociale, niente riforma fiscale, e niente riforma costituzionale della magistratura, la piu’ urgente e necessaria.
Di quella stagione sono stato testimone e anche protagonista (ne conservo buoni appunti). Dunque, mi metto nella prima fila dei responsabili. Ma ancora mi rifiuto di pensare che l’Italia finisca in una bozza Violante. Forse sono cosi’ stupido da non capire che e’ l’Italia stessa che vuole finire cosi’, perche’ cosi’ e’ nata e cosi’ vive niente male. E pero’ , negoziata o no, la rivoluzione liberale e’ necessaria.