Interviste

Intervista a “La Stampa”

Marcello Pera: “Il presidenzialismo non basta, vanno

rafforzate le garanzie”

L’ex presidente del Senato ora in Fdi: “Ritroviamo lo spirito costituente della bicamerale. Come Amato e Cassese penso che eleggere l’esecutivo implichi altre riforme costituzionali”

di Francesco Grignetti

ROMA. Filosofo, parlamentare berlusconiano dal 1996 al 2013, presidente del Senato nella XIV Legislatura, Marcello Pera è forse l’acquisto più prestigioso di Fratelli d’Italia. Da giovane, è stato un brillante studioso di Popper. Con Lucio Colletti fu uno dei professori nella primissima Forza Italia. Nel suo percorso c’è stato poi l’incontro con Papa Ratzinger, con cui ha scritto un libro a quattro mani. Ora è l’uomo che sussurra di riforme in senso presidenzialista all’orecchio di Giorgia Meloni. Ma la sua ambizione è titanica. «La penso come Amato e Cassese: eleggere il vertice dell’esecutivo implica rivedere altre parti della Costituzione».

Il centrodestra annuncia riforme. Ci spiega il senso di questo presidenzialismo?

«Il presidenzialismo ha due vantaggi enormi: la trasparenza democratica, chi vince le elezioni governa; e la stabilità di governo, chi governa lo fa per il tempo garantito dalla Costituzione. C’è ancora bisogno di illustrare i benefici, politici, economici, internazionali, di questa riforma? Ricordo che il semipresidenzialismo era la soluzione uscita dalla commissione bicamerale D’Alema, con l’apporto di Leopoldo Elia. Come si vede, si può fare, senza strappi».

La riforma avrebbe un impatto sulla presidenza del Consiglio o sulla presidenza della Repubblica? Ovvero: pensate a un premierato forte oppure a un semi-presidenzialismo alla francese, dove il presidente non è più il garante dell’unità nazionale? Diciamo così: da arbitro della partita, ne diventa il protagonista.

«Politica e dottrina in questi anni hanno discusso di presidenzialismo, semipresidenzialismo, premierato, cancellierato, eccetera, sempre con lo stesso fine della stabilità. Il presidenzialismo può essere congegnato con garanzie adeguate. Parliamone a viso aperto, senza anatemi, e le troveremo».

Le piace lo slogan di Renzi sul sindaco d’Italia?

«Coglie il punto della stabilità del governo: un sindaco sfiduciato va a casa, ma va a casa anche il consiglio. Naturalmente, un sindaco d’Italia è formula che si scioglie in tanti modi e perciò è fondamentale discutere assieme senza pregiudizi su quale sia il più efficiente, trasparente, democratico».

Per dirla con il presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato non basta cambiare una rotella, occorre cambiare tutto l’ingranaggio per far funzionare il nuovo orologio. Come calare questo tipo di riforma con il nostro complesso sistema di pesi e contrappesi?

«I contrappesi ad un potere con un altro potere, sono il succo della democrazia. I padri degli Stati Uniti avevano terrore di un re eletto dal popolo, e riuscirono nell’impresa. Dovremmo essere animati dallo stesso spirito costituente. Per questo, ho da dieci anni proposto un’assemblea costituente, eletta con sistema proporzionale con la durata di un anno e referendum finale. Ma se proprio mi invita a riferimenti dotti, oltre ad Amato, citerei il mio caro Agostino che sosteneva che non si può avere il sistema politico perfetto sulla terra, e Machiavelli: “e però in ogni deliberazione si debbe considerare dove sono meno inconvenienti e pigliare quello per migliore partito, perché tutto netto, tutto sanza sospetto, non si truova mai”».

Segnatamente, quale impatto dovrebbe avere il nuovo presidenzialismo con i meccanismi della Corte costituzionale, del Consiglio superiore della magistratura, delle Authority indipendenti?

«Rafforzare l’esecutivo implica anche rafforzare le garanzie. La democrazia vive su un circolo virtuoso: A fa da contrappeso a B, B lo fa a C, fino a che si ritorna alla partenza».

E poi c’è il rapporto con il Parlamento: secondo lei va conservato il bicameralismo perfetto?

«Sul bicameralismo perfetto aveva già tentato una bella sforbiciata la riforma Renzi-Boschi. Occorrerà ridiscuterne».

Si può immaginare un sistema di sfiducia costruttiva?

«La sfiducia costruttiva non dà ancora stabilità».

E l’attuale legge elettorale può coesistere con un sistema presidenziale?

«Per quanto riguarda questa legge elettorale, non la vuole più nessuno. Certamente essa è incompatibile con un sistema presidenziale o di elezione diretta del capo del governo. Questo bipolarizza, quella frammenta. Basta che pochi si mettano assieme ed ecco che la loro sommatoria aritmetica e non politica supera il 3%. Dopo di che quel 3% genera magari due gruppi parlamentari diversi e addio stabilità».

Fratelli d’Italia rivendica una matrice sovranista e non rinnega le sue radici di destra post-fascista. Lei viene da una cultura liberale. Popper può coabitare con la cultura tradizionalista espressa da Giorgia Meloni, ovvero Dio patria e famiglia?

«Mi fa piacere che citi Popper. La sua idea era che se uno (individuo o comunità), durante la sua evoluzione intellettuale non cambia opinione, allora significa che non impara dall’esperienza, e chi non impara dall’esperienza scompare. Popper fu socialista non marxista fino alla sua opera famosa La società aperta e i suoi nemici. Poi si avvicinò al liberalismo, ma ancora in una versione sociale. Infine, sostenne la più forte ragione a favore del conservatorismo: “La vita sociale esige una tradizione”. Continuo ad ammirarlo, anche se la sua tesi che la società liberale aperta “può vivere senza la religione” non la trovo convincente e comunque palesemente non resiste alle sfide di oggi. Quanto allo slogan “Dio, patria e famiglia”, è la filosofia dei conservatori: Dio sta per la difesa del cristianesimo, senza il quale noi neppure esisteremmo, patria sta per la tutela dell’interesse nazionale anche nel processo di integrazione europea, e famiglia vuol dire i valori della tradizione italiana. Giorgia Meloni ha queste posizioni. Per quelli che, per propaganda, paventano il fascismo, l’appuntamento è dopo il 25 settembre, a viso aperto, senza pregiudizi».

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