4 Luglio 2007
di Marcello Pera
La manifestazione promossa da Magdi Allam domani sera a Roma contro le persecuzioni dei cristiani ha un doppio significato. Uno contingente: testimoniare la solidarietà a quei missionari, sacerdoti o semplici fedeli, che, nella terra dell’Islam, sono sistematicamente sottoposti a violenze o al martirio a causa della propria fede. Il caso del sequestro di padre Giancarlo Bossi è purtroppo solo uno dei tanti.
L’altro significato è decisamente storico. Si tratta di promuovere una inversione di tendenza nell’opinione pubblica, dalla acquiescenza attualmente diffusa alla consapevolezza del rischio cui è esposto tutto l’Occidente per mano del fondamentalismo e del terrorismo islamici. Si tratta poi di rivendicare l’orgoglio occidentale per una civiltà, la nostra, che ha costruito opportunità, benessere, istituzioni, princìpi, diritti, di gran lunga superiori a quelli di qualunque altra esistente. E si tratta infine di riconoscere che questa civiltà sarà perduta se continuiamo a goderne i frutti senza affermarne il valore, a praticarla senza predicarla, a criticarla senza apprezzarne la grandezza.
È augurabile che la manifestazione abbia successo. Ma la previsione che possa non essere oceanica, come invece lo sono quelle antiamericane o filoislamiche frequenti in Europa, è indizio della gravità della crisi in cui ci troviamo, oltre che tributo al coraggio di chi ha promosso l’iniziativa.
Sono tre le circostanze che mostrano questa crisi.
La prima: l’Europa ha paura. Ora che, dopo l’ultimo vertice, l’Unione ha ammainato persino i suoi simboli (costituzione, inno, bandiera), si scoprono, al tempo stesso, la sua debolezza e il vizio di voler trasformare questa debolezza in virtù. L’Europa non vuole la guerra di civiltà, ma non vuole neppure combatterla quando ci viene dichiarata e portata sul nostro suolo. Vuole la pace, ma non pagarne il costo, perchè il suo pacifismo è accondiscendenza, intesa e resa. Se oggi non ha una politica estera e militare è perchè una parte dell’Europa, quella che comprende le proprie responsabilità internazionali, non si fida dell’altra, quella che se ne ritrae, con il risultato che gli stati europei rinascono, non tanto perchè i nazionalismi sono ancora forti, ma perchè il sovranazionalismo europeo è debole e inerte.
Seconda circostanza: la cultura europea è suicida. Denuncia i vizi e le colpe dell’Occidente, lo circoscrive a una forma di cultura buona quanto qualunque altra, lo sradica da quella tradizione giudaico-cristiana che l’ha tenuto a battesimo e a cui sono legate le sue principali conquiste. Relativismo e laicismo sono l’impasto principale di quell’ideologia europeista che ci sta ammorbando tutti. I fanatici islamici ci attaccano? È colpa dell’America e di Israele. I terroristi nascono in casa nostra? È perchè siamo arroganti e non li integriamo. Non accettano i nostri princìpi e valori? Perchè non usiamo il dialogo. E così via con una lunga catena di autodafè, miserere, confessioni. Oppure di mostruosi ‘perciò’: siamo relativisti e perciò liberali; siamo liberali e perciò laici; siamo laici e perciò anticristiani.
La terza circostanza su cui riflettere riguarda il cristianesimo e in particolare la Chiesa cattolica. Di fronte al fondamentalismo islamico, è stata anch’essa in ritardo, forse per timore, forse per impreparazione, forse per la logica del male minore o del bene maggiore. Tanto relativismo nella teologia, tanto ‘dialogo’ nella predicazione, tanto ‘spirito di Assisi’ nella partecipazione, tanta sottovalutazione nella denuncia, hanno dato a lungo la sensazione che anche la Chiesa partecipasse della crisi della cultura europea. La preoccupazione di non prendere posizioni di parte su questa o quella crisi internazionale ha rischiato di ridurla a Chiesa del silenzio e l’ha esposta a bersaglio, quando essa stessa è stata considerata di parte.
Ora la Chiesa torna a farsi le domande giuste e scomode: l’slam è una religione di pace? l’islam intende concedere reciprocità di diritti? l’islam rispetta i princìpi universali delle carte? Per questo, per il solo chiedersi ciò che capi di stato e di governo e intellettuali europei invece si inibiscono, la Chiesa è diventata una guida non solo spirituale ma pure morale e culturale di miliardi di uomini. Non perchè essi pensino che ‘solo un Dio ci può salvare’, ma perchè, lo preghino o no, credono che quel Dio, il Dio cristiano, ci ha dato una speranza e una civiltà che vogliamo mantenere.