Interventi

Commemorazione in Aula dei giudici Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti di scorta in occasione del ventesimo anniversario della strage di Capaci

23 Maggio 2012

Signor Presidente, personalmente ho studiato e meditato molto sugli scritti e sull’azione di Giovanni Falcone e ricordo anche che quando ero responsabile del settore giustizia per Forza Italia alle elezioni politiche del 2001, presentando il programma, lo dedicai alla sua memoria, tanto gli ero e ancora oggi gli sono debitore. 

Credo siano almeno due i punti o i temi che tornano ancora alla nostra memoria e soprattutto al nostro impegno: il primo è evidentemente il contrasto alla mafia. A questo proposito vorrei ricordare – perchè lui faceva questa distinzione – che Falcone non combattè la mafia, ma combattè i mafiosi. Falcone non cercò di colpire il fenomeno mafioso, ma cercò di colpire, come lui diceva usando un nome proprio, cosa nostra. Sembra una distinzione sottile e anche un po’ capziosa, ma in realtà è una differenziazione importante perchè, applicata ad un magistrato, è la distinzione tra la magistratura che opera per tesi e la magistratura che invece colpisce crimini specifici commessi da individui specifici. 

Giovanni Falcone apparteneva a questo secondo tipo di magistratura: conosceva bene il fenomeno mafioso; ne conosceva la storia, la genesi, le relazioni, le infiltrazioni, le modalità di espansione; ma non faceva analisi, faceva indagini. Non soltanto aveva una grande conoscenza di ciò che stava facendo; aveva un grande senso del dovere, un grande coraggio e idee molto chiare. 

Cercò gli strumenti più adeguati per la sua azione; quando non li trovò, li chiese, e anche quando li chiese e vide che non si potevano ottenere, li inventò per conto proprio. Fu cosí che dette origine a istituzioni importanti nella lotta contro il crimine mafioso. 

Non che Falcone non avesse chiaro come il costume sociale genera e alimenta il fenomeno mafioso, ma aveva ancor più chiaro che quello non era il compito del magistrato: era compito dei cittadini, compito nostro, di tutti noi. 

Cari amici, finchè infatti ci sarà un politico che dice si a chi gli offre dei voti, un amministratore che dice si a chi gli propone un affare, un imprenditore che dice si ad una transazione illecita, un banchiere che dice si a dei denari di cui non conosce la provenienza o chiunque di noi che dica si alla condiscendenza, all’essere corrivi, alla mentalità diffusa, finchè ci sarà questo non avremo sconfitto nè la mafia, nè i mafiosi: noi saremo diventati complici dei mafiosi. 

Poi c’è l’altro punto che secondo me è importante ricordare oggi e riguarda gli strumenti giudiziari che Giovanni Falcone pensò per colpire i crimini di mafia. 

Tutti hanno perfettamente presente – non dobbiamo sollevare più nessuna polemica al riguardo – le amare vicende che egli affrontò da parte di colleghi, della magistratura associata, del Consiglio superiore. Ebbene, quelle amare vicende non furono solo una questione personale, anche se ovviamente avevano una triste dimensione personale, furono una questione culturale. 

Rileggendo i suoi scritti, che secondo me dovrebbero essere ripubblicati per intero in un’edizione accessibile che ancora non c’è, si può notare che Falcone non richiamava mai i termini �«autonomia ed indipendenza�» riferendosi alla magistratura, ma usava un trinomio: �«autonomia, indipendenza ed efficienza�». 

Aveva chiaro – e lo scriveva – che quando parlava di efficienza intendeva anche l’efficienza istituzionale perchè egli capí che il nuovo codice di procedura presenta dei vistosi difetti di sistema: lo status del pubblico ministero, la dipendenza della polizia giudiziaria, la obbligatorietà dell’azione penale, mi limito a questi perchè di questi Falcone parlò. 

Noi oggi siamo ancora di fronte a questi problemi. Guardate che la situazione non è migliorata. Soltanto a risollevarli oggi, a parlare di ordinamento costituzionale giudiziario su questi aspetti si rischia di sollevare di nuovo una battaglia di carattere ideologico preconcetta. Non abbiamo fatto nessun passo innanzi rispetto a quello che Falcone ci diceva; non lo abbiamo più nemmeno studiato, non abbiamo nemmeno più pensato se quegli strumenti sarebbero stati più o meno efficienti di quelli di cui noi disponiamo. Non ne parliamo più perchè abbiamo timore delle conseguenze e perciò – come ci diciamo tutti i giorni – facciamo la lotta alla mafia, ma non pensiamo – come Falcone ci aveva invitato a fare – agli strumenti più adeguati per farlo. Quelle lacune nell’ordinamento costituzionale c’erano, quelle stesse lacune ci sono oggi e noi, come facciamo rispetto ad altre lacune della nostra Costituzione, non ne parliamo più. 

Nonostante i grandi successi che sono stati conseguito in seguito alla morte di Falcone, noi ci dobbiamo interrogare perchè siamo ad un punto in cui ancora oggi dopo processi passati in giudicato (processi di primo, secondo e terzo grado), ancora oggi non sappiamo come e perchè esplose quella bomba e 57 giorni dopo l’altra che uccise Borsellino. Non lo sappiamo e mi domando: non lo sappiamo perchè è difficile scoprire la verità, o non lo sappiamo anche perchè abbiamo paura di scoprirla. 

Se cosí fosse, cari colleghi e amici, dopo l’odierna celebrazione ci troveremmo domani esattamente nella situazione di ieri. Ed io non credo che, nonostante la celebrazione dovuta, meritata, nonostante il dolore che ci colpisce tutti e l’afflizione che ci provoca pensare a tale uomo, gli renderemmo onore semplicemente parlando di lui e della sua azione senza porci alcun interrogativo rispetto alla nostra coscienza e rispetto alla nostra azione politica.

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