Marcello Pera: “Se Meloni fosse di sinistra sarebbe già
un’icona”
di Federica Olivo
Intervista all’ex presidente del Senato che torna in campo con FdI con il progetto della riforma presidenzialista dello Stato. “Giorgia ha già un peso internazionale, le divisioni con Berlusconi e Salvini sono ingigantite e dovute al Rosatellum”.
Marcello Pera, politico, professore universitario e filosofo, già presidente del Senato, una lunga strada politica percorsa con Forza Italia, si candida oggi con Giorgia Meloni. Convinto che questa sarà la legislatura delle riforme, spiega ad HuffPost perché le leader di FdI lo ha convinto a scendere in campo, dopo che per un breve periodo si era avvicinato a Salvini. Attento osservatore delle dinamiche politiche, dà una lettura delle frizioni tra Meloni e i suoi alleati.
Il suo è un ritorno in Parlamento, dopo tanti anni di politica e qualche anno di Camere. Come mai ha deciso di ricandidarsi?
Perché Giorgia Meloni mi ha convinto che questa sarà una legislatura costituente e mi ha chiesto di dare una mano. Fin dal 1996 sono interessato ad una riforma della costituzione per renderla adeguata a tempi che certamente non sono più quelli del 1948. Ci abbiamo provato tante volte e in tanti modi, spero che questa sia l’occasione giusta. È nell’interesse di tutti avere una democrazia trasparente, stabile, efficiente.
Ha detto più volte che in questa legislatura vorrà dedicarsi al presidenzialismo. Perché ritiene questa riforma così importante? E come immagina un presidenzialismo all’italiana?
Si dovrà studiare bene con alleati e opposizione. La Costituzione per un cittadino è come il battesimo per un credente. Fidelizza. Diventiamo tutti membri della stessa cultura, con la stessa cornice comune di riferimento. Gli Stati Uniti mi piacciono anche perché hanno messo i loro testi fondativi su tre pale di altare a Washington e così li onorano quasi religiosamente. Quanto alla forma del presidenzialismo e ai modi per introdurlo, si vedrà. Ci sono tante possibilità. Ricordiamoci, ad esempio, che la Bicamerale D’Alema terminò con una proposta semipresidenziale. Due cose sono essenziali e vanno dette subito. La prima: se si ra orza il potere esecutivo centrale, si devono raorzare anche le garanzie, i famosi contrappesi. La seconda. L’intero processo di riforma deve coinvolgere tutti. È soprattutto per questo che ormai dieci anni fa proposi una assemblea costituente eletta in modo totalmente proporzionale, con la durata di un anno e referendum popolare nale. Ma altri strumenti sono ben pensabili.
Oltre al presidenzialismo immagina altre riforme costituzionali? Berlusconi ha rilanciato la separazione delle carriere e l’inappellabilità delle assoluzioni. Lei cosa ne pensa?
Se si legge bene la costituzione all’art. 111 della Costituzione, che fu riscritto con il voto di tutti pochi anni fa, la separazione dei ruoli è già scritta lì. Quando si parla di “giudice terzo e imparziale”, quel “terzo” significa separato dal pubblico ministero, quanto a ruolo, status, prerogative, formazione. La inappellabilità delle sentenze di assoluzione mi pare un atto di civiltà: se lo Stato ha esercitato il suo potere investigativo e punitivo tramite polizia giudiziaria e pubblico ministero e un giudice terzo e imparziale in ne ha assolto, di che altro c’è bisogno per lasciare libero un cittadino?
Lei è un liberale, si candida con Meloni che è una conservatrice considerata sovranista. Quali sono i punti di contatto tra voi?
Il conservatorismo, che con giusta intuizione Giorgia Meloni ha accolto, e che rappresenta nel gruppo europeo. Essere liberal- conservatori vuol dire tutelare in primo luogo la tradizione, come è nella filosofia dei tory e dei repubblicani americani. Nello specifico, in Italia vuol dire che l’interesse nazionale italiano non è meno prezioso di quello tedesco o francese. Vuol dire che apprezziamo la cultura, e, per chi crede, la fede cristiana, che ci ha dato i valori su cui si basa la nostra civiltà. E, più concretamente, per me vuol dire che su certi temi delicati per l’identità nazionale, come il matrimonio, la famiglia, la vita, non può sempre prevalere Bruxelles ma devono contare anche i sentimenti profondi delle nostre città e borghi.
Meloni sta facendo una campagna elettorale molto attenta nei confronti dei partner internazionali, per accreditarsi ai loro occhi. Secondo lei sta riuscendo in questa operazione?
Sì, secondo me, ci riesce. E poi, guardi che non è solo Meloni che è attenta ai partner internazionali. Come vede in Europa e in America, sono i partner internazionali che desiderano, e hanno bisogno, di confrontarsi con Meloni. È una leader giovane e credibile che ha già un peso internazionale. Se fosse a sinistra sarebbe già un’icona celebrata.
Tra gli alleati di centrodestra, è innegabile, frizioni ci sono e ci sono state. Da ultimo, il responsabile economico di FdI Maurizio Leo ha affermato che per intervenire sul caro bollette non bisogna fare uno scostamento di bilancio, mentre la Lega continua a insistere sullo scostamento. Attriti ci sono stati sulla premiership e anche sulle politiche migratorie. Cosa pensa della linea della Lega? A volte Salvini e Meloni sembrano più rivali che alleati.
Non sono un esperto di economia e mi dispiace. Osservo che anche il presidente Draghi è contrario ad altro debito. Tremonti ha ricordato che la speculazione è in agguato. Quanto alle frizioni Salvini-Meloni, ma anche Berlusconi-Meloni, sono un bel po’ ingigantite dai giornali. Però, a parte che pescano sullo stesso elettorato o limitrofo, c’è che la legge elettorale è per due terzi proporzionale: che altro possono fare i partiti se non privilegiare le proprie liste?
Non c’è il rischio che queste divergenze pesino quando al governo ci saranno da fare scelte, anche complesse, in campo economico ma non solo. FdI riuscirà a condurre gli alleati verso una linea comune?
Se avrà un grande successo, il compito sarà più facile. Ma a parte le divergenze ingigantite, il centrodestra è una coalizione unita. Niente di paragonabile alla sinistra, che non ha messo in piedi neppure un cartello elettorale.
Lei è stato esponente di spicco di Forza Italia. Il partito ha avuto molti cambiamenti negli ultimi anni e, con la Lega, è stato tra coloro che hanno alla fine tolto la fiducia a Draghi. Ora che è al suo esterno, come giudica le posizioni recenti di Forza Italia?
Sono sempre stato amico e leale con Berlusconi, anche quando qualcuno dei suoi voleva fargli credere il contrario. E rispetto il piatto in cui mi sono nutrito. Quanto al voto contro Draghi, mi lasci un po’ di beneficio del dubbio sulla narrativa corrente: non ho mai ben capito perché Draghi, che pure aveva la fiducia della maggioranza del Parlamento e, penso proprio, del Presidente della Repubblica, si sia dimesso. Passiamo la palla agli storici e mettiamoci a lavorare con serietà sulle riforme utili all’Italia.