Interventi

Unde venis, Europa?

Parlamento Europeo (Working Group on Human Dignity)

1. La questione dell’anima 

Sono passati quasi venti anni da quando l’allora presidente della Commissione europea Jacques Delors dichiarò che l’unificazione dell’Europa non può essere solo una questione economica e lanciò la sfida di “dare un’anima all’Europa”. Durante questo periodo quell’idea che fu ripresa dal presidente Prodi e da altri politici di alto profilo ha prodotto una delle industrie culturali europee più fiorenti. I

l fatturato, in termini di incontri, dibattiti, convegni, libri, saggi, discorsi, iniziative, è stato impressionante. Ma il bilancio netto è, a voler essere onesti, deludente: la situazione oggi non è diversa da quella di allora. Se le profezie valessero anche in politica, poichè Delors fissò un termine di dieci anni, si dovrebbe concludere che abbiamo perduto la partita sia di andata che di ritorno. Naturalmente, è vero che il campionato è lungo, ma è anche vero che il gioco della squadra non lascia ben sperare.

Prima di chiederci perchè, dobbiamo comprendere precisamente il tipo di sfida di cui si tratta. Delors lanciò il suo appello del 1992 e lo ripetè nella cattedrale di Strasburgo nel 1999, Prodi si rivolse alle chiese europee nello stesso anno. L’uno disse che “il contributo del cristianesimo è essenziale”, l’altro disse che “nella memoria europea esistono tracce permanenti di cristianesimo”. Non c’è alcun dubbio dunque che l’anima di cui si parlava era l’anima cristiana, cosí come è chiaro a tutti che, quando nel preambolo del Trattato dell’Unione europea, si parla di “eredità religiosa”, ci si riferisce all’eredità cristiana, anche se non è politicamente corretto dirlo. 
E tuttavia l’anima dell’Europa è oggi tanto poco cristiana che il cristianesimo è osteggiato su tutti i fronti, da quello culturale a quello politico a quello giuridico. Purtroppo, contro questa ostilità le istituzioni europee, compreso il Parlamento europeo, non svolgono alcun ruolo apprezzabile di contenimento. In certi casi, ad esempio quello della sentenza sul crocefisso della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 2009 o quello della delibera sulla omofobia del Parlamento europeo del 2006, sembra anzi che le istituzioni europee siano in prima fila nell’opera di rimozione della eredità cristiana dell’Europa. 
Dopo ogni nuovo Trattato o dopo ogni passo del faticoso processo di unificazione europea, tutti sentono il dovere di chiedersi: “Quo vadis, Europa?”. Propongo di rovesciare la domanda: “Unde venis, Europa?”. Forse un po’ di chiarezza su dove si viene ci può aiutare a orientarci su dove si va o si dovrebbe andare. 
In questa presentazione, riprenderò cose che ho già scritto e detto molte volte in molte occasioni. Se mi ripeto, non è per amore delle mie idee, ma perchè la situazione è ripetitiva. Mi soffermerò in particolare su tre punti. Richiamerò brevemente alla memoria il fenomeno in corso in Europa e che può essere descritto come “apostasia del cristianesimo”; dirò poi che questa apostasia aggrava la questione più seria che l’Europa oggi ha di fronte, quella dell’islam; da ultimo, indicherò nel relativismo la malattia spirituale che corrode l’Europa. La mia tesi è che se l’Europa non ha un’anima è perchè rifiuta quella che la storia le ha dato; e se l’Europa rifiuta la sua anima storica, allora l’unificazione politica dell’Europa non può fare significativi passi avanti. 

2. L’apostasia del cristianesimo 

Una serie di avvenimenti indicano che in Europa ci troviamo di fronte ad un rifiuto della tradizione cristiana. Essi sono di varia natura, ma tutti mostrano che questa tradizione oggi non è più considerata quella fonte di ispirazione di valori, princípi, diritti e libertà di cui pure si parla nel preambolo al Trattato dell’Unione. Sono tutti ben noti, ma conviene ricordare i principali. 
L’Europa ha evitato di menzionare le sue specifiche radici cristiane, e non genericamente “eredità religiose”, nella (ora morta e sepolta) Costituzione europea e nel nuovo Trattato di Lisbona. 
L’Europa ha bocciato la candidatura alla Commissione di un politico italiano perchè egli disse che il matrimonio omosessuale è contrario al suo credo cristiano. 
L’Europa promuove legislazioni che violano principi cristiani sui principali temi etici. Perciò in Europa si approvano per legge, o mediante decisioni dei magistrati, l’aborto, l’eugenetica, l’eutanasia, la manipolazione degli embrioni. Il diritto al matrimonio omosessuale è introdotto surrettiziamente nella Carta europea dei diritti e il diritto alla scelta del genere è compreso nascostamente nelle delibere europee contro la omofobia. Quanto alla poligamia, essa è proibita ma è spesso praticata e tollerata. 
L’Europa non ha difeso Papa Benedetto XVI quando fu attaccato perchè, nella sua lezione all’Università di Regensberg, aveva sostenuto che il cristianesimo è religione del logos e non della spada e aveva chiesto all’islam di pronunciarsi su un principio che dovrebbe essere condiviso da tutti: “nessuna violenza nel nome di Dio”. 
In Europa si è impedito a questo stesso Papa di parlare nella prima università italiana, con l’argomento che sarebbe mancato il contraddittorio. 
L’Europa ha duramente criticato lo stesso Pontefice quando ha ricordato che il preservativo non è un rimedio efficace contro la diffusione dell’Aids. 
L’Europa nasconde i suoi costumi cristiani, ad esempio considera non educato augurarsi “Buon Natale”, perchè, si dice, ciò offenderebbe i non credenti o i credenti in altre religioni. 
E cosí via. C’è poi il capitolo che riguarda l’islam. 
In Europa, si può perdere un posto di lavoro se una persona indossa un crocifisso al collo, mentre solitamente si tollera il velo che copre il volto delle donne di religione islamica. 
L’Europa protegge la libertà di espressione degli spettacoli e delle opere d’arte, comprese quelle che sono blasfeme nei confronti del cristianesimo, ma censura questa stessa libertà quando si tratta di vignette satiriche nei confronti dell’islam. 
L’Europa concede la massima libertà religiosa e di culto a tutte le religioni, ma non protesta contro il martirio dei cristiani in molti paesi islamici con cui l’Europa intrattiene eccellenti rapporti. 
L’Europa ignora i rischi del fondamentalismo islamico. Il Consiglio di Europa si impegna in una campagna per mostrare l’influenza della cultura islamica su quella europea, come se fosse pari a quella giudaico-cristiana. E nessuna fra le molte iniziative di Dialogo euro-arabo, di Alleanza di civiltà, di Iniziativa euro-mediterranea, o di Partnerariato, tutte piene di lodevoli dichiarazioni sui diritti universali, menziona mai la parola “reciprocità”. A leggere quei documenti sembra che i rischi dell’Europa siano solo due: la “islamofobia”, qualunque cosa ciò significhi, e naturalmente lo Stato di Israele. 
E cosí via. Che ne sarà allora dell’Europa se il cristianesimo viene rifiutato come sua fonte di ispirazione? Ho ricordato all’inizio la profezia di Jacques Delors: senza l’anima cristiana, l’Europa non può unificarsi. Ne ricordo un’altra più autorevole. Poco prima di diventare Papa Benedetto XVI, il cardinale Ratzinger disse: 

L’Europa, proprio nell’ora del suo massimo successo, sembra svuotata dall’interno, come paralizzata da una crisi circolatoria Al cedimento delle forze spirituali portanti si aggiunge un crescente declino etnico Il confronto con l’Impero Romano al tramonto si impone: esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quei modelli che dovevano dissolverlo, aveva esaurito la sua energia vitale. 

à questa la nostra situazione? Davvero l’apostasia del cristianesimo è arrivata a tal punto che l’Europa ha “esaurito la sua energia vitale”? Personalmente, temo di sí. Certamente, l’Europa oggi è una grande potenza economica ed esercita un notevole peso politico anche se non proporzionalmente a quello economico. Ma tutti i grandi imperi sono stati grandi potenze prima del loro declino. Tutti hanno ceduto quando hanno smarrito la consapevolezza del proprio valore. E tutti sono scomparsi quando hanno perduto l’anima. Questa è una costante storica su cui si dovrebbe riflettere quando ci si lamenta che l’Europa “non parla con una sola voce”. Si può parlare con una sola voce se non si ha una identità, una missione, insomma un’anima? E può avere voce nel concerto mondiale delle civiltà chi è colpito da una sorta di sindrome di colpevolezza della propria? 

3. La questione dell’islam 

Qui cade la questione dell’islam. So bene che essa è difficile e so bene che è molto delicata. Ma dobbiamo parlarne, perchè i rapporti con l’islam sono alla base della sicurezza esterna e della pacifica convivenza interna dell’Europa. L’esperienza (la più recente è quella svizzera) dimostra che, se le autorità adottano la politica del silenzio, si verifica una divaricazione fra la classe politica e il popolo, con la conseguenza che, in mancanza di idee cui orientarsi, questo spesso assume atteggiamenti assai poco liberali e con l’ulteriore conseguenza che il problema in primo luogo culturale e politico della integrazione degli immigrati diventa un problema di ordine pubblico. 
A coloro che sostengono l’identità cristiana dell’Europa si muovono solitamente tre obiezioni. 
Prima obiezione: se l’Europa affermasse la sua religione cristiana, allora offenderebbe quei milioni di islamici che sono sul suo territorio, come cittadini o come irregolari. Ma non è una obiezione credibile. Richiamo ancora le parole del cardinale Ratzinger, il quale disse: 

L’affermazione che la menzione delle radici cristiane dell’Europa ferisce i sentimenti dei molti non-cristiani che ci sono in Europa è poco convincente, visto che si tratta di un fatto storico che nessuno può negare Chi verrebbe offeso? L’identità di chi viene minacciata? I musulmani, che a tale riguardo spesso e volentieri vengono tirati in ballo, non si sentono minacciati dalle nostre basi morali cristiane, ma dal cinismo di una cultura secolarizzata che nega le proprie basi Non è la menzione di Dio che offende gli appartenenti ad altre religioni, ma piuttosto il tentativo di costruire la comunità umana assolutamente senza Dio.

Condivido pienamente questa osservazione. In Europa i rapporti con l’islam si fanno difficili non perchè il Dio cristiano è diverso dal Dio islamico, ma perchè sta scomparendo il Dio cristiano. 
Seconda obiezione: se l’Europa affermasse la sua tradizione cristiana, allora l’integrazione degli islamici sarebbe una imposizione, perchè richiederebbe la loro conversione alla nostra religione. Ma anche questa obiezione è sbagliata. 
Qual è la tradizione cristiana? à quella che deriva da un credo centrale dell’Antico e Nuovo testamento: che l’uomo è creato a immagine di Dio. Questo è un credo religioso ma non solo religioso, perchè ha conseguenze dirette rilevanti sul piano politico. In particolare, ha conseguenze sul piano dei diritti umani. Se l’uomo è immagine di Dio, allora l’uomo è fratello di ogni altro uomo e tutti gli uomini sono uguali. Inoltre, se l’uomo è immagine di Dio, allora l’uomo è persona, cioè è un individuo che ha valore e dignità in quanto uomo, prima ancora di essere cittadino. à da questa concezione dell’uomo che nascono i diritti inalienabili, quali sono fissati nelle nostre Carte, da quella europea dei diritti dell’uomo a quella delle Nazioni Unite. Ed è dallo stesso nucleo giudaico-cristiano che deriva il dovere della tolleranza e del rispetto. I grandi padri del pensiero moderno europeo, primo fra tutti quell’Immanuel Kant che fu tra i più strenui fautori di una federazione di Stati europei, lo hanno spiegato con molta chiarezza. Perciò, per tornare all’obiezione, non è vero che, se affermassimo la nostra tradizione cristiana imporremmo agli islamici una conversione religiosa. à vero il contrario: se innalziamo la bandiera cristiana, diventiamo consapevoli di quel dovere di tolleranza e rispetto che è la condizione per avere i migliori rapporti con gli islamici. 
Terza obiezione: l’affermazione della identità cristiana dell’Europa impedisce il dialogo con l’islam. Non sono d’accordo. Di quale dialogo si parla? Io non credo alla possibilità del dialogo inter-religioso, perchè le religioni hanno nuclei dogmatici centrali che non possono essere oggetto di correzione e ancor meno di confutazione, come in linea di principio dovrebbe accadere in ogni dialogo. In proposito condivido un’altra affermazione di Benedetto XVI: 

La questione, ad esempio, se Dio sia trinitario o no, non è oggetto di discussione; al riguardo, il sí o no è una decisione presa nella fede. Certamente si può cercare di mettere in evidenza la logica interna di questa visione apparentemente contraddittoria e di chiarire malintesi ed interpretazioni sbagliate. Ma il sí o no come tale non è oggetto di discussione. 

Osservo che anche le guide spirituali dell’islam hanno la stessa opinione. Ad esempio, il principe di Giordania Ghazi bin Muhammad bin Talal in una sua lettera al Segretario di Stato Vaticano del 17 dicembre 2007 ha scritto: 

noi riteniamo che un accordo teologico completo tra cristiani e musulmani non sia intrinsecamente possibile per definizione. 

Ma se il dialogo inter-religioso non è possibile, è invece possibile e utile e necessario il dialogo inter-culturale. Con questo secondo tipo di dialogo, non si discute di Dio, si discute di uomini, non si parla di comandamenti divini, ma di quali conseguenze tali comandamenti hanno sugli individui e sulla società. Ad esempio, si parla di rapporti fra religione e politica, di Stato laico, di diritti umani, di uguaglianza, di parità uomo-donna, di matrimoni, di rispetto della vita, di libertà di coscienza, di democrazia: insomma, si parla di istituzioni, politica, diritto, costumi. Su questo terreno, non solo il dialogo è possibile, è possibile anche l’accordo. 
Perchè allora in Europa questo dialogo inter-culturale possibile è poco praticato mentre si evoca quello inter-religioso impossibile? Le ragioni sono tante ma una è decisiva: per impegnarsi nel dialogo inter-culturale, bisogna credere nella bontà della propria cultura, avere fede nel suo valore. Questa fede l’Europa oggi non ce l’ha, perchè prima ha sostituito il cristianesimo con il secolarismo, poi ha confuso il secolarismo la “sana laicità”, per usare ancora un’espressione di Benedetto XVI con il relativismo. Questo è l’ultimo punto che intendo brevemente trattare. 

4. Relativismo, multiculturalismo, e dialogo 

Il cristianesimo è una religione monoteista, come lo sono l’ebraismo e l’islam. L’una è incompatibile con l’altra e nessuna è riducibile all’altra. Non potendo dire che una religione è migliore di un’altra, o un Dio migliore di un altro, gran parte della cultura europea ritiene oggi di concludere che tutte le religioni sono uguali. Non potendo dire che una comunità politica deve fondarsi su una religione anzichè su un’altra, gran parte della politica europea ritiene che tutte le religioni devono essere confinate nella sfera privata. E non potendo dire che la cultura legata ad una religione ha più meriti di altre culture legate ad altre religioni, le autorità politiche europee hanno concluso che tutte le culture hanno lo stesso valore. Cosí da premesse relativistiche si è derivato il multiculturalismo. L’argomento sottostante è: se le religioni hanno tutte uguale valore, allora anche le culture hanno tutte uguale valore. E se le culture hanno tutte uguale valore, allora è giusto che ciascun gruppo coltivi la propria cultura. 
Questo ragionamento sembra ineccepibile e invece è inaccettabile. Basta guardare la realtà europea senza gli occhiali del pregiudizio. Il ragionamento dei relativisti conduce a conclusioni che sono contrarie alle intenzioni associate alle premesse. Le intenzioni sono la tolleranza e la convivenza pacifica. Le conclusioni sono i conflitti sociali e la xenofobia. Là dove il multiculturalismo si è più affermato, si sono costituite aree a giurisdizione speciale e queste aree si sono spesso trasformate in ghetti e focolai di tensioni. Cioè, l’esatto contrario dell’integrazione. 
Dobbiamo allora riconsiderare le premesse relativistiche che conducono al multiculturalismo. Queste premesse non sono tutte ragionevoli come sembrano. Ad esempio, non è vero neppure per gli stessi relativisti che affermare che la donna ha minori diritti dell’uomo secondo una cultura è giusto quanto affermare che la donna ha gli stessi diritti dell’uomo secondo un’altra cultura. Stili di vita e culture diverse sono certamente difficili da confrontare e giudicare, ma di fatto noi li confrontiamo e giudichiamo ogni giorno. E quando non lo facciamo, ci viene imposto di farlo, perchè esistono le Carte dei diritti che costituiscono un metro di misura indipendente da questa o quella cultura. Inoltre, esistono le tradizioni, le quali non possono essere trascurate perchè sono le radici dei nostri popoli. Nessun relativista potrà mai convincere una comunità nazionale o locale che, per integrare gli altri, essa deve negare valore a se stessa. 
Come dobbiamo allora regolarci? Come possiamo correggere il relativismo e il multiculturalismo? Ci sono due strade che non dobbiamo percorrere, due soluzioni del problema che non possiamo accettare. 
La prima soluzione consiste nel demandare all’autorità politica di decidere quale religione sia migliore di un’altra. Per fortuna oggi siamo tutti d’accordo con John Locke: fuori lo Stato dalle dispute teologiche! Se c’è una conquista europea da mantenere quella dello Stato laico è la prima fra tutte. 
La seconda soluzione da non accettare consiste nel consentire all’autorità politica di nascondere la religione o di negarne il valore. Questa sarebbe una violenza, una imposizione. La religione è parte essenziale della vita di ciascuno, anche di chi professa di non averne nessuna. Non solo. Una religione è la base di una cultura politica. Le parole del preambolo del Trattato dell’Unione, anche se timide e reticenti, devono essere prese sul serio: le nostre libertà “traggono ispirazione” dalla nostra tradizione religiosa. 
E dunque? Si torna al punto di prima: dobbiamo usare il dialogo. Ho già detto che, quando si intenda nel senso del dialogo inter-culturale, questa è la strada giusta. Ma non basta. Per dialogare, occorre avere delle posizioni da proporre e difendere, bisogna credere in qualcosa. Non può esserci dialogo fra culture se un interlocutore premette: “la mia cultura vale quanto la tua”. Ma i relativisti e i multiculturalisti europei partono proprio da questa premessa, perciò essi parlano sí di dialogo, ma non possono dialogare affatto. Sulle loro bocche, la parola “dialogo” esprime la cattiva coscienza della propria debolezza. Oppure esprime il timore che le culture non si adattino spontaneamente a considerarsi tutte uguali e perciò si scontrino. 
Noi questo scontro dobbiamo evitarlo. Ma se il presupposto per evitarlo è essere consapevoli del valore della propria cultura per confrontarlo con quello che gli altri danno alla loro, allora non si può ignorare che la cultura dell’Europa è segnata dalla storia del cristianesimo che l’ha tenuta a battesimo e della teologia cristiana che ha nutrito i suoi costumi e le sue istituzioni politiche. Lo sappiamo: è una storia difficile, tribolata, anche insanguinata. Ma è la nostra storia. Se ce ne dimentichiamo, perdiamo la nostra identità. A quel punto, non potremmo neppure più aggrapparci a quel fragile ossimoro a cui oggi siamo legati: “unità nella diversità”. 
Chiudo ricordando le parole pronunciate da Robert Schuman il 19 marzo 1958, di fronte al primo Parlamento europeo: “tutti i paesi dell’Europa sono permeati dalla civiltà cristiana. Essa è l’anima dell’Europa che occorre ridarle”. “Unde venis, Europa?” è ancora la migliore risposta alla domanda “Quo vadis, Europa?

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