L’occasione persa del confronto Meloni-Schlein vista da Marcello Pera
Lo sciopero generale è una frattura tra sindacati, non con l’esecutivo. Schlein rincorre Landini e Conte, ma rifiutando l’invito a partecipare ad Atreju dimostra la sua debolezza. Il Pd sembra aver dimenticato il suo passato e l’ala riformista è sempre più schiacciata. Così non si insidia Meloni, che aumenta invece il suo consenso. Ma sul premierato la legge va corretta. Conversazione con l’ex presidente del Senato, Marcello Pera
Di Federico Di Bisceglie
“Elly Schlein segue la logica di Maurizio Landini: se si fa rumore, tutti penseranno che siamo forti. Ma a chi si rivolgono?”. La domanda che pone Marcello Pera, ex presidente del Senato e attualmente fra i banchi di palazzo Madama in quota Fratelli d’Italia, è chiaramente retorica. Nella sua conversazione con Formiche.net non risparmia critiche all’opposizione (sia sulla politica interna, che sulla politica estera) ma al contempo muove alcuni rilievi sulla proposta di legge con la quale l’esecutivo vorrebbe arrivare all’introduzione del premierato. Una proposta che, secondo Pera, andrebbe “corretta” perché attualmente è “difettosa”.
Presidente, sullo sciopero generale si consuma lo strappo tra maggioranza e sindacati. Dove porterà questo braccio di ferro?
Sullo sciopero generale dimezzato sono stupito. Non c’è nessuna seria ragione, salvo quella politica personale di Landini, a cui si associa misteriosamente anche il segretario della Uil. Se uno strappo c’è, è fra sindacati. Si sciopera e si va in piazza solo per dire “ci siamo anche noi” o “siamo vivi”. In realtà, mancano proposte. E non si vede il popolo affamato che si ribella al governo.
La segretaria del Pd Elly Schlein segue la stessa logica di Landini: se si fa rumore, tutti penseranno che siamo forti. Ma che cosa propone? A chi si rivolge? Non solo non ha una bandiera alternativa, sta schiacciando l’ala riformista del suo partito. Lancia parole d’ordine improbabili e spuntate: il fascismo, i diritti conculcati, le donne abbandonate, la deriva plebiscitaria, l’uomo nero. Su questo terreno si fa, e male, campagna elettorale, non politica alternativa seria. Purtroppo, fuori dal suo vocabolario preferito Lgbt eccetera, la Schlein mostra una pochezza disarmante. È vero che non l’hanno vista arrivare, hanno però visto che viene da un mondo estraneo alla cultura storica della sinistra. Lo spettacolo di una che chiede l’espulsione di un socialista dai socialisti europei è comico se non fosse triste. Se anche i socialdemocratici tedeschi non ne vogliono sapere e prendono le distanze da lei, con chi si allea? Su chi conta? Per favore, segretario Schlein, non dica qualcosa di sinistra, dica solo qualcosa di comprensibile e fattibile.
A proposito di opposizione. Sulla politica estera e sulle grandi questioni internazionali tutto sommato una quadra si trova ed esiste un posizionamento condiviso. Mente sulla politica interna sono diversi i terreni di scontro. Come spiega questa dicotomia?
No, non c’è posizionamento condiviso neppure sulla politica estera. Giuseppe Conte, che Schlein insegue, è contro l’Ucraina e ora contro Israele. Lui ritiene di non avere obblighi di coerenza e dove pensa che ci sia un voto lo rincorre. Non si è mai visto un ex-presidente del Consiglio che fa politica estera in questo modo. Dire che il governo è codardo è cinismo a fini interni. E parlare di pace mentre ci piovono le bombe addosso, l’integrità di Israele in discussione, e i terroristi sono dietro l’angolo è da irresponsabili. Lo stesso vale per la politica interna. Se si dice sempre no a tutto e comunque vuol dire che non si ha una posizione precisa. Davvero si pensa di vincere le elezioni europee in questo modo? Davvero si crede di mettere in difficoltà Giorgia Meloni, che invece aumenta il suo peso internazionale? Siamo in serie difficoltà economiche, soprattutto grazie alle politiche scellerate dei bonus di Conte e i suoi redditi di cittadinanza. Il pagamento degli interessi sul debito non ci lascia risorse. E dunque che si fa, si sciopera?
Schlein rifiuta l’invito ad Atreju. Un segnale di debolezza o, ancora una volta, un modo per marcare una discontinuità rispetto al passato? Dove porterà questa scelta?
Così mostra la sua difficoltà a confrontarsi su agende precise. E perde anche di peso, perché un leader vero, forte e consapevole, questi inviti non li rifiuta, li accetta a viso aperto per sostenere le proprie ragioni e cresce in considerazione. Schlein invece mostra di non avere fiducia in se stessa, di nascondersi, di fuggire.
Riforma istituzionale. Il premierato è sempre di più al centro degli attacchi della minoranza. Secondo lei, vengono in effetti intaccate le prerogative del Colle oppure è una contrapposizione ideologica?
Perché il Pd rifiuti il premierato mi sfugge, dopo averlo sostenuto per anni con la proposta Salvi e poi con quella Tonini-Morando, su cui invece secondo me si dovrebbe lavorare. Non hanno più memoria storica? C’è da riflettere su questo punto: è come se avessero fatto una rivoluzione, negassero il passato o, peggio, non lo riconoscessero. È vero: Schlein non c’era, ma il partito non ha più neppure un elemento importante di continuità? Ciò detto, la proposta del premierato del governo è difettosa e dovrebbe essere corretta. Non capisco perché la ministra delle riforme ne abbia presentata una un po’ sgrammatica.
Non mi ha risposto sui poteri del Colle.
Guardi che a Madrid non c’è un Colle che sceglie i ministri, non c’è neppure a Londra e nelle democrazie scandinave. Il premierato è un regime parlamentare che ridefinisce i poteri e gli equilibri. Funziona con due armi: la sfiducia al premier da parte del Parlamento e lo scioglimento del Parlamento da parte del premier. Il Colle non è diminuito, è mutato di ruolo: ne ha uno meno direttamente politico e uno più di garanzia. Il Presidente della Repubblica è capo dello Stato, rappresentante dell’unità nazionale e garante del rispetto della volontà popolare. Anche nelle proposte della sinistra che ho citato era così. Perché è giusto, trasparente, democratico, che sia così.